LA MASSIMA
“Devono essere considerate "cose mobili" non solo tutte le cose di per sè mobili, cioè quelle che hanno l'attitudine a muoversi da sè medesime o ad essere trasportate da luogo a luogo, ma anche le cose che possono essere smobilizzate ad opera dello stesso ladro mediante la loro avulsione od enucleazione o ricorrendo ad analoghe attività materiali”
IL CASO
All'imputato veniva contestato il furto aggravato ai sensi dell'art. 625 comma 1, n.2 e 7 cod.pen per essersi impossessato del fieno presente nel terreno di proprietà della persona offesa, da cui aveva ricavato numerose balle di fieno dopo la trebbiatura. Avverso la pronuncia della Corte d'appello che, in parziale riforma della sentenza di primo grado aveva rideterminato in mitius la pena inflitta escludendo l'aggravante di cui al n.2 dell'art. 625 comma 1, l'imputato presentava ricorso in cassazione lamentando il difetto di tipicità della fattispecie.
LA QUESTIONE
La questione portata all'attenzione della Corte riguarda l'opportunità o meno di qualificare il processo di trebbiatura come attività idonea a determinare un acquisto a titolo originario del fieno e dunque, di conseguenze, ad escludere l'integrazione del delitto di furto nel caso in cui l'agente che operi l'attività di trebbiatura e la conseguente trasformazione del fieno in balle, si impossessi di queste ultime.
LA SOLUZIONE
La Corte viene chiamata a pronunciarsi su una fattispecie considerata esemplare per l'analisi dei rapporti tra diritto penale e diritto civile : il furto. Si tratta, invero, di una norma incriminatrice che contenendo diversi elementi normativi di matrice civilistica ha da sempre generato non pochi dubbi esegetici vedendo contrapposte le interpretazioni fornite dal filone autonomista e da quello sanzionatorio del diritto penale. Il problema consta, da sempre, nel cercare di capire se le nozioni civilistiche siano espiantabili integralmente nel diritto penale o se queste debbano/possano essere adattate. Nella pronuncia in questione la Corte non si occupa del rapporto tra i diversi ordinamenti ma viene chiamata a valutare una questione che ne presuppone l'interferenza.
La Corte anzitutto, data la peculiarità della cosa oggetto del furto, fornisce una definizione di "cosa mobile" ritenendo che essa debba essere intesa in senso "realistico". Afferma che devono essere considerate "cose mobili" non solo tutte le cose di per sè mobili, cioè quelle che hanno l'attitudine a muoversi da sè medesime o ad essere trasportate da luogo a luogo, ma anche le cose che possono essere smobilizzate ad opera dello stesso ladro mediante la loro avulsione od enucleazione o ricorrendo ad analoghe attività materiali (come ad esempio accade nell'ampia casistica di furto di alberi o di piante mediante taglio).
La Corte poi si sofferma sul rapporto tra art. 940 c.c. e l'elemento dell'altruità nel delitto di furto affermando implicitamente che vi può essere furto solo se non vi è acquisto a titolo originario della cosa oggetto di delitto, poiché qualora la cosa oggetto di spossessamento fosse stata acquistata dall'imputato, difetterebbe il requisito dell'altruità. Alla luce di tale premessa, la Corte nell'analizzare le modalità di estrinsecazione del fatto concreto, giunge ad affermare l'inoperatività dell'acquisto a titolo originario (art. 940 c.c.). Più precisamente, la Corte ritiene che tale fattispecie acquisitiva non possa trovare applicazione poiché essa presuppone una disponibilità lecita del materiale. In altri termini, la Corte esclude che l'imputato abbia acquistato a titolo originario il fieno a seguito della trebbiatura poiché tale acquisto non sarebbe potuto intervenire a fronte di una disponibilità derivante da condotta illecita.
Segnalazione a cura di Rosati Sara
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