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Diritto Penale

Riserva di legge, irretroattività sfavorevole e stato di emergenza



Svolgimento a cura di Flavia De Grazia


Il principio della riserva di legge esprime il divieto di punire un determinato fatto, in assenza di una legge preesistente che lo configuri come reato, prevedendone una sanzione.

Esso trova fondamento nell'art. 25, co II Cost., a tenore del quale nessuno può essere punito, se non in forza di una legge entrata in vigore prima che il fatto sia commesso.

In tal senso, si rinviene un forte legame tra il principio di riserva di legge, irretroattività della legge penale, tassatività, determinatezza e previsione, quali corollari del principio di legalità.

Tanto premesso, al fine di comprendere la rilevanza del principio della riserva di legge in materia penale, è doveroso interrogarsi su quale ne sia la ratio e quali siano gli atti che, in ossequio a tale principio, possono essere considerati fonti del diritto penale.

Anzitutto, la ratio della riserva di legge viene oggi pacificamente individuata in un'esigenza garantista di democraticità, per cui le scelte politico-criminali sono riservate al Parlamento. Questo è organo direttamente rappresentativo della collettività, in grado di esprimere al meglio la volontà popolare, attraverso un processo di formazione delle leggi, che garantisce una dialettica che coinvolge le minoranze.

Si tratta, dunque, di una ratio di natura sostanziale, garantista, che mira ad attribuire una competenza penale al Parlamento, caratterizzato da una piena legittimazione democratica.

Problema centrale è quello relativo all'armonizzabilità tra il principio costituzionale della riserva di legge e i modelli di integrazione tra norma primaria e la previsione proveniente dall'esecutivo.

In particolare, occorre chiedersi se atti del Governo, quali i regolamenti, i decreti ministeriali o i provvedimenti amministrativi, possano integrare le norme incriminatrici.

La questione si intreccia certamente con il tema della natura assoluta, relativa o tendenzialmente assoluta della riserva di legge.

In particolare, superando gli orientamenti precedenti, oggi la tesi prevalente qualifica la riserva di legge come tendenzialmente assoluta, ammettendo che la norma incriminatrice possa rinviare a norme regolamentari abilitate ad introdurre specificazioni tecniche, discipline di dettaglio.

In tal modo, le fonti sublegislative possono integrare, o completare la norma incriminatrice secondo diversi modelli di integrazione. In particolare, la dottrina suole distinguere tra norme integratrici e non integratrici del precetto.

Nel primo caso, la fonte extrapenale diviene parte integrante del precetto normativo, attenendo alla previsione astratta e dunque deve soggiacere al principio della riserva di legge.

Nel secondo caso, invece, si limita a descrivere il fatto concreto, rimanendo esterna al precetto normativo e dunque non è necessario che venga rispettata la ratio della riserva di legge.

Tanto chiarito, occorre chiedersi se il principio de quo consenta il riconoscimento, quali fonti di diritto penale, di taluni atti di produzione normativa diversi dalla legge in senso stretto.

In particolare, ci si chiede se possano avere incidenza penale anche quei provvedimenti provenienti da organi diversi dal Parlamento, ma comunque adottati alla stregua di un procedimento che coinvolge le Camere.

La questione, in passato molto dibattuta, attiene al decreto legge e al decreto legislativo, adottati dall'organo esecutivo a seguito di un procedimento che coinvolge il Parlamento, sia pure soltanto in un momento antecedente o successivo all'adozione del decreto.

Il primo è disciplinato dall'art. 77 Cost. che attribuisce al Governo, in casi straordinari di necessità ed urgenza, il potere di adottare provvedimenti provvisori aventi forza di legge. Il decreto viene sottoposto al controllo delle Camere, che possono convertirlo in legge o non convertirlo: in questo caso decade ex tunc.

Il secondo, disciplinato dall'art. 76 Cost., è un atto adottato dal Governo, su delega del Parlamento, che, in questo caso, svolge un ruolo antecedente e preventivo, rispetto all'adozione del decreto.

Ebbene, la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che entrambi appartengono al novero delle fonti del diritto penale, in quanto in entrambi i casi il Parlamento svolge un ruolo di controllo, che garantisce le esigenze di democraticità, in ossequio alla ratio sostanzialistica della riserva di legge.

