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Diritto Penale

STUPEFACENTI - PENA - Cass., Sez. I, 3 marzo 2020, n. 13073


LA MASSIMA

“in tema di stupefacenti, la sopravvenuta illegalità della pena edittale minima prevista per il reato di cui all'art. 73, co.1 d.p.r. 309/90, conseguente alla sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale, comporta, in caso di ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna per tale reato riconosciuto in continuazione con altro più grave, che il relativo aumento di pena calcolato ai sensi dell'art. 81 cod. pen. sulla base dei parametri edittali in vigore al momento del fatto e successivamente dichiarati incostituzionali, deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile, conseguendone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione dell'aumento di pena”.


IL CASO

Con la sentenza in esame, la Prima Sezione della Suprema Corte si è occupata della rideterminazione della pena irrogata in sentenza a seguito della continuazione con reati più gravi, alla luce del mutato quadro normativo in tema di stupefacenti.

All’imputato era stato riconosciuto, in particolare, il vincolo della continuazione tra più reati, tutti qualificati ai sensi dell’art. 73, co. 1 d.p.r. 309/90, per i quali era stato condannato con diverse sentenze. Ritenuti i medesimi avvinti dal medesimo disegno criminoso, il G.I.P. aveva poi proceduto alla rideterminazione della pena, riducendola, per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 40/2019.

L’imputato ricorreva dunque per la cassazione dell’ordinanza per aver il giudice di prime cure omesso di rideterminare la pena in relazione ai reati diversi da quello più grave e per aver preso le mosse, nella rideterminazione della sanzione detentiva, da una pena base superiore, al minimo edittale previsto dalla normativa vigente a seguito dell'intervento della Corte Costituzionale.


LA QUESTIONE

Come ormai noto, le pene previste dalla fattispecie incriminatrice ex art. 73 d.p.r. 309/90, sono state oggetto di ripetuti interventi del legislatore e della Corte costituzionale. In particolare, la distinzione delle condotte illecite a seconda che il loro oggetto afferisca a sostanze stupefacenti così dette «leggere» (elencate nelle tabelle II e IV) ovvero «pesanti» (di cui alle tabelle I e III) — cui corrispondeva, in origine, un trattamento sanzionatorio assai diverso — è stata superata con la legge 49/2006, che ha stabilito, per tutte le tipologie di stupefacente, la pena della reclusione da sei a venti anni e della multa da 26.000 a 260.000 euro.

La Corte costituzionale, poi, con sentenza n. 32 del 2014, ha tuttavia dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme introdotte dalla suddetta legge, con conseguente reviviscenza del precedente testo del l'art. 73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e delle relative tabelle. Per i reati aventi ad oggetto le cc.dd. “droghe pesanti” è, quindi, tornata in vigore la sanzione della reclusione da otto a venti anni e della multa da 25.822 a 258.228 euro. Il giudice delle leggi è da ultimo intervenuto sulla disciplina in esame con la sentenza n. 40 del 2019, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 73, co. 1, d.p.r. 309/90— nel testo originario, applicabile per effetto della già citata sentenza n. 32 del 2014 — nella parte in cui fissava in otto, anziché sei, anni di reclusione il minimo edittale della pena detentiva.

Ciò posto, il provvedimento impugnato è stato emesso in costanza di esecuzione della sanzione detentiva irrogata al ricorrente nell'ambito di alcuni procedimenti penali, che si sono conclusi con altrettante sentenze irrevocabili ed afferiscono a reati espressivi del medesimo disegno criminoso.

La giurisprudenza di legittimità ritiene che, nel caso in cui la dichiarazione di incostituzionalità di una norma penale diversa da quella incriminatrice, che si riverberi sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, sopraggiunga prima che la pena sia stata interamente espiata, il giudice dell'esecuzione è tenuto, ove venga promosso apposito incidente, alla rideterminazione conseguente all'intervento della Corte costituzionale, cioè all'applicazione, in forza del principio consacrato dall'art. 30 n. 87/195 della più favorevole normativa risultante dalla dichiarazione di incostituzionalità (così come sancito dalla sentenza Gatto del 2014 delle SS.UU.). Nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione, chiamato a confrontarsi con il novum introdotto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 2019, ha rideterminato la pena detentiva — in relazione al reato più grave tra quelli per i quali ha riconosciuto la continuazione — senza compiere un'operazione di riduzione ispirata a criteri aritmetico-proporzionali e considerando, piuttosto, l'elevatissima offensività della condotta, concretatasi nel commercio di 17 kg di cocaina. Con ciò, si è attenuto ai principi della stessa Corte, alla stregua dei quali “quando, successivamente alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna, interviene la dichiarazione d'illegittimità costituzionale di una norma penale diversa da quella incriminatrice, incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, e quest'ultimo non è stato interamente eseguito, il giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento 'correttivo' da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione”.

In relazione, invece, al motivo di impugnazione per cui il giudice dell’esecuzione non avrebbe rideterminato le pene stabilite per i reati “satelliti”, la Prima Sezione ha concluso diversamente. Richiamando, invero, un noto precedente, ha espressamente rilevato che in tema di stupefacenti, la sopravvenuta illegalità della pena edittale minima prevista per il reato di cui all'art. 73, co.1 d.p.r. 309/90, conseguente alla sentenza n. 40 del 2019 della Corte costituzionale, comporta, in caso di ricorso per cassazione avverso sentenza di condanna per tale reato riconosciuto in continuazione con altro più grave, “che il relativo aumento di pena calcolato ai sensi dell'art. 81 cod. pen. sulla base dei parametri edittali in vigore al momento del fatto e successivamente dichiarati incostituzionali, deve essere oggetto di specifica rivalutazione da parte dei giudici del merito, alla luce della più favorevole cornice edittale applicabile, conseguendone l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla determinazione dell'aumento di pena”.


LA SOLUZIONE

È stato pertanto ritenuto il provvedimento impugnato non conforme al dettato normativo laddove esclude, in relazione a quelli tra i reati cc.dd. “satelliti” aventi ad oggetto sostanza stupefacente di tipo pesante, la necessità della rideterminazione in melius del trattamento sanzionatorio.

Si procedeva dunque all’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente agli aumenti di pena per la continuazione e rinviava per un nuovo esame sul punto al G.I.P.


Segnalazione a cura di Emanuela Condello


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