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Diritto Penale

TENTATIVO PUNIBILE - ATTI PREPARATORI - Cass. Pen., Sez. V, 9 gennaio 2020, n.392

MASSIMA “Per la configurabilità del tentativo di delitto, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo”.


IL CASO Tizio è stato condannato dalla Corte di Appello di Caltanissetta per furto di energia elettrica, riqualificato nell’ipotesi del tentativo ai sensi dell’art 56 c.p., poiché è stata rilevata la manomissione della cassetta porta-contatore e la presenza di cavi scorticati predisposti al fine di consentire un successivo prelievo di energia, tuttavia non è stato registrato alcun prelievo irregolare di energia elettrica, ma solo una predisposizione in tal senso. Il condannato ha proposto appello avverso la sentenza per violazione dell’art. 56 c.p. e correlato vizio della motivazione in merito alla riqualificazione del fatto, poiché non è emerso il passaggio alla fase esecutiva del reato: la condotta iniziale, infatti, è avvenuta nel 2008, mentre nessun prelievo di energia è stato registrato fino al 2011. Così ricostruita la vicenda, secondo la difesa, non sussiste il tentativo né sotto il profilo oggettivo, né sotto il profilo soggettivo in riferimento all’intenzione del reo di effettuare realmente il prelievo di energia.


LA QUESTIONE La Corte è chiamata a chiarire quale sia la soglia di rilevanza del tentativo punibile ex art. 56 c.p., ossia se una condotta preparatoria possa configurare un atto diretto in modo univoco a commettere il reato sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo o se invece esso rimanga nella sfera dell’irrilevanza penale.


SOLUZIONE La Corte ha ritenuto infondato il motivo di appello. Secondo il Collegio la condotta incriminata risale non al 2008 bensì al 2011, in quanto l’attribuzione soggettiva del fatto deriva dal sopralluogo effettuato in tale data, circostanza nella quale i verificatori dell’Enel hanno rilevato la presenza di una manomissione della cassetta portacontatore e la presenza di cavi scorticati predisposti al fine di consentire un successivo allaccio alla rete elettrica. Ciò, premesso la Corte si è soffermata sui criteri normativi in base ai quali individuare la soglia del tentativo punibile, richiamando due diversi orientamenti interpretativi. Secondo un più risalente indirizzo, gli atti diretti in modo non equivoco a commettere un reato possono essere esclusivamente gli atti esecutivi, ossia gli atti tipici, corrispondenti, anche solo in minima parte, alla descrizione legale di una fattispecie delittuosa a forma libera o vincolata. Secondo l’indirizzo prevalente, invece, rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri, ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente abbia già definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio e abbia già iniziato ad attuarlo; gli atti, inoltre, devono avere la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che dunque il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo. Quest’ultima prospettiva ermeneutica, condivisa dalla Corte, muove dal presupposto che nel codice l’area del tentativo penalmente rilevante non si basa sulla distinzione fra atti preparatori e atti esecutivi. Si ritiene, piuttosto, che l'atto preparatorio possa integrare gli estremi del tentativo punibile quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una valutazione ex ante e in relazione alle circostanze del caso di raggiungere il risultato prefissato e a tale risultato sia univocamente diretto. A fini di tale valutazione l’univocità degli atti è connotato non già di criterio di mera prova ma di "criterio di essenza": l'univocità degli atti nel delitto tentato, dunque, deve essere considerata come una caratteristica oggettiva della condotta, sicché è necessario che gli atti, in sé stessi, per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura ed essenza, rivelino, secondo le norme di esperienza il fine perseguito dall’agente. Del tutto consolidato, d'altro canto, è l'indirizzo della giurisprudenza di legittimità in ordine al requisito dell'idoneità degli atti richiesto per la configurabilità del reato tentato, idoneità che deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalità dell'azione, in modo da determinarne la reale adeguatezza causale e l'attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e concreto indipendentemente dall'insuccesso determinato da fattori estranei. Così definito il principio di diritto, la Corte ha ritenuto configurato il tentativo nella caso di specie. Nell’ipotesi in esame, l’oggettiva idoneità degli atti a consentire l’impossessamento all’energia elettrica è desumibile dalla manomissione sia della cassetta portacontatore sia dei cavi di alimentazione. Tali circostanze, inoltre, disvelano l’intenzione furtiva del soggetto in quanto, sulla base di una valutazione ex ante, non v'è altra plausibile spiegazione alternativa a una siffatta condotta se non nell'ottica finalistica, appunto, di un illecito prelievo. Segnalazione a cura di Camilla Bignotti





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