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Diritto Penale

Traccia

“Ricostruita la distinzione tra reati permanenti e reati a condotta frazionata, si esamini la questione della responsabilità penale per usura sopravvenuta.”


Svolgimento a cura di Gaya Carbone


La sussistenza di tutti gli elementi costitutivi indefettibili della fattispecie criminosa è condizione necessaria affinché il reato possa ritenersi integrato e quindi perfezionato. Tuttavia, il perfezionamento non sempre coincide con il momento della consumazione dell’illecito penale: si tratta, infatti, di due momenti cronologici, necessari al fine dell’individuazione dell’ubi consistam del tempus commissi delicti che, in base alla struttura dell’illecito penale, possono non corrispondere temporalmente. Con la realizzazione della condotta criminosa, il reo genera un’offesa nei confronti del bene giuridico tutelato; tuttavia, può accadere che tale offensività non si esaurisca immediatamente, come accade nei reati istantanei, ma si protragga nel tempo, producendo una discrasia temporale tra perfezionamento del reato e la sua consumazione: solo quando l’offesa al bene giuridico raggiunge la sua massima intensità ed estensione, il reato potrà ritenersi consumato. È quanto accade nei reati permanenti ed in quelli a condotta frazionata, seppur in maniera differente e non priva di risvolti pratici, soprattutto in materia di prescrizione.

Con riferimento ai reati permanenti, occorre precisarne la caratteristica fondamentale: il protrarsi nel tempo in maniera continuativa e volontaria della condotta criminosa che lede il bene giuridico, comprimendolo. È necessario, pertanto, che tale bene giuridico tutelato sia comprimibile, ossia suscettibile di essere oggetto di un’offesa prolungata senza subire una compromissione definitiva. Tale tipologia di reato si compone di due fasi: la fase iniziale in cui l’autore realizza il fatto illecito e la fase della continuazione durante la quale il reo persiste nella condotta criminosa. La prescrizione, in questi casi, inizierà a decorrere dal momento della cessazione della permanenza. Esempio tipico è il sequestro di persona, ove il bene giuridico tutelato è costituito dalla libertà personale, capace di espandersi nuovamente al momento della cessazione del reato.

Invece, nel reato a condotta frazionata, categoria giuridica elaborata dalla dottrina con specifico riferimento al reato di corruzione, l’offensività è suddivisa in singoli segmenti di condotta che solo complessivamente intesi integrano la lesione del bene tutelato.

La suddetta distinzione ha assunto specifica rilevanza con riferimento all’individuazione della natura del delitto di usura.

Quest’ultimo, previsto dall’art. 644 c.p., punisce chiunque si faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altre utilità, interessi o altri vantaggi usurari. Tale disposizione riproduce il risultato della modifica attuata con la riforma del 1996: precedentemente, per ritenersi integrato il reato di usura, era necessario che l’autore, approfittando dello stato di bisogno in cui versava la vittima, inducesse la stessa a stipulare un accordo contemplante interessi usurari.

Sussistono due tipologie di usura: quella oggettiva che ricorre ogni qualvolta si superi il tasso di usura stabilito e quella concreta o soggettiva, che si configura allorquando il reo approfitti dello stato di difficoltà finanziaria o economica in cui riversa la vittima del reato attraverso la sproporzione delle prestazioni. Con la legge del ’96, il requisito dello “stato di bisogno” è stato definitivamente espunto, in favore di una rigorosa oggettivazione dei criteri di qualificazione del carattere usurario degli interessi.

Alla luce, quindi, della riforma ai fini della qualificazione degli interessi come usurari è sufficiente il semplice superamento del tasso-soglia, determinato in base a rilevazioni periodiche secondo quanto previsto dall’art. 2 della stessa legge, non rilevando più il presupposto soggettivo dell’approfittamento dello stato di bisogno il quale assumerà rilevanza solo in caso di usura sotto il tasso soglia.

Relativamente al bene giuridico tutelato, secondo un’autorevole dottrina, ancorata al dettato della norma ante riforma, questo era costituito dal patrimonio del soggetto in difficoltà economiche. È stata, poi, prospettata un’ulteriore tesi in base alla quale il reato di usura si atteggerebbe a reato plurioffensivo, posto a tutela dell’interesse patrimoniale della vittima e della sua libertà di autodeterminazione.

