“Tentativo, perfezionamento e consumazione del reato, con particolare riferimento al delitto di violenza sessuale”
Svolgimento a cura di Benedetta Mauro
Il diritto penale, incidendo sulla libertà personale del reo, richiede che il fatto di reato sia espressamente previsto dalla legge; il legislatore, nel descrivere la fattispecie criminosa, deve pertanto individuare tutti gli elementi costitutivi necessari affinché il reato possa ritenersi perfezionato.
Il reato si perfeziona nel momento in cui l’autore tiene una condotta corrispondente alla fattispecie astratta, ossia un comportamento che integri tutti gli elementi costitutivi della norma incriminatrice. L’offesa che ne consegue raggiunge la sua massima intensità con la consumazione, che coincide con la realizzazione della condotta o con il verificarsi dell’evento.
I due momenti del perfezionamento e della consumazione possono sovrapporsi o essere distanziati nel tempo. Nel primo caso, il reato è istantaneo e si consuma al momento del perfezionamento ossia quando la condotta offensiva integra tutti gli elementi del reato; nel secondo caso, come nei reati di durata, la condotta criminosa perfeziona il reato ma si protrae nel tempo, aggravando l’offesa al bene tutelato e raggiungendo la sua massima portata nel momento della consumazione.
La scissione tra perfezionamento del reato e momento consumativo ha importanti risvolti pratici in sede di individuazione del tempus commissi delicti e quindi, a titolo esemplificativo, per determinare il dies a quo della prescrizione, per verificare la sussistenza dello stato di flagranza o per risolvere questioni di successione di norme penali nel tempo.
La condotta del reo può assumere rilevanza penale anche prima del perfezionamento del reato, quando gli atti posti in essere soddisfino i requisiti previsti dall’art. 56 c.p. per la punibilità a titolo di tentativo.
Attraverso la clausola generale prevista dalla norma è infatti possibile estendere l’area penalmente rilevante e anticipare la risposta sanzionatoria: per effetto del combinato disposto tra l’articolo 56 c.p. e la norma incriminatrice di parte speciale, prende infatti vita un autonomo titolo di reato.
Si tratta del tentativo di delitto, rispetto al quale l’offesa è rappresentata dal pericolo che si verifichi una lesione al bene giuridico tutelato.
Ne consegue che l’articolo 56 c.p. potrà operare con riferimento solo ai delitti di danno e non ai delitti di pericolo poiché, in caso contrario, si punirebbe un “pericolo di pericolo”, in violazione del principio di offensività.
Perché possa configurarsi un tentativo di delitto è quindi necessario che l’azione non si compia o che l'evento non si verifichi. Diversamente il delitto risulterebbe integrato e quindi perfezionato.
Partendo da questo presupposto, l’articolo 56 c.p. individua due requisiti essenziali: gli atti posti in essere devono essere idonei a commettere un delitto e devono essere diretti in modo non equivoco a tale fine.
Tanto premesso, occorre verificare come gli istituti in questione operino in relazione al delitto di violenza sessuale, ex art. 609 bis c.p., che punisce chi con violenza o minaccia o abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali e chi abusando delle condizioni di inferiorità della persona offesa o traendola in inganno mediante sostituzione, induce la stessa a compiere o subire atti della medesima specie.
Si tratta di una disposizione in cui confluiscono il reato di violenza carnale, ex art. 519 c.p., con il delitto di atti di libidine violenti, ex art 521 c.p., nonché di congiunzione carnale abusiva, art. 520 c.p.
Focalizzando il disvalore del delitto sull’offesa alla libera autodeterminazione sessuale, il legislatore ha assegnato rilevanza penale a qualsiasi forma di violenza sessuale a prescindere dalle modalità della condotta e dal tipo di interazione fisica intervenuta tra le parti.
Tale condotta consiste sia nel costringimento a compiere o subire atti sessuali mediante violenza, minaccia o abuso di autorità, comma 1, sia nella sola induzione realizzata con abuso della minorata difesa della vittima o con sostituzione di persona, comma 2.
Proprio alla nozione di atti sessuali che occorre prestare attenzione, avendo la stessa ricompreso non solo gli atti di libidine ma anche la congiunzione carnale. Se il bene giuridico tutelato dalla norma è la libera autodeterminazione, la condotta penalmente rilevante integrante atti sessuali sarà quella idonea a compromettere tale libertà ossia qualsiasi contatto corporeo anche fugace che si traduca in una concreta intrusione nell’altrui sfera sessuale. Occorre comunque tener conto del contesto in cui si svolge l’azione, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte e di ogni elemento sintomatico di una indebita compromissione del bene giuridico tutelato.
Il reato potrà dirsi consumato nel momento e nel luogo in cui viene compiuto l’atto sessuale a prescindere dal fatto che il soggetto attivo abbia conseguito l’appagamento sessuale.
La giurisprudenza ha preferito accogliere una nozione oggettiva e non soggettiva di atto sessuale. Ciò che rileva è che l’atto si traduca in un contatto fisico, essendo irrilevante l’effetto che l’atto ha avuto sul soggetto agente o la percezione che dell’atto è stata data dalla persona offesa. Restano quindi fuori dalla portata della norma le ipotesi di esibizionismo e di voyeurismo.
Contatto fisico che non necessariamente deve interessare le zone genitali, potendo riguardare qualsiasi zona erogena. Ne discende che gli atti di feticismo non possono definirsi atti sessuali, perché il contatto fisico interessa zone del corpo non erogene e quindi non è atto che offende la libera autodeterminazione sessuale.
Trattandosi di delitto a dolo generico, non è necessario che la condotta sia finalizzata al soddisfacimento del piacere sessuale del reo essendo sufficiente che questi sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto volontariamente posto in essere.