Nello specifico, nel caso del decreto legge, l'organo parlamentare svolge un controllo sì successivo, ma particolarmente pregnante, fermo restando che la mancata conversione del decreto in legge, ne determina una decadenza ex tunc. In questo caso, l'attribuzione del potere legislativo al Governo sarebbe inoltre giustificata dalla situazione di necessità ed urgenza, richiesta dall'art. 77 Cost., quale presupposto indefettibile per l'adozione del decreto legge. Ne deriva, come ribadito dalla giurisprudenza, che questo non può essere reiterato sine die, in quanto la reiterazione fisiologicamente esclude una situazione eccezionale e dunque temporanea. La Consulta ha inoltre precisato che, in sede di conversione, il contenuto del decreto può essere emendato, purchè si tratti di emendamenti omogenei: tra il decreto e la legge sussiste un rapporto di interdipendenza, tale per cui il contenuto dei due atti normativi deve essere necessariamente omogeneo.

Nel caso del decreto legislativo, invece, il Parlamento esercita un controllo preventivo, tanto che la giurisprudenza ha più volte chiarito che la legge con cui il Parlamento delega al Governo l'adozione del decreto deve essere chiara, analitica e sufficientemente determinata, dovendo necessariamente contenere la materia su cui legiferare, i principi direttivi e i termini entro cui il Governo può esercitare il potere.

La legge delega è dunque norma interposta tra la Costituzione e il decreto legislativo, derivandone che il decreto non conforme alla legge delega è incostituzionale per eccesso di delega e, dunque, per violazione dell'art. 76 Cost.

Nonostante le critiche di una parte della dottrina, la giurisprudenza ha chiarito che il ruolo svolto dal Parlamento in entrambi i casi consente di ritenere rispettata la ratio della riserva di legge.

Al contrario, non possono ritenersi fonti del diritto penale le leggi regionali in quanto si ritiene che il legislatore regionale non abbia potestà punitiva, non avendo una visione globale sulle esigenze presenti sul territorio nazionale. Per tale ragione si ritiene esclusa la possibilità che una legge regionale introduca, modifichi o abroghi una fattispecie penale.

La giurisprudenza costituzionale ha infatti escluso anche l'eventualità che la legge regionale possa intervenire in bonam partem, chiarendo che la delicatezza della disciplina penale, dalla cui applicazione può derivare la privazione della libertà personale, quale diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, impone che essa sia attribuita al solo Parlamento.

In tal modo viene assicurata una disciplina di extrema ratio, unitaria e garantista.

In un sistema multi- livello come quello attuale, anche le norme comunitarie possono avere una particolare rilevanza penale.

Nello specifico, si ritiene che tali norme possano intervenire in bonam partem, determinando la disapplicazione di una norma incriminatrice contrastante. Infatti, le norme comunitarie che producono effetti diretti, quale ad esempio la direttiva self executing, determinano la disapplicazione della norma interna con esse contrastante, laddove non sia possibile un'interpretazione conforme.

Difficile ipotizzare, invece, che il diritto europeo possa introdurre fattispecie incriminatrici o che, comunque, producano un effetto diretto in malam partem. A sostegno, potrebbero essere richiamati diversi argomenti, primo tra tutti, si ritiene, che l'Unione Europea presenti ancora oggi un deficit di democraticità che non consente di ritenere soddisfatta l'esigenza garantista e democratica, sottesa al principio della riserva di legge. L'impossibilità delle norme comunitarie di produrre effetti diretti in malam partem è avallata dalla giurisprudenza, anche sovranazionale, che ha più volte ribadito che la disciplina penale è attribuita alla legislazione nazionale.

Chiariti i tratti essenziali del principio di riserva di legge, è doveroso osservare come il dato letterale dell'art. 25, co II Cost., tracci un legame inscindibile con un principio ulteriore, anch'esso corollario del principio di legalità: l'irretroattività della legge sfavorevole.

Difatti, la norma citata da un lato attribuisce alla legge il compito di qualificare un fatto determinato come reato, dall'altro impone che tale legge entri in vigore prima che il fatto venga commesso.

L'irretroattività della legge viene sancita anche dall'art. 11 delle disposizioni preliminari al Codice Civile, che prevede che la legge non dispone che per l'avvenire e dall'art 2 c.p., che fornisce una disciplina minuziosa, volta ad enunciare i criteri per la risoluzione di problemi teorici e pratici relativi alla successione delle leggi penali.

Il principio dell'irretroattività della legge penale è sancito anche dall'art. 7 CEDU, ai sensi del quale i cittadini dei Paesi membri della Convenzione non possono essere condannati per un fatto non previamente previsto come reato dal diritto vigente, ovvero non possono essere assoggettati a pene più severe di quelle applicabili al momento della commissione del fatto.

