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Diritto Penale

Il rapporto tra associazione per delinquere di stampo mafioso e associazione dedita al narcotraffico


ELABORATO TEORICO SINTETICO a cura di Ottavia Grigenti


Il narcotraffico rappresenta da sempre una delle principali attività illecite gestite dalla criminalità di stampo mafioso, la quale mette al servizio del commercio di stupefacenti una stabile struttura di mezzi, persone e denaro, creando una rete capillare nel territorio sottoposto al suo controllo.

Ciò ha portato la giurisprudenza a confrontarsi sul problema della configurabilità di un concorso tra la fattispecie di cui al 416 bis e l’associazione dedita al narcotraffico di cui all’art. 74 del d.p.r. 309/90. La questione controversa riguardava l’ammissibilità che tra i reati-scopo dell’associazione mafiosa vi fosse un reato a sua volta associativo, legato al primo dal concorso formale ex art. 81 c.p., oppure se fosse preferibile riconoscere un concorso solo apparente di norme, al fine di non punire due volte il fatto associativo, che quasi sempre è unico e coincide con l’organizzazione di stampo mafioso.

Innanzitutto, occorre brevemente esaminare i criteri con cui la giurisprudenza valuta la sussistenza o meno di un concorso apparente di reati.

L’orientamento recentemente consolidatosi, confermato dalle Sezioni Unite del 2018, è quello che aderisce alla tesi monista-formalista del concorso apparente, la quale individua come unico criterio di accertamento il principio di specialità sancito all’art. 15 c.p.

In passato la giurisprudenza di legittimità aveva fatto uso frequente di una pluralità di criteri anche di tipo sostanziale, i quali miravano ad accertare se, nel caso in concreto, il fatto di reato punito da una norma fosse assorbito, in termini di portata di disvalore, in una seconda disposizione, descrivente una fattispecie astratta più grave, ma operante nella “medesima materia” (principio di consunzione o dell’assorbimento).

Da un lato un approccio sostanzialistico poteva portare a soluzioni più aderenti a una giustizia del caso concreto, evitando qualsiasi elusione del principio ne bis in idem, così come interpretato dalla giurisprudenza interna e sovranazionale, ossia come divieto di punire due volte un soggetto per lo stesso fatto materiale e non per il medesimo “fatto legale”. Dall’altra, tuttavia, si avvertiva il rischio di scivolare in giudizi valoriali in assenza di una qualsivoglia base legale, in aperto contrasto con il principio di legalità.

Le recenti sentenze hanno privilegiato l’utilizzo esclusivo del criterio della specialità, in quanto non solo è l’unico previsto dal codice, ma permette anche un confronto astratto di tipo strutturale tra norme, valido a prescindere dallo specifico caso concreto e dunque con garanzia di un giudizio oggettivo sul rapporto tra reati.

Alla luce di queste premesse, occorre dunque analizzare le fattispecie tipiche in esame.

L’art. 416 bis punisce la sola partecipazione ad un’associazione composta da almeno tre soggetti, la quale è caratterizzata dal fatto che il programma criminoso è molto esteso e comprende, oltre alla commissione di una serie indeterminata di illeciti, anche attività che di per sé sarebbero lecite, ma per le modalità in cui sono esercitate o influenzate a causa dell’infiltrazione mafiosa, diventano illecite e sono, a maggior ragione, particolarmente insidiose per il tessuto politico, economico e sociale del Paese (ostacolo al libero esercizio del voto, influenza sul rilascio di autorizzazioni, aggiudicazioni di appalti e servizi pubblici, gestione e controllo di attività economiche e finanziarie).

Nonostante l’appartenenza della fattispecie alla famiglia dei reati associativi, la giurisprudenza maggioritaria interpreta il 416 bis come reato a struttura mista, in cui non basta la plurisoggettività e il programma criminoso, ma ci deve essere una parte di attuazione del “metodo mafioso”, ossia la manifestazione esterna della forza intimidatrice.