Il legislatore del 1996 unificando negli atti sessuali le precedenti ipotesi di atti di libidine, violenza e congiunzione carnale, aumentando poi la pena nel 2019 con il Codice Rosso, ha precisato all’ultimo comma che nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non superiore ai due terzi.
Posto che ai fini del perfezionamento del reato sono del tutto irrilevanti le modalità di estrinsecazione degli atti sessuali, la previsione di una fattispecie di minore gravità, con conseguente attenuazione della risposta sanzionatoria, consente di garantire una pena proporzionata al grado di offensività, che tenga conto del grado di incidenza che l’atto sessuale ha avuto sulla libera determinazione sessuale della vittima.
Per ritenere il fatto di minore gravità occorre compiere una valutazione globale dello stesso, tenendo conto dei mezzi e delle modalità esecutive, del grado di coartazione esercitato sulla vittima e delle sue condizioni fisiche e psichiche. Sarà sufficiente anche un solo elemento di conclamata gravità per escludere l’applicazione della diminuente.
Occorre precisare che l’attenuante in questione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza ma è legata al riconoscimento di una più lieve compromissione del bene giuridico tutelato dalla disposizione. La stessa ratio è seguita dal legislatore con riferimento alla fattispecie prevista in materia di atti sessuali con minorenne, dal comma 4 dell’art. 609 quater c.p. ove nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Tanto precisato, occorre osservare che quando non sia stato posto in essere alcun atto sessuale ma ciò nonostante il soggetto agente abbia posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a compierlo ai danni della vittima, con le modalità previste dall’art. 609 bis c.p., il legislatore, attraverso la clausola generale dell’articolo 56 c.p., consente di configurare il tentativo di delitto di violenza sessuale.
Si avrà quindi tentativo di violenza sessuale ogni qual volta l’atto sessuale non si compia, essendo il reato di cui all’articolo 609 bis c.p. reato di mera condotta e più precisamente a condotta vincolata, e tuttavia gli atti posti in essere risultino idonei e diretti in modo non equivoco a realizzare una violenza sessuale.
Il giudice, compiendo un accertamento di prognosi postuma, dovrà calarsi virtualmente nel luogo e nel tempo in cui gli atti sono stati posti in essere e valutare se, alla luce delle circostanze del caso concreto, tenendo conto delle caratteristiche fisiche e psichiche della vittima e del soggetto agente, ed eliminando la causa esterna che ha interrotto il percorso causale, quegli atti pur non essendo ancora definibili come atti sessuali in senso obiettivo, sarebbero stati effettivamente idonei a commettere il delitto. Ciò che rileva, sul piano oggettivo, è quindi l’idoneità della condotta a violare la libertà di autodeterminazione sessuale. Quindi il tentativo è configurabile non solo nel caso in cui gli atti idonei diretti in modo non equivoco a porre in essere un abuso sessuale non si siano estrinsecati in un contatto corporeo, ma anche quando il contatto sia stato superficiale o fugace e non abbia interessato una zona erogena essendo indifferente la durata del contatto o l’appagamento sessuale del reo.
Quando invece siano stati posti in essere atti sessuali, sebbene diversi da quelli che il reo intendeva realizzare, ma comunque tali da perfezionare la fattispecie penale in esame, non si sarà di fronte ad un ipotesi tentata di violenza sessuale ma risulterà integrata la fattispecie criminosa nella forma di minore gravità.
A fronte dunque di atti idonei e univoci rispetto alla consumazione di un delitto di violenza sessuale di ordinaria o elevata gravità, che esulano dunque dall’ipotesi di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., ove la condotta non sia stata portata a termine per cause indipendenti dalla volontà del reo, non si sarà in presenza di un tentativo di violenza sessuale “grave” ogni qual volta il soggetto agente abbia comunque posto in essere atti sessuali.
In siffatte ipotesi, a seconda della gravità della porzione di condotta criminosa posta in essere dal reo, fermo restando il superamento della soglia del tentativo, in quanto risulta già compromessa la libertà sessuale della vittima, il giudice sarà chiamato a valutare se si tratti di atti di minore gravità, quand’anche propedeutici rispetto ad una condotta ben più grave, ovvero se tale soglia di offensività sia stata superata.
Ne deriva un diverso regime sanzionatorio, posto che l’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., a differenza dell’art. 56 c.p., non prevede una diminuzione di almeno un terzo di pena, stabilendo la sola soglia massima di due terzi.
Conclusivamente, con riferimento alla violenza sessuale, può configurarsi il tentativo fintanto che la condotta posta in essere dal reo non sfoci in atti sessuali, quand’anche diversi e meno gravi da quelli che intendeva compiere.
Il reato si perfeziona infatti anche a fronte del mero contatto delle zone erogene del reo o della vittima ma la consumazione, quale apice dell’offesa arrecata, si verifica al termine della condotta, con l’ultimo atto sessuale.
La successione tentativo-perfezionamento-consumazione vede pertanto inserito un ulteriore stadio di offensività, legato alla disposizione di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p., tale per cui al tentativo segue il perfezionamento del reato, che può arrestarsi al livello di minore gravità, ovvero sfociare nelle ipotesi più gravi, punite dai commi primo e secondo della disposizione citata. In ogni caso la consumazione coinciderà, come anticipato, con la cessazione dell’ultimo atto sessuale.
Ne consegue che il delitto deve ritenersi perfezionato e non già tentato ogni qual volta, pur mirando alla consumazione di una violenza sessuale non di minore gravità, il reo abbia comunque posto in essere atti sessuali, integrando tutti gli estremi della fattispecie penale ex art. 609 bis c.p., salva la valutazione circa la gravità degli stessi.
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