Chiarito quali sono le fonti normative nazionali e sovranazionali del principio di irretroattività della legge penale, è doveroso interrogarsi sulla ratio sottesa a tale principio.

In particolare, la giurisprudenza ha affermato che essa si rintraccia in una duplice esigenza.

Da un lato, infatti, l'irretroattività garantisce il destinatario della norma da possibili arbitri del legislatore, che potrebbe punire comportamenti in origine penalmente leciti.

Dall'altro consente, pur sempre in un'ottica garantista, di agire consapevolmente, prevedendo le conseguenze che possono derivare dalla propria azione od omissione.

Ne deriva che il principio dell'irretroattività della legge penale, pur essendo autonomo, deve essere analizzato congiuntamente ai principi di riserva di legge, determinatezza, precisione e colpevolezza, così come interpretati dalla giurisprudenza.

Nello specifico, gli artt. 25, co II Cost. e 7 CEDU impongono che le norme incriminatrici entrino in vigore prima che il fatto sia commesso, che siano chiare, precise e determinate poichè solo in tal modo il soggetto può agire consapevolmente, calcolando previamente le conseguenze afflittive della propria condotta. In tal senso, prevedibilità e calcolabilità delle conseguenze sono esigenze certamente sottese al principio dell'irretroattività della legge penale, il cui fondamento è costituito dall'art. 25, co II Cost.

Particolarmente rilevante è il rapporto tra irretroattività sfavorevole e retroattività favorevole, tema dibattuto in dottrina e in giurisprudenza.

Ci si è chiesti, infatti, se lo stesso art. 25, co II Cost., possa porsi a fondamento anche del principio della retroattività della lex mitior, in un'ottica di favor rei.

Comprendere il rango del principio di retroattività favorevole e, dunque, comprendere se questo abbia rilievo costituzionale, consente di affermarne, o meno, l'inderogabilità.

Se in un primo momento si è dubitato della compatibilità con l'art.25, co II Cost, in una fase successiva, la giurisprudenza costituzionale, ha chiarito che il principio in questione troverebbe fondamento, sia pure non esplicito, all'art. 3 Cost., che sancisce i principi di uguaglianza e ragionevolezza.

In particolare, si è affermato che il principio di uguaglianza impone in linea di massima di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti, a prescindere dalla circostanza che essi si siano verificati prima o dopo l'entrata in vigore della norma che ha disposto un'abolitio criminis o una modifica mitigatrice. Si osserva, infatti, che sarebbe contrario al principio di uguaglianza punire un soggetto più gravemente per un fatto che, se fosse stato posto in essere successivamente, sarebbe stato lecito o punito meno severamente.

La giurisprudenza costituzionale ha in tal modo affermato una fondamentale differenza tra irretroattività sfavorevole e retroattività favorevole, chiarendo che la prima trova un fondamento diretto nell'art. 25, co II Cost ed è quindi principio inderogabile, mentre la seconda trova fondamento indiretto nell'art. 3 Cost. Ne deriva che solo il principio della retroattività della lex mitior è derogabile, sia pure alla luce di un bilanciamento condotto alla stregua della ragionevolezza.

Anche la giurisprudenza internazionale si è espressa a riguardo, riconoscendo che il principio de quo possa essere ricondotto all'alveo dei principi sanciti dall'art. 7 CEDU. Tuttavia, secondo la dottrina e la giurisprudenza dominante, è da escludere che tale riconoscimento consenta alla retroattività della legge più favorevole di acquisire un'autonomia o di mutare la propria natura o caratteristiche. Essa resta un principio derogabile mediante la tecnica del bilanciamento ragionevole degli interessi in conflitto.

Orbene, chiarita la ratio e la inderogabilità del principio di irretroattività sfavorevole, in quanto principio espressamente sancito dalla Costituzione, è doveroso interrogarsi in ordine al rapporto tra i principi costituzionali in materia penale e lo stato di emergenza.

Anzitutto, giova premettere che lo stato d'emergenza rintraccia la propria fonte normativa nel D.Lgs. 1/2018, che elenca le tipologie di situazioni di natura emergenziale, nonchè di eventi che "in ragione della loro intensità o estensione, debbono, con immediatezza di intervento, essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari, da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo".

