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Diritto Penale

TRACCIA

Ricostruita la disciplina delle circostanze nel concorso di persone nel reato, si soffermi il candidato sulla natura della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p.

Svolgimento a cura di Lucia Marchegiani.

La disciplina delle circostanze del reato è un tema che assume particolare rilevanza con riferimento al concorso di persone nel reato. Esso rappresenta peraltro un argomento di grande attualità allorché si tratti dei reati associativi di stampo mafioso, soprattutto alla luce delle più recenti innovazioni legislative e giurisprudenziali. Al fine di operare un’accurata disamina della tematica in questione, pare opportuno dar conto brevemente della disciplina generale delle circostanze e del concorso di persone nel reato, per poi soffermarsi sulla natura della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p., introdotta dall’art. 5 del Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21 e precedentemente prevista dall’art. 7 del Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella Legge 12 luglio 1991, n. 203. Innanzitutto, risulta utile ribadire che le circostanze sono elementi accidentali e quindi non costitutivi del reato, in quanto non influiscono sul perfezionarsi della fattispecie criminosa. Disciplinate nella parte generale del Codice Penale, esse si possono diversamente classificare in circostanze aggravanti e attenuanti perché, ove presenti, comportano rispettivamente un aumento o una diminuzione di pena. Si distinguono ulteriormente in comuni o speciali, laddove siano previste o per la generalità dei reati ovvero per i singoli illeciti. Inoltre, vengono classificate in base agli effetti che producono sulla pena base, dividendosi in circostanze ad effetto comune o ad effetto speciale, perché possono comportare un aumento o una diminuzione di pena fino ad un terzo, come previsto in generale dagli artt. 64 e 65 c.p., ovvero una variazione diversamente stabilita dalla legge. Il Codice opera un’ulteriore distinzione tra circostanze oggettive e soggettive. Secondo quanto disposto dall’art. 70 c.p., si considerano oggettive quelle inerenti alla natura, alla specie, ai mezzi, all’oggetto, al tempo e al luogo del reato, alle modalità dell’azione, alla gravità del danno o del pericolo ed alle condizioni personali dell’offeso. Sono invece soggettive quelle concernenti l’elemento psicologico, le condizioni o qualità del colpevole ed i rapporti tra colpevole ed offeso. Il Codice penale detta una disciplina delle circostanza anche con riferimento al concorso di persone nel reato. L’art. 112 c.p., infatti, stabilisce aggravamenti di pena qualora l’illecito sia commesso da un numero di persone superiore a cinque, per chi promuove e organizza il reato e altresì per chi induca persone a commettere un illecito penale, abusando della sua posizione di autorità. La pena è aumentata anche per coloro che determinano a commettere il reato persone minorenni o mentalmente inferme o che si avvalgano del non imputabile per l’esecuzione dello stesso. Il Codice, dunque, tutela chi commette il reato perché vi è stato costretto o indotto e si trovi in una posizione di soggezione o comunque di debolezza. È quindi disciplinata con particolare sfavore la situazione giuridica di chi, in qualità di genitore o esercente la responsabilità genitoriale, spinga a commettere il reato o si avvalga, per questo, di una persona posta sotto la propria custodia; allo stesso modo è aspramente sanzionato chi approfitta dell’infermo di mente per i propri illeciti scopi. Sempre con specifico riferimento al concorso, l’art. 114 c.p., prevede circostanze attenuanti per il concorrente che apporta un contributo minimo nella preparazione o nell’esecuzione del reato o per chi è stato determinato a commetterlo essendo minore o infermo di mente, ovvero sia stato costretto da chi esercita o ricopre una posizione di autorità, direzione o vigilanza. La diminuzione di pena per chi contribuisca in modo minimo all’illecito, non si applica nei casi in cui ricorrano le circostanze aggravanti di cui all’art. 112 c.p. Le suddette circostanze si ritengono dettate in generale sia per i reati a concorso eventuale, sia per quelli a concorso necessario, restando all’interprete il compito di valutare, nel caso concreto, se esse siano applicabili o meno. Gli artt. 118 e 119, c.p. stabiliscono infine che le aggravanti e le attenuanti di natura soggettiva vanno valutate solo con riguardo alla persona cui si riferiscono. Quelle oggettive, che escludono la pena, si esetendono a tutti coloro che hanno commesso il reato, in virtù del principio del favor rei. Con riferimento alla distinzione tra circostanze oggettive e soggettive che si pone dunque la questione in merito alla natura giuridica della circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p., inserito, come accennato poc’anzi, ad opera del D. Lgs. n. 21 del 2018. Trattasi di una disposizione