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Diritto Penale

UNICITÀ FATTO - RICETTAZIONE - Cass., Sez. VI, 22 ottobre 2020, n. 29677

LA MASSIMA

“In tema di ricettazione, qualora la condotta di acquisto, ricezione od occultamento abbia ad oggetto un’unica cosa, il reato è unico, pur quanto quest’ultima provenga da una pluralità di delitti”.


IL CASO

La Corte d’Appello ha confermato la condanna inflitta dal G.U.P. al ricorrente per una vicenda di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti – segnatamente, cocaina e marijuana –, nonché di detenzione di un fucile AK-47 con caratteristiche meccaniche alterate, con relativo munizionamento.


LA QUESTIONE

Avverso la sentenza, il ricorrente ha proposto ricorso, lamentando, tra gli altri motivi, la violazione di legge, nella misura in cui la detenzione del predetto fucile e del relativo munizionamento è stata sussunta in due distinti capi di imputazione per ricettazione, seppur unificati per continuazione.


LA SOLUZIONE

Con riferimento al predetto motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ha evidenziato che nella sentenza impugnata si riscontra la duplicità dell’incriminazione ex art. 648 cod. pen., speculare alla duplicità dei reati-presupposto della ricettazione. L’arma, infatti, avrebbe da una parte costituito l’oggetto del delitto di porto e detenzione illegale di armi di cui alla l.n. 895/1967 e, dall’altra, del delitto di alterazione di armi ex art. 3 l.n. 110/1975, in ragione delle modifiche apportate alla canna.

La Corte ha ritenuto tale duplicazione “artificiosa”, muovendo dal presupposto per cui l’art. 648 c.p. ha ad oggetto “cose provenienti da qualsiasi delitto”, ma non richiede affatto che debba essere “un singolo” delitto.

È, infatti, lo stesso principio di offensività che permea il diritto penale ad imporre una soluzione nel senso dell’unicità della fattispecie, giacché non può ritenersi corretta l’equazione che fa corrispondere tanti fatti di ricettazione quante sono le condotte delittuose sfociate in un unico prodotto in “senso strettamente causale, e non nel significato giuridico del termine”, come ben sottolinea la Corte.

Ne consegue l’unicità del fatto contestato, da cui il rinvio al giudice di merito per la determinazione della pena.


Segnalazione a cura di Umberto De Rasis





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