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Diritto Penale

STUPEFACENTI - LIEVE ENTITÀ - Cass. pen., sez. III, 16 luglio 2020, n. 21163.

LA MASSIMA

“La fattispecie del fatto di lieve entità può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiesti dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione) con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri.”


IL CASO

Il caso sottoposto alla cognizione della Corte di Cassazione ha ad oggetto una vicenda giudiziaria conclusasi con una condanna (irrogata dal giudice di primo grado e confermata dalla Corte d’Appello) inflitta per la violazione dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 “per aver l’imputato ceduto un pezzettino di hashish ed aver illecitamente detenuto altro stupefacente della stessa natura per gr. 2, 33 di principio attivo”.

I tre motivi di doglianza contenuti nel ricorso e posti al vaglio della Corte riguardavano rispettivamente: 1) l’assunta violazione del regime di utilizzabilità delle dichiarazioni rilasciate in sede di sommarie informazioni (con le quali l’acquirente della sostanza hashish ammetteva di averla comprata proprio dall’imputato) e poste a fondamento della declaratoria di responsabilità penale; 2) il vizio di motivazione per essere stata la detenzione illecita dell’hashish argomentata con motivazione illogica e assertiva, in assenza di elementi sintomatici dell’attività di spaccio; 3) il vizio di motivazione per non essere stata riconosciuta l’ipotesi del fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R., n. 309/1990, sul rilievo per cui il fatto fosse da reputarsi grave perché lo spaccio era avvenuto all’interno dell’abitazione dell’imputato.


LA QUESTIONE

La Suprema Corte, reputando meritevole di accoglimento e approfondimento solo il terzo motivo di ricorso, non ha mancato di effettuare in relazione ad esso due precisazioni: in primo luogo, ha reputato manifestamente illogica la parte della motivazione del giudice di merito con cui è stato ritenuto di maggiore disvalore penale la condotta di spaccio avvenuta all’interno dell’abitazione (non essendo questa circostanza sintomatica di per sé di una maggiore scaltrezza rispetto allo spacciatore che smerci in una piazza di spaccio).

In secondo luogo, soffermandosi sul dato quantitativo, ha ritenuto che la quantità di stupefacente illecitamente detenuta fosse inferiore a quella detenibile per uso esclusivamente personale. Le dosi, infatti, erano soltanto 14: quantità che, in assenza di altri opposti elementi di giudizio, avrebbe consentito di concludere per la configurazione dell’ipotesi di lieve entità. In effetti - come giustappunto evidenziato dalla Corte - il dato ponderale, pur assumendo un ruolo centrale nell’apprezzamento giudiziario, deve essere valutato tenendo conto delle altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento: “(…) la quantità di stupefacente illecitamente detenuta era inferiore al quintuplo di quella detenibile per uso esclusivamente personale, pari a 0,5 gr. di principio attivo e a 20 dosi medie singole. Le confezioni - corrispondenti alle "dosi" che formano oggetto di spaccio sul mercato degli stupefacenti e che abitualmente vengono richieste dai consumatori - erano, infatti, soltanto 14, sicché la quantità, lungi dal consentire di escludere la possibilità di configurare l'ipotesi di lieve entità, depone invece in questo senso, in assenza di altri opposti elementi di giudizio, non rappresentati neppure nella sentenza di primo grado, che valorizza i medesimi argomenti della sentenza impugnata. Anzi, la stessa, oggettivamente modesta, percentuale di principio attivo è dato che ulteriormente milita in favore della richiesta riqualificazione (cfr. Sez. 4, n. 24509 del 09/05/2018, secondo cui, ai fini dell'esclusione della fattispecie del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, nell'ipotesi in cui l'unico indice ostativo sia costituito dal dato ponderale della sostanza stupefacente non si può prescindere dalla valutazione dell'entità del principio attivo presente nel reperto)”.

La Corte di Cassazione ha richiamato altresì anche altri recenti principi di diritto cristallizzati in precedenti giurisprudenziali che danno contezza del tipo di valutazioni da effettuare per ritenersi integrata l’ipotesi della lieve entità: “la fattispecie del fatto di lieve entità può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiesti dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione) con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri” (sez. Un., n. 17 del 21/06/2020; sez. Un., 35737 del 24/06/2010; sez. VI, n. 39977 del 19/09/2013; sez. III, n. 32695 del 27/03/2015, in senso simile si pongono le sez. Un. n. 51063 del 2018).


LA SOLUZIONE

La Suprema Corte, alla luce delle considerazioni esposte, ha ritenuto di riqualificare il reato di cessione e di detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo hashish ai sensi dell’art. 73, comma quinto, d. P.R. n. 309/1990, annullando con rinvio la sentenza impugnata, in vista della necessità di rideterminare la pena in considerazione della più favorevole cornice edittale.


Segnalazione a cura di Mara Scatigno






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