In presenza di tali situazioni, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente, d'intesa con le regioni, delibera lo stato di emergenza, che gli consente di esercitare poteri eccezionali, sia pure per un periodo di tempo limitato. In generale, dunque, lo stato di emergenza consente di derogare alle norme di legge, pur rispettando i principi generali dell'ordinamento.

Premesso cosa si intende per stato di emergenza, giova soffermarsi sul rapporto che intercorre tra quest'ultimo e i principi del diritto penale, con particolare riferimento alla riserva di legge e alla irretroattività della legge penale.

Per quanto concerne il principio di riserva di legge, la ratio sostanzialistica consente di qualificare come fonti del diritto penale anche quei provvedimenti, quali il decreto legge e il decreto legislativo, che, pur provenendo da organi diversi dal Parlamento, sono assoggettati al suo controllo.

In riferimento allo stato di emergenza, è pacifico, dunque, che la materia penale possa essere disciplinata dal decreto legge, strumento di emergenza per eccellenza. La giurisprudenza ha, tuttavia, più volte ribadito che "necessità e urgenza" sono presupposti necessari affinchè la competenza legislativa penale sia attribuita in via eccezionale e temporanea all'organo esecutivo.

Questo comporta non soltanto che il decreto legge non possa essere reiterato, bensì pure che debba sussistere un rapporto di interdipendenza ed omogeneità tra il contenuto del decreto e la legge di conversione.

Per quanto concerne, invece, il rapporto tra il principio di irretroattività della legge penale e lo stato di emergenza, la questione è certamente più complessa.

Occorre, anzitutto, chiarire che l'emergenza è una situazione fisiologicamente extra ordinem, di natura eccezionale e, in quanto tale, imprevedibile. Si tratta di un evento che non è possibile predeterminare e che impone l'adozione di regole inedite per la risoluzione di problematiche.

In tal senso, lo stato di emergenza sembra porsi in una posizione antitetica rispetto al principio dell'irretroattività della legge penale, che, invece, impone la predeterminazione della regola penale al fine di consentire al destinatario di calcolare le conseguenze della propria condotta.

A riguardo, è possibile distinguere tra due opposti orientamenti dottrinali.

Da un lato, una parte della dottrina ritiene che lo stato di emergenza, dichiarato sull'intero territorio nazionale, possa giustificare la cedevolezza del principio dell'inderogabilità dell'irretroattività sfavorevole. La natura emergenziale della situazione verificatasi impone la scelta di criteri che non possono essere predeterminati e che dunque possono essere selezionati solo dopo il verificarsi dell'emergenza. Del resto, la dottrina sottolinea come ogni situazione extra ordinem, in quanto tale, sfugge da ogni previsione, richiedendo soluzioni create ad hoc, giustificate dalla necessità, pur se adottate nel rispetto dei principi posti alla base dell'ordinamento giuridico.

A sostegno potrebbe richiamarsi il dato letterale dell'art. 2 c.p., che, nel dettare i criteri per disciplinare la successione delle leggi penali nel tempo, sottrae alla disciplina disposta, le leggi temporanee ed eccezionali. La norma, dunque, lascerebbe desumere che il verificarsi di eventi di natura eccezionale impone l'adozione di una disciplina che non soggiace ai criteri che generalmente regolano la successione delle leggi nel tempo.

D'altro lato, un orientamento opposto ritiene che neppure lo stato di emergenza può scalfire l'inderogabilità del principio di irretroattività sfavorevole.

In tal senso, si osserva che la giurisprudenza nazionale e sovranazionale ha più volte ribadito che solo la retroattività favorevole può costituire oggetto di bilanciamento e, oltretutto, solo alla luce della ragionevolezza. L'irretroattività sfavorevole, al contrario, è principio inderogabile in quanto espressamente sancito dall'art. 25, co II Cost.

A sostegno, potrebbero richiamarsi argomentazioni diverse, come ad esempio, il dato letterale dell'art. 15, co II CEDU, che dispone l'inderogabilità del principio de quo anche in caso di guerra o pericolo pubblico per la vita della nazione.

Ebbene, la norma si riferisce espressamente a situazioni eccezionali e di particolare gravità, ma non consente la cedevolezza del principio della irretroattività sfavorevole. La ragione di tale scelta va ancora una volta ricercata nella ratio legis, la cui natura garantista si ritiene necessaria ancor di più in periodi in cui il legislatore potrebbe arbitrariamente mutare la disciplina penale.

Il dibattito sul rapporto tra irretroattività sfavorevole e stato di emergenza è alla base di una recente questione, posta all'attenzione della Corte Costituzionale.