che disciplina circostanze specifiche ed è connessa a reati di stampo mafioso. Essa, infatti, sancisce un’aggravante per tutti quegli illeciti punibili con pena diversa dall’ergastolo, commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. Come ben noto, il suddetto articolo introdotto dalla Legge Rognoni – La Torre, 13 settembre 1982, n. 646, definisce in modo puntuale l’associazione per delinquere di tipo mafioso: la norma stabilisce che il sodalizio presenta tali caratteristiche quando i partecipi si avvalgono della forza dell’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere delitti, acquisire o gestire attività economiche, concessioni, appalti o servizi pubblici, per realizzare profitti ingiusti o per coartare o influenzare il libero esercizio del voto e delle consultazioni elettorali. Tale previsione legislativa risponde all’esigenza di politica criminale di identificare in modo puntuale e determinato i caratteri del fenomeno mafioso che, fino agli anni ottanta del secolo scorso, risultava ancora non ben definito sul piano sociologico e quindi normativo. Come è possibile evincere dal carattere del testo, data anche la severità della pena prevista per questo reato, la disposizione appare piuttosto tassativa e chiara in merito alla nozione di associazione per delinquere di carattere mafioso. Ciò risulta ovviamente necessario, al fine di offrire un dato letterale pienamente rispondente ai principi di tassatività, determinatezza e prevedibilità della norma penale. Analogamente a quanto accade per il reato cui si collega, anche l’aggravante ex art. 416 bis 1 c.p., trova la propria ratio preventiva e repressiva del fenomeno mafioso, con lo scopo principale di arginarlo. Come anticipato, la disposizione in esame prevede un aumento di pena per chi commetta reati avvalendosi del metodo mafioso o al fine di agevolare una delle attività di cui all’art. 416 bis c.p. Affinché possa configurarsi la circostanza aggravante, risulta dunque indispensabile la presenza di almeno uno dei seguenti elementi: l’avvalimento del metodo mafioso o l’aver commesso il fatto al fine di agevolare un’associazione mafiosa. Essendo sufficiente che l’agente compia il reato mediante il metodo di cui all’art. 416 bis c.p., non risulta necessario che egli faccia parte del sodalizio criminale, potendo agire anche come concorrente esterno nell’associazione mafiosa. Trattasi di circostanza ad effetto speciale in quanto l’aumento previsto dalla legge non è quello generale di un terzo, ma può variare da un terzo alla metà. Inoltre, le attenuanti diverse da quelle previste dagli artt. 114 e 98, c.p., qualora ricorrano, non possono essere giudicate equivalenti o prevalenti nel giudizio di bilanciamento. Eventuali diminuzioni di pena, quindi, andranno applicate a quella risultante dal già effettuato aumento. Come in precedenza anticipato, la questione forse di maggiore rilevanza riguardante la norma in questione concerne la natura oggettiva o soggettiva della suddetta aggravante. Sul tema è sorto un contrasto giurisprudenziale di non scarsa rilevanza, in quanto la distinzione tra circostanze oggettive e soggettive, infatti, comporta la loro estensione nel primo caso o la mancata estensione nel secondo, agli altri eventuali concorrenti nel reato. La prima circostanza, relativa al metodo mafioso, non pone particolari problemi interpretativi, a differenza della seconda parte della norma, relativa invece all’agevolazione mafiosa. In particolare, la norma, attraverso l’indicazione della finalità agevolatrice appare richiedere l’elemento del dolo specifico e ciò comporterebbe la qualificazione della circostanza come soggettiva. Al contrario, se le espressioni in questione intendessero solo una mera idoneità delle condotte ad agevolare il sodalizio mafioso, si potrebbe optare per la concezione oggettiva dell’aggravante. Parte della giurisprudenza, in un’ottica di sfavore per il reo, sostiene la natura oggettiva dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p., poiché essa riguarderebbe una modalità dell’azione volta ad agevolare l’associazione mafiosa. Se ci si sofferma, infatti, solo sulla condotta posta in essere dal reo, è necessario valutare meramente l’idoneità oggettiva della stessa a favoreggiare l’attività dell’associazione. Non si richiederebbe pertanto un dolo specifico perché sarebbe sufficiente che l’agente commetta il reato, a qualsiasi titolo e che esso sia servente alla causa del sodalizio. Inoltre, ciò comporterebbe l’estensione della circostanza aggravante anche agli altri eventuali correi. Altro e più recente orientamento, invece, aderisce all’ipotesi della natura soggettiva di detta circostanza, sostenendo che essa sia inerente alla specifica motivazione a delinquere, quindi ad una particolare direzione della volontà. Conferendo rilievo, infatti, alla ragione soggettiva che sorregge la condotta, al fine di imputare la circostanza, si richiederebbe il dolo specifico di agevolazione