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Diritto Penale

STUPEFACENTI - COLTIVAZIONE DOMESTICA- Cass. Pen., Sez. VI, 4 febbraio 2020, n. 4666

MASSIMA “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore”.

IL CASO La Corte d’Appello ha confermato nei confronti dell’imputato la condanna del G.u.p., all’esito di giudizio abbreviato, in relazione al reato di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. n. 309/1990, per avere coltivato nella propria abitazione piante di canapa indiana e detenuto 85 grammi di marijuana. Il prevenuto ha effettuato ricorso in Cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della detenzione della sostanza per uso personale. Ha sostenuto, infatti, che la coltivazione è da ritenersi soltanto presupposta, poiché è stata rinvenuta solamente la sostanza stupefacente, da presumersi prodotto di essicazione di una precedente coltivazione domestica: invero, non sono state trovate piantine in crescita o in essicazione. Sicché, il dato quantitativo di per sé non può ritenersi determinante in assenza di comprovate condotte di cessione e spaccio.

LA QUESTIONE Nella sentenza in commento, si affronta la rilevanza penale o meno della coltivazione domestica di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti. Per coltivazione domestica, si intende un tipo di coltura effettuata in via approssimativa e rudimentale, i cui frutti sarebbero funzionali a un utilizzo meramente personale. Ai sensi di un orientamento ormai superato, essa veniva equiparata, in via interpretativa, alla mera detenzione così da non assumere alcun rilievo penale. Sul punto, nel 2008, sono intervenute le Sezioni Unite, con pronunce n. 28605 e 28606, le quali hanno concluso per la rilevanza penale della coltivazione, ancorché ad uso personale. Hanno sottolineato, infatti, che la coltivazione si distingue dalla detenzione per un dato essenziale, ossia quello di accrescere, in qualunque entità e a prescindere dalle esigenze di impiego, la quantità di sostanza stupefacente esistente. I giudici di legittimità si sono soffermati sul rapporto intercorrente tra la fattispecie di coltivazione e il principio di offensività nella sua doppia accezione: da un lato, l’offensività in astratto si focalizza sul precetto della fattispecie incriminatrice, volto alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato; con l’offensività in concreto, d’altro canto, si affida al giudice il compito di verificare che il fatto di reato abbia effettivamente messo a repentaglio il bene giuridico protetto. Di conseguenza, ne deriva che la condotta è inoffensiva soltanto se il bene non è stato leso o messo in pericolo nemmeno in grado minimo: l’offensività, quindi, non ricorre nell’ipotesi in cui la sostanza ricavabile dalla coltivazione sia inidonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile. Alle coordinate tracciate dalle Sezioni Unite si è allineata la giurisprudenza successiva, secondo cui la condotta tipica, per essere passibile di sanzione, deve avere per oggetto sostanze connotate da un duplice requisito: il primo di carattere formale, per cui le sostanze devono rientrare nelle tabelle di cui al D.P.R. n. 309/1990; il secondo di tipo sostanziale, per cui le sostante devono presentare effetti droganti e potenzialità lesiva. Sicché, se quest’ultimo attributo dovesse mancare, si escluderebbe la rilevanza penale del fatto, giacché la condotta, sebbene tipica, non sarebbe concretamente pericolosa per la salute individuale e collettiva. Nell’ipotesi di coltivazione di una pianta di cannabis, a fronte della realizzazione del comportamento tipizzato, ossia la coltura di una pianta, conforme al “tipo botanico”, che abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, il giudice dovrà valutare se la condotta stessa risponda al criterio dell’offensività in concreto. L’inoffensività sarà riscontrabile sia quando è conclamato l’esclusivo uso personale delle sostanze sia quando la minima entità della coltivazione esclude la possibile diffusione della sostanza o l’ampliamento della coltivazione.

LA SOLUZIONE La VI Sezione della Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso dell’imputato. La decisione di legittimità trae fondamento dal consolidato principio secondo cui “la coltivazione di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti integra il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 28, a prescindere dalla finalità della condotta e dalla natura domestica o meno della coltivazione”. La configurazione del reato richiede una carica offensiva, anche minima o in stato potenziale, della condotta del soggetto agente. Come si evince dalle S.U. n. 28605/2008, per la determinazione della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti, il giudice deve “verificare in concreto l’offensività della condotta ovvero l’idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante ricavabile”. Nel caso di specie, gli elementi probatori a carico dell’imputato sono indicativi di una coltivazione domestica con finalità commerciale, scartando, dunque, l’ipotesi dell’uso personale delle sostanze. È stato, infatti, accertato che una parte delle piante coltivate era già stata asportata e trasferita altrove; relativamente all’impiego di strumenti professionali, sono stati ritrovati serre, fertilizzante, sistema di ventilazione e sacchetti in plastica per il confezionamento; infine, dal quantitativo di stupefacente predisposto, pari a 85 grammi, possono ottenersi circa 270 dosi.

Segnalazione a cura di Vincenza Urbano





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