Si tratta dell'art. 83 co IV DL 18/2020, con cui si dispone la sospensione del corso dei termini della prescrizione, anche in relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore del Decreto.

Orbene, il DL 18/2020 ha introdotto una causa di sospensione della prescrizione, che completa la generale disciplina di rinvio delle udienze civili e penali, al fine di perseguire l'obiettivo di contenere la diffusione del Covid-19 nei luoghi considerati particolarmente a rischio.

Si tratta, pertanto, di una disposizione volta a contrastare una situazione di emergenza, che viene introdotta mediante lo strumento del decreto legge, in ossequio al principio della riserva di legge.

La norma in questione, se da un lato quindi non risulta in contrasto con tale principio, dall'altro pone un problema di compatibilità con l'irretroattività sfavorevole, nella misura in cui la sospensione del corso dei termini della prescrizione, che determina un effetto in malam partem, viene disposta anche in relazione ai fatti pregressi e dunque anteriori all'entrata in vigore del decreto.

Anzitutto, è doverosa una premessa sulla natura giuridica della prescrizione, questione, anch'essa, oggetto di un'antica querelle.

Secondo l'orientamento, che sembrerebbe essere ormai pacificamente accolto in giurisprudenza, la prescrizione ha natura sostanziale, da cui deriva che l'istituto soggiace a tutti i principi posti alla base del diritto penale, tra cui il principio dell'irretroattività sfavorevole.

Al contrario di quanto sostenuto dalla Corte di Giustizia, infatti, la Corte Costituzionale ha ribadito che la prescrizione è soggetta allo statuto delle garanzie della legalità penale in quanto si tratta di un istituto che incide sulla punibilità della persona e, pertanto, deve essere ricondotto all'art. 25, co II Cost. Per tale ragione, la Consulta ha affermato che la garanzia offerta dalla norma debba ritenersi estesa all'intera disciplina della prescrizione, ivi compresi i fatti sospensivi ed interruttivi.

Orbene, la posizione assunta dalla giurisprudenza costituzionale in tema di prescrizione appare chiara: l'istituto ha natura sostanziale e in quanto tale soggiace ai principi di cui all'art. 25 co II Cost., ivi compreso il principio dell'irretroattività sfavorevole.

Rispetto a tale assunto, l'art. 83 Dl 18/2020 appare certamente in contrasto, in quanto introduce una disciplina della prescrizione che è in grado di retroagire a fatti pregressi.

La questione ha costituito oggetto di un acceso dibattito, che è stato più volte recentemente sottoposto all'attenzione della giurisprudenza.

In particolare, la giurisprudenza di merito ha osservato che la disciplina di cui all'art. 83 Dl 18/2020 si pone in contrasto con i principi costituzionali di cui all'art. 25, co II Cost e che, pertanto, la norma dovrebbe essere dichiarata incostituzionale.

A sostegno, si è richiamata non soltanto la natura sostanziale della prescrizione, bensì pure l'inderogabilità del principio della irretroattività sfavorevole che non potrebbe risultare cedevole neppure in un contesto emergenziale, quale quello cui cerca di far fronte il Dl 18/2020.

I giudici di merito hanno infatti osservato che il carattere eccezionale o necessitato della disciplina non sarebbe tale da giustificare una compressione dei principi dettati in materia penale, in quanto lo Stato di Diritto impedisce di derogare a quei principi che costituiscono elementi identificativi dell'ordinamento costituzionale. Nessuna deroga può dunque essere ammessa al principio dell'irretroattività sfavorevole, la cui inderogabilità è ormai diritto vivente.

Occorre osservare, infatti, che il solo modo per ritenere l'art. 83 conforme alla Costituzione, sarebbe quello di considerare la prescrizione un istituto processuale e non sostanziale. Tuttavia, una eventuale "processualizzazione" della prescrizione sarebbe difficilmente giustificabile alla luce delle numerose sentenze della Corte Costituzionale, in cui se ne afferma una natura sostanziale.

Un ulteriore orientamento, al fine di approdare ad una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 83 ha osservato che la disciplina dettata non modifica, nè innova la disciplina della prescrizione, ma, al contrario, andrebbe ricondotta all'art. 159 c.p.

La norma citata, infatti, dispone una sospensione dei termini di prescrizione ogni qualvolta una specifica disposizione di legge disponga la sospensione dei procedimenti o dei processi penali, o dei termini di custodia cautelare.

