LA MASSIMA
“In tema di omicidio colposo conseguente a sinistro stradale, il mancato uso, da parte della vittima, della cintura di sicurezza non vale di per sé ad escludere il nesso di causalità tra la condotta del conducente di un'autovettura - che, violando ogni regola di prudenza e la specifica norma del rispetto dei limiti di velocità, abbia reso inevitabile l'impatto con altra autovettura sulla quale viaggiava la vittima - e l'evento, non potendo considerarsi abnorme né del tutto imprevedibile il mancato uso delle cinture di sicurezza”.
IL CASO
Oggetto del giudizio è un omicidio colposo conseguente a sinistro stradale, provocato dall’imputato, che, per colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza, imperizia, e per colpa specifica, consistita nella violazione degli artt. 141 e 149 C.d.S, mentre si trovava alla guida dell’auto, non adeguava la velocità alle circostanze di tempo e ometteva di mantenere la distanza di sicurezza, tamponando inevitabilmente l’auto, a lui ben visibile, del soggetto che lo precedeva. Quest’ultimo, a causa del forte urto, riportava imponenti lesioni toracico-addominali e osteoscheletriche che ne provocavano la morte. Nel corso del giudizio di primo grado era emerso, peraltro, che il decesso della persona offesa era stato determinato da un violento impatto del suo corpo contro superfici rigide e anelastiche poste all’interno dell’abitacolo e che la vittima non aveva allacciato la cintura di sicurezza.
La Corte d’Appello confermava, pertanto, la sentenza di primo grado, riducendo, però, la pena in essa stabilita, stante l’incensuratezza del soggetto ritenuto responsabile e l’attività di soccorso prestata alla vittima.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato eccependo, in primo luogo, l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza, totale o parziale, della motivazione in merito alla ricostruzione del nesso di causalità tra l’impatto e l’evento morte. Secondo la difesa, pertanto, la Corte d’Appello non aveva correttamente accertato se l’impatto avrebbe avuto come conseguenze la morte della persona, qualora questa si fosse premurata di utilizzare la cintura di sicurezza.
In secondo luogo, la difesa lamentava la manifesta illogicità della motivazione e il travisamento della prova in quanto la Corte d’Appello, ritenendo inattendibile la ricostruzione dei fatti svolta dal consulente di parte, non aveva offerto alcuna prova di resistenza rispetto a quanto dedotto dalla difesa.
LA QUESTIONE
La problematica, dunque, afferisce all’accertamento del nesso di causalità nel caso in cui la persona offesa abbia mancato di utilizzare la cintura di sicurezza.
LA SOLUZIONE
Quanto al primo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha evidenziato che il mancato utilizzo da parte della vittima della cintura di sicurezza non rappresenta un comportamento abnorme né del tutto imprevedibile e, pertanto, tale circostanza non vale a escludere il nesso di causalità tra la condotta colpevole dell’imputato, posta in violazione di ogni regola di prudenza e della specifica norma relativa al rispetto della velocità, e l’evento. Pertanto, il comportamento negligente della persona offesa è da ritenersi un elemento di mero fatto, inidoneo a escludere la responsabilità dell’imputato che abbia agito in violazione delle regole cautelari, rendendo inevitabile il sinistro.
Ad ogni modo, la Cassazione ha sottolineato che il giudice di merito ha tenuto conto del concorso di colpa della persona offesa nella determinazione del trattamento sanzionatorio, ai sensi dell’art. 133 c.p.
Quanto al secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte ha escluso di poter vagliare questioni relative alla ricostruzione della dinamica dell’incidente e all’interpretazione delle prove assunte. È sottratta, infatti, al sindacato di legittimità la valutazione con cui il giudice di merito esponga le ragioni del proprio convincimento, se questa è effettuata con una motivazione logica e congrua, come rileva nel caso di specie. La Corte d’Appello ha infatti fornito una chiara rappresentazione degli elementi di fatto considerati nella propria decisione e delle modalità di verificazione del sinistro, oltre ad aver valutato la ricostruzione dei fatti presentata dall’imputato, dando conto delle circostanze per cui essa è da considerarsi inverosimile. Per queste ragioni, la Suprema Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso.
Segnalazione a cura di Irene Pisanello
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