LA MASSIMA Con l’ordinanza in oggetto è stata rimessa alle Sezioni unite la seguente questione: «se, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all'art. 609-bis c.p., comma 1, presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali».
IL CASO Il caso sottoposto al vaglio della Corte trae origine dall’esercizio dell’azione penale nei confronti di un insegnante privato, accusato di aver costretto, mediante abuso di autorità, due studentesse di età inferiore a quattordici anni a compiere o subire atti sessuali.
LA QUESTIONE All’esito di giudizio abbreviato, il Gup presso il Tribunale di Enna, riqualificata l’originaria imputazione, condannava il prevenuto per la fattispecie di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater. La Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riteneva invece configurabile la fattispecie di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p., peraltro aggravata ai sensi dell’art. 609-ter c.p. n. 1, disposizione quest’ultima che, nella formulazione allora vigente, riguardava le condotte poste in essere nei confronti di soggetti infraquattordicenni. L’imputato proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza di secondo grado, adducendo tra i motivi l’erronea interpretazione e applicazione degli artt. 609 bis e 609 quater c.p. Secondo la ricostruzione ermeneutica prospettata dalla difesa, non poteva dirsi sussistente nel caso di specie l’abuso di autorità, modalità di consumazione del delitto di violenza sessuale. Invero, tale elemento presupporrebbe la titolarità da parte dell’agente di una posizione autoritativa di stampo formale e pubblicistico.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in commento, ha preso atto dell’esistenza, in seno alla giurisprudenza di legittimità, di due orientamenti contrastanti in ordine alla nozione di abuso di autorità.
Secondo un primo e più risalente indirizzo interpretativo, peraltro avallato in via incidentale da una pronuncia delle Sezioni Unite del 2000, l’elemento richiamato presuppone nel soggetto attivo una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovare applicazione la diversa, meno grave, figura criminosa di cui all’art. 609-quater c.p., rubricato “atti sessuali con minorenne” (così, ex multis, Cass. Pen. Sez. Un. n. 216338/2000).
In favore della conclusione delineata depone il dato storico: la fattispecie di cui all’art. 609-bis, comma 1, c.p. ha sostituito quella prevista dall’abrogato art. 520 c.p., ove si faceva espresso riferimento al “pubblico ufficiale”.
Un secondo e più recente orientamento, di contro, estende il concetto di “abuso di autorità” ex art. 609-bis c.p. ad ogni potere di supremazia, anche di natura privata, di cui l’agente si avvalga per costringere il soggetto passivo a compiere o a subire atti sessuali.
L’elemento in esame prescinde, dunque, da una particolare connotazione formale: sarebbe sufficiente, affinché esso possa dirsi integrato, che il reo eserciti sulla vittima una forma di influenza o suggestione al fine di coartarne la volontà o condizionarne i comportamenti.
Tale interpretazione estensiva rinviene la propria ratio nell’esigenza di apprestare al soggetto passivo la più ampia protezione possibile.
Il principale argomento addotto a sostegno della stessa è di carattere sistematico e si basa sul raffronto, da un lato, con l’art. 61, n. 11 c.p., dall’altro, con l’art. 608 c.p.
La prima delle disposizioni richiamate configura, quale aggravante comune, la commissione di un reato mediante “abuso di autorità” o “di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni d'ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione o di ospitalità”. Essa attribuisce, pertanto, rilevanza, ai fini della modifica in peius del trattamento sanzionatorio, alla strumentalizzazione di situazioni afferenti a rapporti di diritto privato.
Orbene, l’art. 61 n. 11 c.p., al pari dell’art. 609 bis c.p., non reca alcun riferimento a una posizione autoritativa di tipo pubblicistico.
Per converso, ove il legislatore ha inteso richiedere il possesso da parte del soggetto attivo di una determinata qualifica, lo ha fatto espressamente: tale è il caso dell’art. 608 c.p. (rubricato “abuso di autorità contro arrestati o detenuti”). La fattispecie ivi contemplata configura un reato proprio, che può essere integrato dal solo pubblico ufficiale.
Così ricostruiti i due contrapposti orientamenti ermeneutici succedutisi negli anni in ordine all’ambito di operatività dell’art. 609 bis c.p., la terza Sezione della Corte di Cassazione ha ritenuto opportuno rimettere il ricorso alle Sezioni Unite: competerà, quindi, a quest’ultime l’arduo compito di individuare la nozione di abuso di autorità.
Segnalazione a cura di Annarita Sirignano
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