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Diritto Penale

TRATTAMENTO ILLECITO DATI PERSONALI - SUCCESSIONE LEGGI - Corte Cass., sez.III,14 nov 2019, n.46376

MASSIMA

"La condotta di chiunque, non autorizzato, al fine di trarre per sè o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, arreca nocumento all'interessato stesso, mediante il trattamento dei dati del traffico, tra i quali rientra il numero dell'utenza cellulare, integra la fattispecie di cui al D.Lgs.196 del 2003, art. 167, comma 1, fattispecie posta a protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, obiettivo di protezione declinato nell'art. 1 del citato GDPR"


IL CASO La Corte d'appello di Caltanissetta, con sentenza del 08.05.2018, confermava la deliberazione del Tribunale della medesima Città, condannando, per l'effetto, G.J. alla pena sospesa di mesi nove di reclusione, in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 167. Nel caso di specie, all'imputata veniva contestato di aver registrato l’utenza cellulare in uso a C.G. su una piattaforma internet di chat "a luci rosse", invitando, di tal guisa, i frequentatori della stessa a contattare la persona offesa al fine di ricevere prestazioni erotiche. Il difensore della G. proponeva ricorso avverso la citata pronuncia, deducendone la manifesta illogicità in relazione all'affermazione della penale responsabilità della prevenuta. Invero, argomentava il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe travisato le risultanze probatorie acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale, poiché dagli atti era emerso che l'accesso ad internet con il quale era stato trattato il dato personale riconducibile alla C., era avvenuto tramite l'indirizzo IP collegato all'utenza telefonica fissa installata presso l'abitazione della madre dell'imputata e non, come ritenuto dai giudici territoriali, presso l'abitazione della stessa G.. A ciò aggiungeva che i Giudici dell'impugnazione non avrebbero considerato la testimonianza della madre dell'imputata, a mente della quale D.G.F., suo convivente ed assiduo frequentatore di internet, ben avrebbe potuto carpire il numero di telefono della C., estrapolandolo dalla rubrica di un vecchio cellulare di proprietà della persona offesa, ma a lui temporaneamente in uso. Infine, la prevenuta si doleva di aver confessato il fatto al sol fine di evitare conseguenze alla madre, tenuto conto della personalità violenta del D.G.F. A fronte dei suesposti motivi di gravame, il Procuratore generale chiedeva l'inammissibilità del ricorso.


LA QUESTIONE

Il Supremo Collegio, rigettando il ricorso dell'imputata, afferma - in via preliminare - che lo stesso non si appalesa volto a censurare illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello. Invero, prosegue la Corte, l'affermazione della penale responsabilità della G., oggetto di doppio conforme accertamento di merito, trova giustificazione in una pluralità di elementi probatori incontrovertibili, tra cui la confessione resa dalla prevenuta, e successivamente ritrattata in due distinte circostanze. Disattesa la ritrattazione, con motivazione che non appare né manifestamente illogica, né contraddittoria, e argomentando che la stessa costituisce un mero espediente per sottrarsi alla responsabilità, la pronuncia in esame rimarca l'inammissibilità ed inservibilità di una ricostruzione fattuale alternativa in sede di ricorso per Cassazione. Ciò chiarito, con la pronuncia in esame, il Collegio coglie l'occasione per delineare il perimetro applicativo della fattispecie di cui all'art. 167 D.Lgs. n. 196/2003, recentemente novellato dal citato GDPR. La questio iuris sottesa all'excursus compiuto dalla Cassazione è rinvenibile nella successione delle norme penali nel tempo, con la conseguente necessità di individuare la disciplina applicabile al caso concreto e, nell'ipotesi di continuità normativa, la norma più favorevole al reo. In materia di dati personali, invero, la norma applicabile al caso di specie – prima della riforma del 2018 – puniva il trattamento illecito degli stessi, facendo precedere la rilevanza penale della condotta da una clausola di riserva, ove dal fatto fosse derivato nocumento. Dopo la richiamata novella, è venuto meno il lato concetto di “trattamento” dei dati ed è stato altresì introdotto – tra gli elementi costitutivi della fattispecie, con ricadute anche sul dolo specifico – l'aver cagionato un danno all'interessato. La struttura della norma, quindi, è sensibilmente mutata: da condizione obiettiva di punibilità, e come tale esterna alla struttura dell'illecito, il danno ne entra a far parte in qualità di elemento costitutivo che, evidentemente, deve rientrare nel fuoco del dolo. Ne deriva che il nocumento si pone come conseguenza prevista e voluta dall'agente. Viceversa, non dovrebbe riconoscersi alcuna responsabilità penale ove detto danno stato invece involontariamente cagionato dalla condotta. Orbene, muovendo dalle su estese motivazioni, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, annullando la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio disposto con l’impugnato provvedimento. A tale statuizione, i Giudici di legittimità pervengono previa l'esposizione del seguente principio di diritto: "La condotta di chiunque, non autorizzato, al fine di trarre per sè o per altri profitto ovvero di arrecare danno all'interessato, arreca nocumento all'interessato stesso, mediante il trattamento dei dati del traffico, tra i quali rientra il numero dell'utenza cellulare, integra la fattispecie di cui al D.Lgs.196 del 2003, art. 167, comma 1, fattispecie posta a protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, obiettivo di protezione declinato nell'art. 1 del citato GDPR". Diffondere il numero di telefono cellulare mediante il suo inserimento in chat a contenuto erotico, pertanto, costituisce, ancora oggi, fatto di reato, e ciò in quanto, in guisa ai recenti interventi riformatori del legislatore Comunitario, "nel reato di trattamento illecito di dati personali il nocumento è costituito dal pregiudizio, anche di natura non patrimoniale, subito dalla persona cui si riferiscono i dati quale conseguenza dell'illecito trattamento".


Segnalazione a cura di Nicola Pastoressa

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