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Diritto Penale

Traccia

Premessi cenni sul reato continuato, si esamini la disciplina dei reati in continuazione con particolare riferimento alla prescrizione.


Svolgimento a cura di Rita Tizzani


La questione involgente la natura giuridica del reato continuato, quale reato unitario ovvero come insieme fattispecie autonome considerate singolarmente, assume notevole rilevanza applicativa in relazione agli effetti che possono verificarsi nei confronti del reo.

Il reato continuato, disciplinato dall’art. 81, c.2, c.p., viene in rilievo allorchè con più azioni od omissioni, vengano commesse più violazioni della medesima legge o di leggi diverse.

Si tratta, dunque, di una ipotesi di concorso materiale di reati, data la pluralità di azioni od omissioni, cui tuttavia non si applica il trattamento sanzionatorio proprio del concorso materiale, bensì quello del concorso formale che si sostanzia nel cumulo giuridico delle pene. Il giudice sarà infatti chiamato ad applicare la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo.

Il migliore trattamento sanzionatorio riservato al reato continuato, in deroga al cumulo materiale delle pene, trova ragion d’essere nel riconoscimento della continuazione, che viene in rilievo quando si accerti che la pluralità di reati, ancorché commessi in tempi diversi, siano il risultato esecutivo del medesimo disegno criminoso.

In tal caso si ritiene infatti che il reo abbia ceduto una sola volta ai motivi a delinquere e, per questo, l’ordinamento riconosce una minore riprovevolezza nella sua condotta delittuosa.

La ratio di favor rei sottesa a tale forma di manifestazione del reato ha il suo fondamento giuridico nell’accertamento del “medesimo disegno criminoso” che rappresenta, pertanto, l’elemento centrale della continuazione.

La sua centralità ha fatto sì che si sviluppassero numerose tesi in merito al significato da ascrivere a tale locuzione.

Non è risultata condivisibile la tesi volontaristica, che richiede una volontà unitaria per ogni reato, così confondendo il programma complessivo con il coefficiente volontaristico che deve animare ogni singola fattispecie criminosa; è stata superata anche la tesi intellettiva, per cui sarebbe sufficiente la mera rappresentazione dei singoli reati, a prescindere dalla unicità dello scopo.

È stata, invece, avallata dalla dottrina la tesi programmatico-teleologica, secondo cui, in aggiunta all’elemento intellettivo, deve sussistere l’unicità dello scopo perseguito per effetto di una programmazione, per linee essenziali, dei singoli reati.

In tale ottica le varianti del programma iniziale non fanno venir meno l’unificazione quando si tratti di modifiche e sviluppi che non siano sintomatiche di stravolgimenti del programma originario.

Inoltre, se da un lato, stando a questa tesi, non serve la volontà dei reati specifici, dall’altro, non sono sufficienti delle generiche inclinazioni a delinquere sintomatiche di uno stile di vita.

È, invece, necessaria una deliberazione che programmi i singoli reati con unicità di scopo, che venga accertata con un giudizio sintetico e non atomistico, volto a valorizzare tipologie di reati, rapporti con la vittima, omogeneità delle condotte e delle violazioni, circostanze di luogo e di tempo.

Proprio l’unicità di scopo ha portato il legislatore a considerare il reato continuato come reato unitario ai fini del trattamento sanzionatorio e ha posto l’ulteriore questione della natura giuridica da ascrivergli: se considerarlo, in particolare, un’unica fattispecie criminosa o se ascrivere autonomia alle singole fattispecie di cui si compone.

Tale qualificazione assume rilievo per via degli effetti favorevoli o sfavorevoli che ne possano derivare in capo al reo.

In dottrina si sono contrapposte due principali ricostruzioni successivamente superate da una terza tesi.

Una prima impostazione qualificava l’istituto come un’unica fattispecie penale complessa, nella quale il legislatore avesse voluto “fondere” le singole fattispecie criminose in continuazione tra loro.

La seconda tesi, invece, valorizzava l’autonomia tra i singoli reati e sosteneva che la continuazione avesse effetto sul solo piano sanzionatorio.

Entrambe le tesi, tuttavia, conducevano ad effetti sfavorevoli per il reo in numerosi casi, contrastando con la ratio dell’istituto. Per tale ragione è stata elaborata in dottrina una terza soluzione che, valorizzando la ratio del favor rei che caratterizza il reato continuato, ritiene di poter considerare unico il fenomeno della continuazione ovvero autonomi e distinti i singoli reati a seconda degli effetti che ne derivano per il reo.

Qualora, infatti, possano derivare effetti favorevoli dalla qualificazione in termini unitari della fattispecie penale continuata, si potrà optare per tale soluzione: come ad esempio ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena, che sarebbe preclusa a fronte della commissione di una pluralità di reati successivi; ovvero ai fini della dichiarazione di abitualità o di professionalità nel delitto o nelle contravvenzioni, di cui agli artt. 102 ss. c.p.

Diversamente, le singole condotte dovranno essere considerate autonomamente e unificate esclusivamente sul piano sanzionatorio, quando ciò consenta di garantire al reo l’estinzione di uno o più reati, come nel caso di amnistia, di indulto e come accadeva anche per la prescrizione del reato fino alla novella legislativa del 2019.

Con particolare riferimento alla prescrizione, quale causa di estinzione del reato, prima della riforma operata con legge 251 del 2005, l’art. 158 c.p. individuava il momento della decorrenza del termine di prescrizione nella cessazione della continuazione e, quindi, nella commissione dell’ultima condotta esecutiva del medesimo disegno criminoso.

Venuta meno tale previsione, anche in caso di reato continuato trovava applicazione nella giurisprudenza la regola che fa riferimento alla consumazione dei singoli reati, con effetto favorevole per il reo.

Con la novella del 2019, a mezzo della legge n.3, il legislatore ha tuttavia compiuto un passo indietro e ha sostituito il primo comma dell’art. 158 c.p., che disciplina l’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, prevedendo espressamente che in caso di reato continuato la prescrizione decorra dal giorno in cui è cessata la continuazione.

La norma, quindi, introduce una modifica in peius in relazione al regime della prescrizione dei reati avvinti dal vincolo della continuazione, in spregio della natura marcatamente garantista e favorevole al reo dell’istituto e in controtendenza rispetto alla granitica giurisprudenza che considera unitario il reato continuato solo quando ne derivino effetti favorevoli per il reo.

Nel caso di specie, anche reati altrimenti prescritti vedrebbero decorrere la prescrizione dal successivo momento di consumazione dell’ultimo reato esecutivo del medesimo disegno criminoso.

Ferma la irretroattività della disposizione in esame, stante il suo carattere sostanziale e di sfavore, sono stati sollevati dubbi di legittimità costituzionale della novella. Si è infatti osservato che, come sostenuto dalla Corte Costituzionale, nell’esaminare il rapporto tra continuazione e giudicato, l’istituto del reato continuato è sorretto da una ratio di favore per il reo. Tale ratio viene tuttavia tradita dalla nuova disposizione, che finisce per imporre al reo un effetto negativo, in termini di decorrenza della prescrizione, ogni qual volta dovesse invocare la continuazione.

In assenza di una possibile interpretazione costituzionalmente orientata, dunque, dovrà essere adita la Corte Costituzionale affinché valuti la ragionevolezza della nuova disciplina e la sua rispondenza alla ratio dell’istituto.


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