Con riferimento alla natura della fattispecie criminosa, l’orientamento tradizionale configurava l’usura come un reato istantaneo ad effetti eventualmente permanenti: assumeva natura di reato istantaneo qualora alla promessa non facesse seguito la riscossione degli interessi mentre l’efficacia permanente si concretizzava nella restituzione rateizzata del capitale e degli interessi usurari, in esecuzione della promessa. Secondo i sostenitori di tale orientamento, il percepimento degli interessi costituiva un post factum non punibile: la condotta criminosa si era già concretizzata al momento della pattuizione. Pertanto, si faceva coincidere la consumazione del delitto di usura con il momento in cui gli interessi o i vantaggi usurari venivano dati o promessi e, cioè, con il momento della pattuizione.

La riforma del 1996 e l’introduzione dell’art. 644-ter c.p., ai sensi del quale la prescrizione decorre dal giorno dell’ultima riscossione degli interessi e del capitale, hanno aperto la strada ad una nuova visione del reato di usura. In particolare, parte della giurisprudenza ha cominciato a ritenere rilevante – e pertanto punibile – anche la condotta successiva alla pattuizione e a concludere nel senso che l’usura costituisca un reato a duplice schema: se alla promessa non segue la riscossione, il reato è a condotta unitaria che si perfeziona e consuma al momento della pattuizione; in caso di successivo versamento degli interessi, seguirà lo schema del reato a condotta frazionata.

La questione è stata risolta con la sentenza del 2014 mediante la quale Sezioni Unite, pronunciandosi in merito all’individuazione del momento consumativo del delitto di usura e soffermandosi in particolar modo sulla questione del concorso nel reato da parte di un soggetto – diverso dall’autore - che abbia posto in essere la sola attività di riscossione del credito, hanno attribuito all’ usura la natura di reato a condotta frazionata, evidenziando la scissione che si realizza tra il momento del perfezionamento e quello consumativo: il reato risulta perfezionato al momento della stipulazione del patto usuraio, ma solo con l’esecuzione dell’accordo e la conseguente riscossione degli interessi il reato potrà definirsi consumato. Pertanto, in caso di mancata riscossione del credito, dovrà escludersi anche il concorso nel reato in quanto il momento consumativo coinciderà con la fase della pattuizione degli interessi.

Occorre sottolineare come la riforma del ’96 non si sia limitata a riformare la norma del codice penale ma abbia esplicato effetti anche dal punto di vista civilistico, modificando il dettato dell’art. 1815 c.c.

Tale norma rappresenta l’unica disposizione che si occupa espressamente dell’usura stabilendo, nei contratti di mutuo, la nullità della clausola con la quale sono stabiliti interessi usurari. Ebbene, la riforma ne ha modificato il comma secondo, eliminando l’automatica sostituzione del tasso usurario con il tasso legale.

Il raffronto tra le due norme, civilistica e penalistica, rileva in particolar modo con riferimento al tema dell’usura sopravvenuta. In particolare, ha costituito oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale la riconducibilità al reato ex art. 644 c.p. dell’istituto dell’usura sopravvenuta, la quale si configura quando il tasso di interesse concordato tra le parti superi la soglia consentita non al momento originario della pattuizione bensì in corso di esecuzione del contratto.

L’usura sopravvenuta può verificarsi in due circostanze: con riguardo ai rapporti instaurati prima dell’entrata in vigore della legge n. 108/96 e relativamente a quelli sorti in un momento successivo.

Con riferimento ai primi, allorché risultino ancora in esecuzione successivamente alla riforma, questi integreranno un’ipotesi di usura sopravvenuta, conseguenza di una sopravvenienza normativa.

Circa i rapporti sorti dopo la legge antiusura, si configurerà invece un’ipotesi di usura sopravvenuta ogni qual volta il tasso di interessi, originariamente convenuto nei limiti della soglia di usura, superi tale limite a seguito della rideterminazione trimestrale.

L’orientamento maggioritario propendeva per l’applicazione di quanto stabilito dalla legge del 1996 anche ai contratti pendenti al momento della sua entrata in vigore, ritendendo che l’usurarietà non dovesse essere stabilita in base al momento della pattuizione degli interessi ma solo successivamente. I dubbi sembravano essersi sopiti con legge di interpretazione autentica del 2000, in base alla quale ai fini dell’art. 644 c.p., sono da intendersi usurari solo gli interessi che superino il tasso-soglia al momento della pattuizione, senza che assumano alcuna rilevanza eventuali mutamenti sopravvenuti sino all’effettivo pagamento.

Tuttavia, il dibattito non si era placato. La riforma, infatti, non aveva introdotto alcuna disciplina transitoria per i rapporti anteriori né aveva chiarito il problema delle conseguenze delle continue variazioni del tasso soglia sui rapporti sorti successivamente, comportando il proliferare in dottrina e giurisprudenza di opinioni contrastanti.

