LA MASSIMA
I disturbi della personalità di tipo border line narcisistici non integrano infermità mentale a meno che essi non siano di consistenza, intensità e gravità tale da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, escludendola o facendola scemare grandemente, dovendosi altresì porre in relazione eziologica con la condotta criminosa. Nessun rilievo, invece, può riconoscersi ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalità prive dei suddetti caratteri, nonché agli stati emotivi e passionali che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità.
Il CASO
La Corte di Assise di Appello confermava la pronuncia resa dalla Corte di Assise che riteneva l’imputato responsabile del delitto di omicidio volontario premeditato condannandolo, per l’uccisione dell’ex fidanzata, alla pena dell’ergastolo.
Le corti territoriali non hanno riconosciuto alcuna valenza ai disturbi narcisistici border line della personalità di cui era affetto l’imputato al fine di desumerne lo scemare o il venir meno della capacità di intendere e di volere. Anzi, hanno affermato la sussistenza dell’aggravante della premeditazione confortata, a livello probatorio, da varie circostanze di fatto quali: la ricerca Internet sul “come uccidere una persona”, la predisposizione in casa di svariati coltelli nonché l’insistenza nel far recare l’ex fidanzata nella sua abitazione.
L’imputato presenta ricorso per Cassazione lamentando, in primo luogo, il mancato riconoscimento del vizio parziale di mente ex art. 89 c.p. facendo valere il deficit mentale di cui è affetto riscontrato a seguito della somministrazione dei test psicologici e, in secondo luogo e in via consequenziale, l’applicazione della circostanza aggravante della premeditazione invocando elementi quali l’aver saputo solo qualche ora prima che l’ex fidanzata si sarebbe recata a casa sua.
LA QUESTIONE
Il vizio di mente che ex artt. 88 e 89 c.p. consente di ritenere l’imputato affetto da infermità mentale, dunque incapace di intendere e di volere, rispettivamente in misura totale o parziale, e determina nel primo caso la non imputabilità tout court, nel secondo caso il riconoscimento di una circostanza attenuante.
In tempi risalenti in giurisprudenza si riteneva, secondo l’impostazione nosografica, che l’incapacità di intendere e di volere potesse essere riconosciuta solo a seguito dell’accertamento diagnostico di una malattia mentale o del sistema nervoso avente base organica, disconoscendo qualsiasi rilevanza in tal senso ai disturbi psichici non meglio precisati.
Successivamente, la giurisprudenza, evolvendosi, ha iniziato a riconoscere rilevanza, ai fini dell’integrazione dell’infermità mentale, anche ad altre malattie non ricomprese nell’elenco tassativo delle malattie mentali accogliendo così una concezione fondata sul cd modello integrato. Si tratta di una visione integrata che tiene conto di tutte le variabili, biologiche, psicologiche, sociali e relazionali che entrano in gioco nel determinismo della malattia. Si verifica, così, il superamento della visione eziologica monocausale della malattia mentale, pervenendosi ad una concezione multifattoriale integrata.
Si comprende, pertanto, l’andamento ondivago della giurisprudenza circa l’idoneità dei disturbi della personalità ad integrare l’infermità mentale a seconda che essa accolga il risalente orientamento nosografico o quello più moderno multifattoriale della malattia mentale.
LA SOLUZIONE
Un punto fermo è stato posto dalla giurisprudenza con l’arresto delle Sezioni Unite Raso del 2005 e al quale tutta la giurisprudenza successiva, compresa la pronuncia in esame, si è uniformata.
Pertanto, quanto all’integrazione dell’infermità mentale ad opera dei disturbi della personalità border line narcisistici, da cui è risultato affetto l’imputato, la Corte di Cassazione ha dato seguito al suddetto arresto delle Sezioni Unite 2005 ritenendo che i disturbi della personalità possono rientrare nel concetto di “infermità” ma gli stessi devono essere di tale consistenza, intensità e gravità da incidere concretamente sulla capacità di intendere e di volere del soggetto, escludendola o facendola scemare grandemente in presenza pur sempre di un nesso eziologico tra il disturbo mentale e la condotta criminosa, mentre nessun rilievo può riconoscersi ad altre anomalie caratteriali o alterazioni o disarmonie della personalità prive dei suddetti caratteri, nonché agli stati emotivi e passionali che non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità.
Nel caso di specie, le anomalie caratteriali dell’imputato (che trovano radice nel suo sofferto vissuto), che sono state oggetto anche di accertamenti neuroscientifici (disciplina che sempre più si sta rivelando di ausilio per fare chiarezza sugli imperscrutabili meccanismi della volizione umana), hanno sì segnato negativamente la sua personalità ma non sono state ritenute idonee ad integrare né una malattia di mente, né anomalie di intensità tale da escludere né scemare grandemente la sua capacità di intendere e di volere.
Dunque, non hanno soddisfatto i criteri dettati dalla sentenza Raso 2005.
Ritenuto l’imputato capace di intendere e di volere, la Suprema Corte ha ritenuta priva di censure la doglianza da questi proposta circa la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della premeditazione, compiendo altresì una precisazione di rilievo in ordine alla compatibilità tra la stessa ed il dolo condizionato. Nella specie, l’imputato aveva mentalmente condizionato il rifiuto a tornare insieme opposto dalla ex fidanzata come dirimente ai fini della sua uccisione. Sul punto la Corte di Cassazione ha ritenuto che non debbano essere confusi il condizionamento di un proposito omicida già maturato con l’occasionalità dell’insorgenza dello stesso, in quanto è ben possibile ritenere la premeditazione anche in costanza di un proposito omicida condizionato.
Segnalazione a cura di Simona Durazzo
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