dell’associazione. Il reo, cioè, dovrebbe commettere il reato con coscienza e volontà di fornire un contributo al raggiungimento degli scopi associativi. Essa, dunque, in caso di concorso di persone nel reato, sarebbe applicabile solo al soggetto cui si riferisce. A fronte del descritto contrasto, la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dando atto altresì di un orientamento mediano, a parere del quale non può stabilirsi in via definitiva la natura soggettiva o oggettiva dell’aggravante, poiché la finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa può atteggiarsi sia come elemento psicologico di dolo specifico sia come modalità dell’azione delittuosa. Quindi, secondo tale orientamento, la natura soggettiva o oggettiva della suddetta aggravante va rilevata in base a come essa si presenta nel caso concreto. Non vi sono dubbi interpretativi sul fatto che il delitto che viene commesso debba essere oggettivamente idoneo a favorire le attività del sodalizio criminale mafioso. Il contrasto, pertanto, riguarda il grado di volontarietà di tale elemento: è cioè necessario stabilire se l’agevolazione sia specificamente voluta dall’agente ovvero se essa sia coperta da un grado meno intenso di dolo e, quindi, si atteggi come modalità dell’azione. Nel primo caso, l’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 c.p. si considererà come soggettiva, nel secondo come oggettiva. Con una recente sentenza del 2020, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate in merito al contrasto in esame, chiarendo innanzitutto la pacifica natura oggettiva che emerge nella prima parte dell’art. 416 bis 1, comma 1, c.p. La lettera della norma, infatti, afferma chiaramente che la circostanza in questione è configurabile allorché il reo agisca avvalendosi del metodo mafioso, tassativamente enucleato dall’art. 416 bis c.p. Il dubbio interpretativo riguarda pertanto solo la seconda parte del comma primo dell’art. 416 bis 1 c.p., laddove si richiede che le condotte siano commesse al fine di agevolare un sodalizio mafioso. Il Supremo Consesso di legittimità ripercorre gli orientamenti principali formatisi in merito sottolineando che, anche qualificando la circostanza aggravante come soggettiva, essa non può prescindere dell’elemento oggettivo della concreta agevolazione dell’associazione. Allo stesso modo, aderendo ad una concezione oggettiva, non si può non esigere almeno una previsione potenziale ed astratta del fine agevolatore nei confronti della compagine associativa. Tuttavia, l’intento della Corte è quello principalmente di evitare addebiti a titolo di responsabilità oggettiva relativamente ai reati in questione. Un’accezione puramente oggettiva della circostanza, infatti, ignorerebbe totalmente ogni elemento di volizione dell’agente. Inoltre, considerando esclusivamente il concreto risultato agevolatore della condotta, si incorrerebbe inevitabilmente in un inquadramento di dubbia costituzionalità e contrastante con i principi generali del diritto penale ed in particolare con il principio di colpevolezza. È innegabile infatti che nella realtà odierna le mafie hanno subito notevoli evoluzioni e ramificazioni all’interno delle attività economiche, stratificandosi anche al di fuori dei territori in cui si sono originate. Da ciò si è quindi sviluppato il complesso fenomeno delle mafie silenti, spesso celate da apparenti attività economiche. Ne consegue che risultano dunque molteplici le condotte che finiscono per agevolare tali attività, pur nell’inconsapevolezza di chi le pone in essere. Si rivela pertanto necessario interpretare la circostanza aggravante dell’agevolazione dell’attività mafiosa non solo in modo conforme ai principi costituzionali, ma anche alla realtà del momento storico. È dunque inevitabile operare un accertamento in concreto dell’elemento psicologico che sorregge l’attività criminosa, risultando imprescindibile l’effettivo intento di creare un vantaggio per il sodalizio. La sentenza sottolinea l’inevitabile compresenza di elementi oggettivi e soggettivi per la configurazione della circostanza aggravante. È infatti imprescindibile che la condotta posta in essere dall’agente sia volta concretamente ad agevolare l’attività mafiosa ed è altresì necessario che il reo ne sia perfettamente cosciente. Tuttavia, le Sezioni Unite sostengono che non sia corretto fondare il discrimine tra qualificazione oggettiva e soggettiva sulla presenza dell’elemento psicologico del dolo specifico. Se si ritiene infatti necessario che l’agente compia il reato con l’intento di agevolare l’associazione, non si richiede però che tale finalità sia l’unica. La conclusione cui giunge la giurisprudenza, dunque, si orienta verso la qualificazione soggettiva della circostanza aggravante, di cui all’art. 416 bis 1 c.p., sostenendo che l’elemento soggettivo in base al quale pervenire all’imputazione è quello del dolo intenzionale. Il colpevole può anche avere molteplici finalità ma risulta imprescindibile