LE MASSIME
«L'art. 71 D.Lgs. 81/2008 fa obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all'utilizzazione di una macchina, a meno che questa non presenti un vizio occulto».
«In base al paragrafo 6 dell’allegato V al predetto decreto legislativo, se gli elementi mobili di un’attrezzatura presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano l’accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che sia possibile accedere alle zone in questione».
«Quanto alla nozione di “abnormità” del comportamento della persona offesa, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza o imperizia, sicché la condotta imprudente dell’infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l’evento quando sia comunque riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore e all’omissione di doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro».
IL CASO
Con sentenza del 27 febbraio 2020, la Corte di Appello confermava la sentenza del 5 novembre 2018, con la quale il Tribunale aveva condannato l’imputato - direttore operativo di una s.r.l. e datore di lavoro della persona offesa - per il reato di cui all’art. 590, co. 1 e 3 c.p., in relazione all’art. 583, co. 1, c.p., commesso con violazione dell’art. 71, co. 1, D.Lgs. n. 81/2008, per avere messo a disposizione dei dipendenti un macchinario sprovvisto di adeguata protezione che impedisse di raggiungere la zona pericolosa della macchina.
Nello specifico, l’operaio - specializzato in attività di manutenzione rotabile -, dopo aver terminato il lavoro di tornitura delle ruote di un vagone ferroviario, procedeva alla pulitura di alcuni trucioli rimasti incastrati tra la ruota del treno ed il rullo di trascinamento. A tal fine, il medesimo adoperava uno straccio, tentando di eseguire la pulizia, dapprima, a macchina spenta e, successivamente, accendendo il tornio.
Tuttavia, la mano dell’operatore veniva risucchiata dalla macchina in movimento, con conseguente amputazione di tre dita della mano destra e indebolimento permanente dell’organo di apprensione.
Nel rigettare l’appello, la Corte affermava che l’infortunio – nonostante il comportamento leggero dell’operaio - fosse imputabile alla condizione di scarsa sicurezza in cui versava l’intero comparto, la quale era stata corretta dal datore di lavoro soltanto a seguito delle contestazioni mosse dall’Asl.
La Corte d’Appello sottolineava altresì che le mansioni svolte dall’operaio rientravano tra quelle al medesimo affidate, cosicché il rischio concretizzatosi rientrava tra quelli governati dal datore di lavoro, non potendosi qualificare come abnorme il relativo comportamento.
Avverso tale sentenza l’imputato proponeva ricorso.
Con il primo motivo, il ricorrente deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla propria responsabilità con riguardo alla idoneità del macchinario a garantire la sicurezza dei lavoratori.
In particolare, la difesa evidenziava che per i “torni manuali” come quello del caso di specie, non fossero previste e allestite protezioni totali degli organi mobili e della zona di lavoro dell’utensile, in linea con quanto consentito dall’Allegato V al D.Lgs. n. 81/2008. In base al citato decreto, i sistemi di protezione devono inibire l’accesso involontario al macchinario in movimento, così da impedire un rischio di contatto accidentale tra gli arti dell’addetto e le parti in movimento. Al contrario, secondo il ricorrente, il contatto del lavoratore era stato volontario ed intenzionale, con assunzione di un rischio elettivo da parte del medesimo.
Con il secondo motivo, infine, il ricorrente lamentava il comportamento abnorme del lavoratore, consistito nella decisione di intervenire manualmente sul macchinario (dopo averlo avviato e in assenza del capomacchina) e tradottosi in un comportamento imprevedibile e insuscettibile di controllo da parte del datore di lavoro, idoneo a introdurre un rischio nuovo rispetto a quello originario.
LA QUESTIONE
Nella sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione si pronuncia sulla configurabilità della responsabilità penale del datore di lavoro per le lesioni riportate dal lavoratore durante lo svolgimento delle proprie mansioni e sulla idoneità della condotta abnorme del lavoratore ad interrompere il nesso di causalità.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato.
Con riguardo al primo motivo, la Corte di Cassazione ha ricordato l’obbligo, ai sensi dell’art. 71. D.Lgs. n. 81/2008, di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di legge, adeguate al lavoro da svolgere o adattate a tale scopo e idonee a garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Il datore di lavoro o il delegato alla sicurezza deve, dunque, verificare la sicurezza delle macchine presenti in azienda e rimuovere le fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzo delle medesime, salvo che queste presentino dei rischi occulti.
Proprio tale obbligo è stato violato nel caso di specie, dal momento che l’incidente occorso si è verificato, non a causa del comportamento incauto del lavoratore, quanto piuttosto per il fatto che l’accesso alle parti in movimento del macchinario non fosse impedito da alcun dispositivo, né risultavano adottati accorgimenti che avessero potuto limitare l’accesso.
La Corte di Cassazione ha altresì escluso il carattere abnorme della condotta del lavoratore, richiamando sul punto la consolidata giurisprudenza in base alla quale, le norme in materia di prevenzione antinfortunistica sono dettate al fine di tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti derivanti da sua negligenza, imprudenza ed imperizia. Per tale ragione, la condotta imprudente dell’infortunato non può da sola produrre l’evento, quando la stessa rientra nell’area di rischio inerente l’attività svolta dal lavoratore e sia riconducibile, come nel caso di specie, all’omissione di misure di protezione da parte del datore di lavoro. Di contro, deve considerarsi interruttiva del nesso causale, la condotta del lavoratore che si colloca al di fuori dell’area del rischio consentito, presentandosi come eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare.
Segnalazione a cura di Laura Maria Pullara
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