Ciò che ha indotto il Legislatore a introdurre questa ipotesi speciale di reato associativo è la volontà di reprimere un fenomeno peculiare, ossia l’attività delinquenziale commessa grazie all’uso del metodo mafioso.

È nel metodo mafioso che si concentra il disvalore della norma, la quale nasce dall’osservazione del fenomeno sociologico-criminale delle mafie storiche, ma è anche idonea ad abbracciare i più recenti fenomeni delle mafie autoctone, delocalizzate e straniere.

Sussiste il metodo mafioso quando per raggiungere la varietà di finalità descritte, il sodalizio si affida alla forza e al potere che esso trae dall’intimidazione dei consociati del territorio in cui opera, e dalla quale si hanno due effetti: l’assoggettamento del consociato al volere dell’organizzazione e l’omertà, intesa nel senso comune di mancata collaborazione con le autorità nella denuncia di fatti criminosi, per paura di ritorsioni.

Passando ad esaminare la fattispecie di cui all’art. 74 possiamo notare alcune somiglianze, ma anche delle decisive differenze con la prima ipotesi di reato.

La norma punisce sempre la condotta di partecipazione, sia qualificata da particolari ruoli (organizzatore, promotore, finanziatore) sia quella semplice, in un’associazione di almeno tre soggetti, la quale, tuttavia, dev’essere finalizzata alla commissione dei reati inerenti l’importazione/esportazione di sostanze stupefacenti, nonché di spaccio, detenzione, produzione delle medesime, di cui agli artt. 70 commi 4, 6, 10 e. 73 del d.p.r. 309/90.

Trattasi di un reato di pericolo, al pari dell’associazione a delinquere di cui costituisce un’ipotesi speciale, caratterizzata dal dolo specifico.

Dal confronto con il 416 bis, l’orientamento maggioritario della giurisprudenza che utilizza esclusivamente il criterio della specialità, è pervenuta alla esclusione di un concorso apparente di norme, in quanto tra le medesime vi sarebbe un rapporto di specialità reciproca.

Entrambe, infatti, sono caratterizzate dalla presenza di un elemento specializzante rispetto all’altra: il metodo mafioso nell’art. 416 bis e il dolo specifico orientato verso i reati sopra citati per l’art. 74.

Inoltre, la giurisprudenza ha osservato che vi sarebbe anche una differenza tra le due norme con riguardo al bene giuridico tutelato: nel reato di associazione dedita al narcotraffico, oltre all’ordine pubblico e la pubblica sicurezza viene in rilievo anche la salute e l’incolumità pubblica, messa a rischio dalla diffusione dell’assunzione delle sostanze psicotrope.

Anche aderendo alla tesi per cui il concetto di “medesima materia” va inteso come identità di bene giuridico leso, dunque, si giungerebbe ad escludere l’applicazione dell’art. 15 c.p.

Un orientamento minoritario, sostenuto a più voci dalla dottrina, ha criticato tale soluzione osservando che così facendo, si andrebbe a punire due volte un soggetto per il medesimo fatto della partecipazione all’associazione ogni volta che il sodalizio criminale utilizza la propria struttura per porla al servizio del narcotraffico.

Le soluzioni alternative, tuttavia, potrebbero portare a risultati insoddisfacenti nella risposta punitiva al fenomeno.

Nelle due norme, il Legislatore ha individuato cornici sanzionatorie molto divergenti, punendo più gravemente l’associazione dedita al narcotraffico. Questo sarebbe giustificato dai beni giuridici ulteriori che la norma mira a tutelare rispetto al 416 bis.

Se si operasse sulla base del principio di consunzione, si dovrebbe propendere per l’assorbimento dell’art. 416 bis nell’art. 74, in quanto reato più grave sulla base della cornice edittale, con applicazione dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1; il ché comporterebbe il rischio di non poter operare un concorso con attività che, senza la base normativa ex art. 416 bis, resterebbero impunite.


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