che almeno una di esse risieda nell’agevolazione del sodalizio mafioso. Il fatto di agire in favore dell’associazione è infatti pacificamente un aspetto dell’elemento psicologico del reato e concerne la motivazione a delinquere. Inoltre si assume come necessario che, affinché vi sia il pieno rispetto del principio di offensività dell’illecito, il reo si rappresenti l’ipotesi di apportare un vantaggio all’associazione basandosi su elementi concreti. Deve cioè essere consapevole dell’esistenza di un’associazione mafiosa ex art. 416 bis c.p. e del fatto che l’attività posta in essere si iscriva in quelle tipiche ed utili per il raggiungimento degli scopi societari. I giudici di legittimità chiariscono anche la questione concernente l’eventuale estensione della circostanza agli eventuali correi, mediante un ragionamento logico – sistematico. Si ricorda infatti che, in base al combinato disposto dagli artt. 70 e 118, c.p., non vi è un assoluto divieto di estendere ai compartecipi le circostanze soggettive. L’art. 118 c.p., infatti, enuclea le circostanze applicabili solo alla persona cui si riferiscono, escludendo quelle relative alle condizioni o alle qualità personali del colpevole ed ai rapporti tra colpevole e offeso. Si ritiene pertanto che tali elementi siano estensibili ai concorrenti nel reato ove conosciuti o conoscibili ovvero ignorati per errore colpevole, secondo quanto disposto dall’art. 59 c.p. In virtù di tale percorso argomentativo, la Corte afferma che la possibilità di estendere o meno una circostanza ai correi non dipenda necessariamente dalla qualificazione della stessa come soggettiva o oggettiva ma, al contrario, dalla possibilità di oggettivizzare l’elemento stesso. Pertanto si ritiene che lo specifico motivo a delinquere concernente l’agevolazione dell’attività mafiosa sia suscettibile di essere oggettivamente conosciuto dal concorrente. Qualora infatti egli sia a conoscenza dell’intento dell’agente di commettere il reato per agevolare il sodalizio criminale e, ciò nonostante, non desista dal coadiuvarlo, la circostanza si assume conosciuta e dunque estensibile. Il nesso teleologico infatti tra la condotta dell’agente principale e l’attività dell’associazione, ove conosciuto dal compartecipe, diventa oggetto di rappresentazione e dunque elemento sorretto dal dolo diretto. In definitiva, il concorrente che sia estraneo rispetto a qualsiasi connessione con la compagine associativa ma che sia al corrente del fine agevolatore del reato commesso, può rispondere della fattispecie aggravata ex art. 416 bis 1 c.p. Al fine di operare una lettura completa della norma esaminata, la giurisprudenza analizza anche la questione della portata applicativa della circostanza ex art. 416 bis 1 c.p. e del concorso esterno in associazione mafiosa, chiarendo la piena autonomia dei due istituti. Come in precedenza esaminato, infatti, il concorrente esterno si presenta come colui che, pur non facendo parte del sodalizio, compie una o più condotte ausiliarie che risultano necessarie ai fini dell’attività associativa nel momento storico in cui vengono poste in essere. Il concorrente esterno, a differenza dell’autore del reato aggravato, è caratterizzato da una piena conoscenza dell’associazione e dei meccanismi che la caratterizzano ed è dunque consapevole dell’importanza e della funzionalità della propria condotta per gli scopi del sodalizio. Chi risponde ex art. 110 c.p., commette infatti una condotta tanto necessaria quanto atipica rispetto alla normale attività associativa. Si richiede infatti il concreto verificarsi del risultato a vantaggio della compagine. Al contrario, il reo che risponde secondo l’art. 416 bis 1 c.p., pone in essere una condotta di agevolazione, ma assolutamente fungibile e non indispensabile per la prosecuzione dell’associazione. Ne consegue che, ai fini dell’imputazione, non si richiede che si verifichi il concreto raggiungimento dello scopo. Da ciò è possibile dedurre che, se l’associato può anche essere colpevole dell’illecito aggravato, di certo non potrà essere concorrente esterno, in virtù del principio di non contraddizione dell’ordinamento. Dunque, in virtù del ragionamento fin qui condotto, è possibile dunque dedurre che, in base alla conclusione assunta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ed aderendo pienamente al testo normativo dell’art. 416 bis 1 c.p., la circostanza aggravante in questione richieda la necessaria compresenza di elementi oggettivi e soggettivi, quali la concreta agevolazione dell’attività mafiosa e la consapevolezza e volizione dello scopo. Essa presenta natura giuridica soggettiva sorretta dall’elemento psicologico del dolo intenzionale e, pertanto, va applicata solo al soggetto cui si riferisce. Tuttavia è suscettibile di estensione al correo che, anche non condividendo il fine di agevolazione, ne sia a conoscenza e non desista dal commettere l’illecito.


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