MASSIMA
“Le videoregistrazioni aventi ad oggetto comportamenti comunicativi e non comunicativi disposte dalla P.g. in luoghi non riconducibili al concetto di domicilio sono qualificabili come prova atipica disciplinata dall'art. 189 c.p.p. e quindi utilizzabili senza alcuna necessità di autorizzazione preventiva del giudice. Il concetto di privata dimora è circoscritto, in relazione al bene giuridico tutelato, che è quello del diritto alla riservatezza, ai luoghi in cui si esplichi la vita privata ed intima dell'individuo al riparo da ingerenze esterne. Gli ambienti condominiali o comunque comuni che, in ragione della possibilità di accesso ad essi da parte di un numero indeterminato di persone che, al pari dei condomini, possono frequentare l'edificio in quanto a ciò autorizzati dai singoli soggetti residenti, devono essere annoverati fra i luoghi aperti al pubblico”.
IL CASO
Nel caso sottoposto alla Suprema Corte, le difese dei coimputati impugnavano la sentenza di secondo grado che confermava la penale responsabilità dei medesimi per differenti episodi di cessione di eroina, sulla base, oltre che di prove testimoniali, anche delle videoriprese disposte dalla P.g.
Tra i motivi comuni di impugnazione veniva contestata la violazione degli artt. 14 Cost. e 189, 190 e 191 c.p.p. per avere la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto utilizzabili le risultanze delle videoriprese effettuate dalla P.g. nella privata abitazione (nel caso di specie un condominio in cui abitavano i coimputati, ognuno in un appartamento proprio) attraverso l'installazione di una telecamera sul tetto di una palazzina frontista.
Secondo le difese, infatti, la videocamera aveva consentito di riprendere non solo le persone che entravano ed uscivano dal cancello di accesso, ma anche gli spazi all'interno del muro di cinta dell'abitazione (chiostrina, veranda e sottoscala) che non sono luoghi visibili dalla strada, e dunque per questo sarebbero dovuti essere qualificati come luoghi di privata dimora, necessitando conseguentemente della preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria, che invece non è mai stata acquisita.
LA QUESTIONE
La questione che ci interessa esaminare, tra quelle pregiudiziali e di merito affrontate dalla Suprema Corte nel caso di specie, è quella che attiene al regime delle prove atipiche e dei delicati profili che emergono qualora le stesse configurino atti di indagine che possono incidere potenzialmente sui diritti fondamentali tutelati in Costituzione, quali la libertà personale ex art. 13 Cost., l’inviolabilità del domicilio e della segretezza delle comunicazioni e della corrispondenza, di cui agli artt. 14 e 15 Cost.
Come sappiamo, per queste tre libertà fondamentali, i padri costituenti hanno imposto una doppia garanzia a tutela dell’indagato/imputato in un processo penale: la riserva di legge rafforzata e la riserva di giurisdizione.
Il codice di procedura penale, all’art. 189 c.p.p. ammette l’ingresso nel processo penale delle prove atipiche, salvo che esse non costituiscano un’elusione di quelle tipiche (il c.d. principio di non sostituibilità) andando a perseguire il medesimo scopo/effetto dei mezzi di prova codicistici, aggirandone gli oneri formali e le modalità di acquisizione previste dalla legge e sempre che non pregiudichino la libertà morale della persona indagata.
Nel caso particolare delle videoriprese, dottrina e giurisprudenza, in assenza di una normativa specifica, hanno distinto tre regimi di disciplina della prova sulla base del rapporto con il diritto di cui all’art. 14 Cost.
Nel caso di videoriprese effettuate all’interno del domicilio, che incidono pienamente sul nucleo del diritto, sarebbe necessario, in assenza di una legge che disciplini tale mezzo di ricerca di prova, il consenso del titolare; nell’ipotesi in cui la videoripresa riguardi i luoghi “riservati” ma non coincidenti con la privata dimora ex art. 614 c.p., venendo in rilievo il diverso diritto alla privacy ex art. 2 Cost., non vi è riserva di legge, ma resta la necessità dell’atto motivato dell’autorità giudiziaria che autorizzi la P.g.
Infine, nessun problema sorge per le videoriprese nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, i quali possono essere compiuti su iniziativa della P.g., con i soli limiti di cui all’art. 189 c.p.p.
Per questi motivi è, dunque, fondamentale delineare il concetto di “domicilio” o “privata dimora” ai sensi degli artt. 14 Cost., 614 c.p., ai fini della individuazione della disciplina applicabile.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte, osserva che la giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere pienamente utilizzabili le videoregistrazioni aventi ad oggetto comportamenti comunicativi e non comunicativi disposte dalla P.g. nel corso delle indagini preliminari, senza alcuna necessità di autorizzazione dell'autorità giudiziaria allorquando ritraggano luoghi pubblici o aperti al pubblico.
Al contrario, l'autorizzazione giudiziale è richiesta (in mancanza del consenso del titolare) quando si tratti di luoghi di privata dimora ai sensi dell’art. 14 Cost.
Passa quindi a definire la latitudine del concetto di privata dimora, sottolineando che il parametro da utilizzare per la sua individuazione è dato proprio dalla sussistenza o meno dell’esigenza di tutelare il bene della vita privata e intima del titolare del domicilio.
Pertanto, deve escludersi che spazi come il sottoscala o la chiostrina condominiali configurino luoghi di privata dimora, trattandosi di ambienti comuni che, proprio in ragione della possibilità di accesso ad essi da parte, non solo dei condomini, ma anche di un numero indeterminato di persone che possono frequentare l'edificio in quanto autorizzati dai soggetti ivi residenti, devono essere annoverati fra i luoghi aperti al pubblico.
Non rileva quindi la circostanza che si tratta di luoghi non visibili dall’esterno della cinta muraria, posto che non è questo il “metro” su cui misurare la legittimità o meno delle videoriprese, potendo la distinzione in parola avere rilevanza solo se il luogo in discussione non rientri nella nozione di domicilio a norma dell'art. 14 Cost., o in quello di privata dimora a norma dell'art. 614 cod. pen..
Segnalazione a cura di Ottavia Grigenti
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