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Diritto Penale

DELITTI PA - PECULATO VS TRUFFA AGGRAVATA - Cass. pen., sez. VI, 18 ottobre 2021, n. 3765

LA MASSIMA

“L’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata ex art. 61 n. 9 c.p., va individuato nelle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene.”


IL CASO

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte trae origine dalla pronuncia con cui il Giudice per le indagini preliminari, all'esito di giudizio abbreviato, dichiarava non doversi procedere nei confronti di tre imputati in relazione al delitto di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9 c.p. per intervenuta prescrizione, dopo aver riqualificato i fatti originariamente contestati come ipotesi di peculato. In particolare, agli imputati veniva rimproverato di essersi appropriati di somme di denaro erogate dall’INPS mediante il sistema del “bonifico domiciliato per prestazioni temporanee presso un ufficio postale” in favore di numerosi cittadini extracomunitari, a titolo di “integrazione lavori stagionali”. Nel caso di specie, uno degli imputati, impiegato all'ufficio postale, aveva registrato false operazioni di pagamento nei confronti di quei beneficiari, attestandone falsamente la presenza allo sportello e appropriandosi di quelle somme, che poi lo stesso aveva provveduto a trasferire sui conti intestati agli altri due concorrenti.


LA QUESTIONE

Avverso tale sentenza presentava ricorso il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello, deducendo la violazione di legge in relazione agli artt. 314 e 640, 61 n. 9, c.p., per avere il Giudice erroneamente riqualificato i fatti contestati come ipotesi di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9 c.p., mentre gli stessi, secondo l’accusa, avrebbero integrato gli estremi del delitto di peculato che, in ragione dei limiti edittali di pena, alla data della pronuncia non si sarebbe ancora estinto per prescrizione.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame ha accolto il ricorso del Pubblico Ministero, rilevando come il Giudice del merito abbia errato nel pronunciare sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, poiché i fatti contestati integravano il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata ai sensi dell’art. 61 n. 9 c.p., rimanendo ancora punibili in ragione della più elevata cornice edittale prevista dall’art. 314 c.p. A sostegno dell’assunto, la Corte ha precisato che l'elemento distintivo del delitto di peculato rispetto a quello di truffa aggravata ai sensi dell'art. 61 n. 9, c.p. va individuato nelle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione. In particolare, il peculato ricorre quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio si appropria della cosa mobile altrui avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio; mentre la truffa si configura quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene. In pratica, l'impiego della documentazione falsa o di altri artifici o di raggiri nel peculato è finalizzato a permettere l'occultamento dell'appropriazione già avvenuta, mediante una interversione del possesso, mentre nel caso della truffa l'utilizzo degli artifici o raggiri costituisce lo strumento per procurarsi il bene mediante la condotta decettiva. Nel caso di specie, a parere della Corte, il Giudice del merito non avrebbe fatto un buon governo di tali criteri interpretativi, sostenendo che la commissione delle condotte artificiose da parte degli imputati sarebbe stata lo strumento "per entrare in possesso del denaro proveniente dall'I.n.p.s.". Al contrario, dalla stessa descrizione della fattispecie si sarebbe dovuto desumere che attraverso il meccanismo dei "bonifici domiciliati per prestazioni temporanee" in favore di soggetti privi di un conto corrente l'I.n.p.s. aveva già provveduto a disporre l'assegnazione di quelle somme, che erano state trasferite all'ufficio postale, 'organo pagatore' per conto dell'ente previdenziale, ed erano così già entrate nella disponibilità giuridica del personale addetto a quell'ufficio postale. Ricostruita la vicenda in questi termini, per la Cassazione la condotta decettiva dell’imputato addetto all’ufficio postale non sarebbe stata finalizzata a trarre in inganno l'ente erogatore ovvero a permettere l'adozione di un provvedimento di disposizione patrimoniale, servendo al contrario per occultare l'avvenuta appropriazione di somme di cui l'agente, nella sua veste di incaricato di pubblico servizio, aveva già la disponibilità giuridica. Applicando le coordinate ermeneutiche citate al caso di specie, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata, qualificando i fatti contestati come ipotesi di peculato ancora punibili alla data di emissione della sentenza gravata, stante il mancato decorso del termine massimo di prescrizione.


Segnalazione a cura di Valentina Russo


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