Secondo tale orientamento, dunque, l'art. 83 Dl 18/2020 sarebbe una specifica disposizione di legge riconducibile ai casi previsti dallo stesso art. 159 c.p.

A tale tesi, si oppone un orientamento ulteriore, valorizzato dalla giurisprudenza di merito, secondo cui ricondurre l'art. 83 all'art 159 c.p., ne determinerebbe una interpretatio abrogans, in quanto la norma si limiterebbe a ribadire quanto già affermato dalla disciplina generale in materia di prescrizione. Si osserva, inoltre, che le due norme avrebbero due presupposti diversi, in quanto mentre l'art. 159 c.p. fa riferimento ai casi di "sospensione dei procedimenti", l'art. 83 fa espresso riferimento al solo "rinvio di udienza", concetto non perfettamente coincidente con la sospensione dei procedimenti o processi penali.

La giurisprudenza di legittimità, chiamata ad esprimersi sul punto, ha ribadito la natura sostanziale della prescrizione ed ha escluso la questione della legittimità costituzionale, ritenendo l'art. 83 Dl 18/2020 conforme al principio dell'irretroattività sfavorevole.

Il ragionamento seguito dai giudici della Suprema Corte è quello di ricondurre la disciplina dettata dalla norma citata all'alveo dei casi cui fa riferimento l'art. 159 c.p.

Nello specifico, il legislatore non avrebbe introdotto una nuova figura di prescrizione, ma avrebbe individuato un presupposto per rendere applicabile la fattispecie generale prevista dall'art. 159 c.p.

L'intervento legislativo, inoltre, risulterebbe giustificato dallo stato di necessità e dall'esigenza di fronteggiare una situazione emergenziale.

Appare evidente, dal testo dell'art. 159 c.p., una stretta connessione tra il decorso dei termini di prescrizione e il decorso del processo, tanto che, laddove questo venga sospeso, non può che verificarsi una sospensione anche dei termini di prescrizione, che in questi casi, risulta fisiologica.

La questione è stata recentemente sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale, ritenendo l'art. 83 Dl 18/2020 conforme all'art. 25, co II Cost e, in particolare, al principio dell'irretroattività sfavorevole.

In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza, è possibile ricercare gli argomenti che possono essere posti a sostegno della lettura costituzionalmente orientata della norma de quo.

Uno di tali argomenti potrebbe riguardare la natura giuridica della prescrizione, che dunque potrebbe essere considerata istituto "non del tutto" sostanziale. Difatti, la stessa Corte Costituzionale, se da un lato ha affermato con fermezza la natura sostanziale della prescrizione, dall'altro ha riconosciuto che essa è in concreto esposta a vicende processuali e che, pertanto, l'applicazione delle regole in materia richiede una valutazione del caso concreto.

Un'ulteriore tesi, che consentirebbe di giustificare la legittimità costituzionale dell'art. 83 potrebbe rintracciarsi proprio nella riconducibilità di tale norma all'alveo dell'art. 159 c.p.. L'accoglimento di tale tesi avrebbe certamente il pregio di non sovvertire il diritto vivente sulla natura giuridica della prescrizione e di non mettere in discussione l'inderogabilità dell'irretroattività sfavorevole.

Argomento ulteriore e contrario, invece, potrebbe consistere nell' ammettere la cedevolezza di tale principio in situazioni di emergenza, che impongono soluzioni alternative, necessariamente non predeterminate e giustificate dalla natura extra ordinem dell'evento cui si deve far fronte.

In particolare, si potrebbe sostenere la necessità di derogare al principio dell'irretroattività sfavorevole, all'esito di un bilanciamento, da condursi alla luce della ragionevolezza, con ulteriori principi in gioco, quali, in questo caso, il diritto alla vita e alla salute. Sarebbe proprio l'esigenza di tutela di tali diritti, infatti, a giustificare la sospensione di attività di diversa natura, ivi compresa l'attività giudiziaria, da cui deriverebbe inevitabilmente la sospensione del decorso dei termini di prescrizione.

L'accoglimento di tale tesi rischierebbe, tuttavia, di mettere in discussione l'inderogabilità della irretroattività sfavorevole, considerato uno dei principi supremi del diritto penale. La conseguenza sarebbe certamente quella di scalfire la garanzia che tale principio offre, venendone sacrificata la ratio: garantire la prevedibilità e la calcolabilità delle conseguenze afflittive che derivano dalla propria condotta.


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