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Diritto Penale

VIOLENZA SESSUALE - SOSTANZE ALCOLICHE E STUPEFACENTI - Cass. Sez. III, Sent., 24 marzo 2020, n10596

MASSIMA: Ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter, comma 1, n. 2, c.p., l'uso delle sostanze alcoliche o stupefacenti deve dipendere da un'attività di somministrazione che sia stata effettuata o agevolata dall'agente e risulti funzionalmente diretta alla realizzazione degli atti sessuali. L'uso volontario incide sulla configurabilità del reato di cui all’art. 609 bis c.p. ma non anche sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 609 ter, comma 1, n. 2, c.p.

IL CASO: La vicenda all’esame della Suprema Corte ha ad oggetto atti sessuali che l’agente avrebbe perpetrato approfittando della condizione di inferiorità psichica della vittima, determinata dall’avere, quest’ultima, fatto uso di sostanze alcoliche e stupefacenti. In particolare, dai giudizi di merito è emerso come l’uso di sostanze alcoliche e stupefacenti da parte della persona offesa, sebbene indiscutibile, non fosse tuttavia avvenuto contro la sua volontà né fosse imputabile all’agente, avendo la vittima ricevuto uno spinello da persona diversa dall’imputato e avendo incontrato quest’ultimo solo successivamente all’assunzione della sostanza.

LA QUESTIONE: La questione posta all’attenzione della Corte di Cassazione attiene all’individuazione delle condizioni di configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter, comma 1, n. 2, c.p., e, precisamente, se detta aggravante possa essere ritenuta integrata anche in caso di assunzione di sostanza alcolica o stupefacente non provocata o agevolata dall'autore del reato di violenza sessuale ovvero se, al contrario, essa sussista solo qualora la somministrazione di tali sostanze sia effettuata dal reo contro la volontà della vittima e sia funzionalmente diretta alla realizzazione degli atti sessuali. Sul punto, pare opportuno precisare che l’approfittamento della condizione di minorazione psichica, dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti o alcoliche da parte della vittima, avvenuta per sua libera iniziativa, o comunque per cause non imputabili all'agente, è pacificamente ritenuto elemento costitutivo del delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p. E invero, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, tra le condizioni di inferiorità psichica o fisica, previste della disposizione da ultimo citata, rientrano anche quelle determinate dalla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto “anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente”. Detta considerazione, tuttavia, indurrebbe ad escludere che la volontaria assunzione di sostanze alcoliche o stupefacenti da parte della persona offesa possa integrare l’aggravante di cui all’art. 609 ter, comma 1, n. 2, c.p. attenendo quest’ultima all’ipotesi in cui detta assunzione sia stata indotta dall'autore del reato. Diversamente, qualora il reo non “provochi” la condizione di menomazione psichica, bensì si limiti ad approfittarne, non sarebbe integrata l’aggravante in parola bensì l’elemento costitutivo del reato di cui all’art. 609 bis, comma 2, n. 1, c.p., ossia induzione ad atti sessuali con abuso della condizione di inferiorità psichica della persona offesa.

LA SOLUZIONE: Proprio valorizzando le sopra esposte considerazioni, la Suprema Corte sposa la soluzione secondo cui, ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 609 ter, comma 1, n. 2, c.p., l'uso delle sostanze alcoliche o stupefacenti deve dipendere da un'attività di somministrazione che sia stata effettuata o agevolata dall'agente e risulti funzionalmente diretta alla realizzazione degli atti sessuali. A sostegno di tale conclusione, la Cassazione rileva come l’art. 609 ter comma 1 n. 2 c.p. faccia espresso riferimento all’ipotesi in cui i fatti di cui all’art. 609 bis c.p. siano commessi “con l’uso di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti”, in ciò evidenziando come la somministrazione di sostanze alcoliche o stupefacenti integri una circostanza aggravante qualora si ponga come specifica modalità esecutiva dell’induzione al compimento di atti sessuali. D’altra parte, non è causale, secondo la Corte, l’accostamento dell’uso di sostanze alcoliche o stupefacenti all’uso di armi, da cui può ragionevolmente dedursi che il ricorso a tali sostanze si pone quale strumento di costrizione o di induzione di cui l’agente si avvale per determinare la minorazione fisica o psichica della vittima. In definitiva, occorre necessariamente differenziare l’ipotesi in cui l’agente abbia determinato la condizione di inferiorità psichica della vittima, somministrandole stupefacenti o alcool, da quella in cui si sia limitato ad approfittarne, riconoscendo solo nel primo caso la sussistenza dell’aggravante. Ne deriva l’impossibilità di configurare l’aggravante di cui all’art. 609 ter, comma 1, n. 2, qualora la persona offesa si sia posta in condizione di minorazione psichica, assumendo sostanze alcoliche o stupefacenti, volontariamente e senza alcun concorso del reo, fermo restando che l’approfittamento di tale condizione integra elemento costitutivo del reato di violenza sessuale ex 609 bis, comma 2 n. 1, c.p. In conclusione, nel caso di specie la Suprema Corte ha escluso la configurabilità dell’aggravante proprio valorizzando l’impossibilità di imputare al reo l’assunzione di droghe da parte della vittima, assunzione verificatasi in un momento precedente al loro incontro e dei cui effetti l’imputato ha “solo” approfittato.

Segnalazione a cura di Margherita de Masi


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