Un primo orientamento giurisprudenziale, prendendo le mosse da quanto stabilito dalla legge del 2001, negava rilevanza penale all’usura sopravvenuta, consideravano decisivo ai fini dell’usurarietà solamente il tasso stabilito inizialmente, nonostante il reato si potesse considerare consumato solo al momento dell’effettiva riscossione. Secondo i sostenitori di tale tesi, infatti, la norma di interpretazione autentica, attribuendo rilevanza al momento della pattuizione del tasso convenzionale, escluderebbe a priori l’applicabilità della legge n. 108 ai rapporti precedenti alla sua entrata in vigore, anche se non ancora esauriti.

I sostenitori di un ulteriore orientamento, invece, muovendo dall’assunto che l’usura configuri un reato a condotta frazionata, consideravano irragionevole la circostanza che il debitore dovesse corrispondere gli interessi anche qualora questi fossero diventati usurari successivamente alla pattuizione. Ed invero, basandosi sul dato letterale dell’art. 644 ter c.p., ritenevano che per stabilire l’usurarietà o meno degli interessi bisognasse guardare al momento della consumazione del reato, ossia al momento dell’effettiva riscossione.

Una terza e opposta corrente giurisprudenziale, infine, sosteneva l'incidenza della nuova legge sui contratti in corso alla data della sua entrata in vigore. Seguendo tale linea di pensiero, in numerose pronunce, infatti, veniva statuita la sostituzione automatica del tasso convenzionale in caso di superamento del tasso soglia fissato per effetto della riforma. In questi casi, inoltre, il tasso previamente stabilito dalle parti diveniva inefficace ex nunc. Secondo i sostenitori di tale orientamento, la norma di interpretazione autentica non era tesa all’eliminazione dell’illiceità della pretesa di un tasso di interesse eccedente la soglia, ma aveva come unico scopo l’escludere l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 comma 2 c.c., ferme restando le altre sanzioni. Pertanto, sarebbe sanzionabile penalmente solo l’usura originaria, mentre la pretesa di un pagamento di interessi ad un tasso divenuto usurario solo in un momento successivo comporterebbe il sorgere solo di responsabilità civile.

Ebbene, nei confronti di questa molteplicità di vedute, la pronuncia delle Sezioni Unite del 2017 ha avuto una portata dirompente.

Innanzitutto, la Corte, passando innanzitutto in rassegna i vari orientamenti giurisprudenziali, ha ritenuto priva di fondamento l’orientamento giurisprudenziale, teso a limitare l’efficacia della norma di interpretazione autentica alla sola sanzione penale e alla sanzione civile della gratuità del mutuo, e ha concluso per l’unitarietà del fenomeno usurario: tanto è configurabile un illecito civile in quanto sia configurabile la violazione dell’art. 644 c.p., alla luce della norma di interpretazione autentica.

Successivamente, con riferimento all’illiceità della pretesa con conseguente violazione del canone di buona fede, sostenuta dal terzo orientamento sulla base del meccanismo della sostituzione automatica del tasso convenzionale, le Sezioni Unite hanno stabilito che la parte che pretende il pagamento di interessi, seppur divenuti superiori al tasso soglia in un momento successivo, sta correttamente esercitando i propri diritti scaturenti dal contratto. Pertanto, va esclusa la violazione del principio di buona fede oggettiva nell’esecuzione dei contratti in caso di pretesa di pagamento di interessi a un tasso divenuto superiore al tasso soglia: si può incorrere in tale violazione solo qualora tale diritto venga esercitato in concreto con modalità scorrette.

Pertanto, la Corte, avvallando quanto sostenuto dal primo orientamento, ha dichiarato che l’eventuale usurarietà sopravvenuta dei tassi di interesse pattuiti, con specifico riferimento ai contratti di mutuo, non possa comportare la nullità o inefficacia della clausola di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della riforma del 1996 né la configurabilità del reato di usura. Secondo i giudici di legittimità, la negazione della configurabilità dell’usura sopravvenuta è la naturale conseguenza dell’applicazione della norma di interpretazione autentica dell’articolo 644 del codice penale e dell’art. 1815 comma 2 c.c.

Invero, atteso che ai fini della configurabilità del reato di usura art. 644 c.p. occorre considerare il momento della pattuizione degli interessi, indipendentemente da quello del loro pagamento, anche ai fini civili, conseguentemente, non potrà che rilevare solo l’usura originaria. Sul piano civile, infatti, l’ordinamento non prevede un autonomo divieto di usura, ma sancisce sanzioni accessorie e di completamento al divieto penale.


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