LA MASSIMA:
“In tema di tentato furto, ai fini della configurazione dell'autonoma disponibilità della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l'impossessamento è funzionale, non rileva il dato temporale ex se, essendo sufficiente che l'agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l'esclusiva signoria di fatto sul bene, assumendo, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l'intervento di fattori causali successivi ed autonomi. In altri termini, l'agente acquisisce l'autonoma disponibilità della cosa sottratta - e la fattispecie si realizza in forma consumata - solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia"
IL CASO:
La questione all’esame della Suprema Corte trae origine dal furto di alcuni capi di vestiario, perpetrato all’interno di un negozio di abbigliamento ma tempestivamente impedito dall’intervento di un addetto alla vigilanza che, avendo osservato da una vetrina l’intero svolgersi della condotta, era poi riuscito ad interrompere la fuga del reo, recuperando la merce.
LA QUESTIONE:
La questione di diritto, sollevata dalla difesa dell’imputato e indagata dalla Corte di Cassazione, attiene alla configurabilità, nel caso di specie, del delitto in forma tentata piuttosto che consumata, sul rilievo che l’imputato, avendo agito sotto il costante e diretto controllo dell’agente di vigilanza, non aveva mai veramente ottenuto l’autonoma disponibilità delle res, che segna il momento acquisitivo cui l’impossessamento è funzionale.
Al contrario, la Corte territoriale aveva ritenuto pienamente integrato il delitto di furto in forma consumata, valorizzando la circostanza che l’imputato, tentando la fuga, era riuscito ad assicurarsi, sebbene brevemente, il dominio esclusivo sulla merce, così realizzando una completa rescissione della signoria che sul bene esercitava il detentore.
Sul punto, occorre dare atto dell’orientamento giurisprudenziale, espresso dai Giudici di legittimità a Sezioni Unite, secondo cui il monitoraggio dell’azione furtiva, esercitato mediante strumenti automatici di rilevazione del movimento della merce oppure attraverso la diretta osservazione degli addetti alla sorveglianza, nonché il conseguente intervento difensivo, impediscono la consumazione del delitto di furto, che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo.
LA SOLUZIONE:
La Corte di Cassazione si avvale dei parametri interpretativi offerti dalle Sezioni Unite per avvalorare la tesi della consumazione, confermando la decisione della Corte territoriale.
E invero, le argomentazioni rese dalle Sezioni Unite consentono di individuare il discrimen tra consumazione e tentativo nella circostanza che l'imputato consegua, anche se per brevissimo tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, sicchè il reato può ritenersi non consumato bensì tentato solo se l’agente non ha conseguito, neppure momentaneamente, il possesso della refurtiva, materialmente appresa ma non ancora uscita dalla sfera di controllo della vittima.
In diversi termini, la Corte afferma che le attività di osservazione e controllo del reo, seguite dal necessario intervento degli addetti alla sicurezza, ostano alla consumazione del reato solo quando non consentono all’agente di interrompere, neppure per un istante, la signoria che la vittima esercita sui beni. Ne consegue che, qualora detti beni escano dalla sfera di controllo della persona offesa, per effetto dell’impossessamento dell’agente, il delitto si configura nella sua forma consumata, in disparte la circostanza che l’esclusivo dominio dei beni da parte del reo duri solo pochi istanti.
Segnalazione a cura di Margherita De Masi
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