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Diritto Penale

TRUFFA CONTRATTUALE - Cass. pen., Sez. III, 16 marzo 2020, n.10093

MASSIMA “La fattispecie della truffa contrattuale si distingue da quella della frode in commercio perché l’una si concretizza quando l’inganno perpetrato nei confronti della parte offesa sia stato determinante per la conclusione del contratto, mentre l’altra si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici; la truffa contrattuale ha, quindi, un plus costituito dall’artificio o dal raggiro non presente nella frode in commercio ”. IL CASO La vicenda trae origine dal ricorso dell’imputato avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Messina che lo aveva riconosciuto colpevole del reato di frode nell’esercizio del commercio ex art.515 primo comma c.p. per aver consegnato all’acquirente, nell’esercizio dell’attività commerciale, una bicicletta dotata di potenziometro e quindi assimilabile ad un ciclomotore, dichiarando che si trattava di una bicicletta con pedalata assistita e pertanto non soggetta agli obblighi previsti per i ciclomotori. LA QUESTIONE Il ricorrente lamentava, con uno dei motivi di gravame, violazione di legge (art.515 c.p. in relazione all’art.640 c.p.) evidenziando che lo stesso, sottacendo le caratteristiche effettive del mezzo consegnato all’acquirente, avrebbe commesso una truffa (art.640 c.p.) e non una frode in commercio (art.515 c.p.) e che la Corte territoriale sul punto si fosse limitata ad osservare che i due reati potevano “semmai concorrere”.

LA SOLUZIONE Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione, nel ritenere il ricorso fondato relativamente alla qualificazione giuridica del reato contestato, se truffa o frode in commercio, pone l’accento sulla distinzione e alternatività dei reati citati sottolineando la circostanza, tralasciata dalla Corte territoriale, secondo cui nel caso di specie il ricorrente, al momento della conclusione del contratto (l’accordo), avrebbe posto in essere un artificio nell’ingannare l’acquirente tale da incidere sulla determinazione della volontà dello stesso di concludere il contratto di acquisto che altrimenti non avrebbe concluso. Nell’esaminare le fattispecie incriminatrici di riferimento il Supremo consesso richiama due suoi precedenti conformi: Sez. 3, n.40271/2015, Manconi, Sez. 6, n.11914/1977, Arnaldi. In particolare, la prima pronuncia distingue la fattispecie della truffa contrattuale da quella della frode in commercio perché l’una si concretizza quando l’inganno perpetrato nei confronti della parte offesa sia stato determinante per la conclusione del contratto, mentre l’altra si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici. La seconda pronuncia citata specifica la circostanza per cui il delitto di truffa si distingue da quello di frode in commercio per l’esistenza del raggiro o dell’artificio, che costituisce un plus rispetto alla frode in commercio e può realizzarsi anche nella fase di esecuzione del contratto. Pertanto, risponde del delitto di truffa il venditore che, in sede di esecuzione del contratto, avvalendosi di artifici e raggiri, induca l’altra parte ad accettare condizioni diverse da quelle pattuite. Alla luce delle pronunce richiamata la Suprema Corte afferma, quindi, che i due reati sono alternativi – tranne ipotesi particolari e specifiche- e non concorrono, poiché il reato di truffa si distingue da quello di frode in commercio per l’esistenza del raggiro o dell’artificio, che costituisce un plus rispetto alla frode in commercio. Segnalazione a cura di Ludovica Catena


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