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Diritto Penale

STATO DI NECESSITÀ 54cp - PRESUPPOSTI - Cass. I Sez., 15 aprile 2021, n. 14212.


LA MASSIMA

“Ai fini della configurabilità della esimente dello stato di necessità ex art. 54 c.p., il pericolo che ne costituisce presupposto applicativo non deve essere cagionato dal soggetto che compie l’intervento necessitato. Requisito indispensabile è, infatti, la mancanza di una qualsiasi correlazione tra la condotta volontariamente o colposamente posta in essere dall’agente e la situazione pericolosa in cui si venga a trovare e che renda necessaria l’azione delittuosa.”


IL CASO

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte ha tratto origine dal ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte di appello, confermando parzialmente le statuizioni del giudice di prime cure, ha condannato in concorso gli imputati per il reato di trasporto illegale di stranieri nel territorio dello Stato, ex art. 12 d.lgs. 286 del 1998. Nello specifico, dalle investigazioni svolte e dagli sviluppi procedimentali è emerso che sette imbarcazioni partite dalla Libia, ciascuna con a bordo un centinaio di cittadini stranieri, sono state guidate da alcuni degli imputati e poi soccorse dalla Guardia Costiera italiana in acque internazionali. Ricostruzione fattuale avallata anche dai rilievi fotografici effettuati in sede di primo soccorso.

Il collegio ha ritenuto la condotta posta in essere dai migranti quale conseguenza delle minacce subite dalla organizzazione criminale che ha gestito le operazioni e ha, conseguentemente, riconosciuto la prevalenza dell’attenuante di cui all’art. 114, comma terzo, c.p. rispetto alle circostanze attenuanti disciplinate dai commi tre e tre-bis dell’art. 12 del Testo unico sopra menzionato.

Tre dei quattro imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, con unico atto e per mezzo dell’unico difensore, lamentando, con il primo motivo, vizio di motivazione sub specie di mancanza, contraddittorietà o illogicità manifesta in relazione alla mancata applicazione della esimente dello stato di necessità. Secondo la difesa, le considerazioni rassegnate dalla sentenza impugnata risultano illogiche nella misura in cui viene valorizzata la consapevole decisione degli imputati di affidarsi ad una organizzazione criminale, senza considerare le circostanze fattuali che li hanno costretti ad assumere il comando delle imbarcazioni. La difesa ha, inoltre, rilevato la carenza di motivazione della sentenza in assenza di un percorso argomentativo in punto di nesso di causalità tra la condotta ascritta agli imputati e l’evento di reato.

Il quarto imputato, per mezzo dello stesso difensore, ha articolato separato ricorso proponendo tre motivi: due dei quali comuni agli altri imputati; il terzo concernente la nullità della sentenza per incompetenza del giudice adito, dichiaratosi minorenne al momento dei fatti.


LA QUESTIONE

La questione sottoposta all’attenzione della Corte concerne il perimetro applicativo della esimente dello stato di necessità, ex art. 54 c.p., esclusa in entrambi i gradi di giudizio. Per maggior precisione, la Prima Sezione è chiamata a pronunciarsi in merito alla nozione di “pericolo attuale di danno grave alla persona”, precisando se possa rientrarvi la condotta di cittadini stranieri che, costretti dalla situazione politico-sociale e di sicurezza del paese di provenienza, abbiano deciso di affidarsi ad organizzazioni criminali, abitualmente dedite al trasporto clandestino e abbiano accettato, in seguito a violenza o minaccia, di assumere il governo delle imbarcazioni dirette in Italia.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione si è uniformata all’orientamento consolidato in giurisprudenza che ritiene che la nozione di pericolo menzionata dalla norma quale requisito indispensabile dello stato di necessità, possa essere integrata solo da una situazione, indipendente dalla volontaria o colposa causazione da parte del soggetto che pone in essere l’intervento necessitato, non altrimenti evitabile. Per poter applicare la disciplina delineata dall’art. 54 c.p. occorre, quindi, effettuare una rigorosa valutazione delle evenienze concretizzatesi nel caso di specie.

Per tal motivo, la Corte ha proceduto, in primo luogo, ad analizzare il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello, precisando che le argomentazioni addotte risultano perfettamente logiche e prive di contraddizioni, con conseguente impossibilità di applicare l’art. 54 c.p.. Pur risultando circostanza acclarata che la condotta degli imputati, sia sulla spiaggia libica di partenza, sia sui gommoni, sia stata determinata dalla minaccia proveniente dai libici armati, non risulta possibile trascurare che tale contingenza sia stata causata dalla situazione in cui i ricorrenti hanno, deliberatamente, scelto di porsi. Sia pur guidati da comprensibili motivazioni, hanno scelto di affidarsi ad una organizzazione criminale, tanto da pagare un significativo corrispettivo, come già accaduto per giungere in Libia dai rispettivi paesi di origine, organizzazione notoriamente dedita all’uso della forza, della violenza, della costrizione fisica. Il comportamento volontario degli imputati ha costituito, dunque, l’antecedente necessario della situazione, evitabile scegliendo di non trasferirsi in Italia.

Una diversa ricostruzione non risulta plausibile in assenza di alcuna dimostrazione circa la inevitabilità di intraprendere un simile viaggio, a causa della effettiva impossibilità di permanere nelle nazioni di origine, nonché in assenza di una qualsiasi precisazione circa le condizioni di vita cui gli stessi erano sottoposti. Con la precisazione che la condotta addebitata risulta ascrivibile, indipendentemente dai rilievi avanzati dal difensore circa l’assenza di contatti tra gli imputati ed i trafficanti. La consegna ai libici è avvenuta nonostante la consapevolezza dei tradizionali mezzi utilizzati.

Per quel che concerne, invece, il nesso di causalità tra la condotta ascritta agli imputati e l’evento costituito dall’ingresso clandestino degli immigrati sul territorio dello Stato, la Corte ha specificato che la motivazione sul punto è insita nella stessa descrizione delle condotte emerse a carico degli imputati: alcuni alla guida dei gommoni, altri quali indicatori di rotta.

In ordine alla nullità della sentenza per incompetenza del giudice adito, la Prima Sezione ha precisato che i documenti utilizzati dalla difesa, a sostegno della minore età dell’imputato, sono privi di attestazione di autenticità, dunque inammissibili. Allo stesso modo, il c.d. “metodo di Greulich e Pyle”, risulta utilizzabile solo per accertare l’età anagrafica di soggetti non ricompresi nella popolazione caucasica. Contrariamente, rilevano le dichiarazioni rese dallo stesso imputato in sede di primo soccorso e verbalizzate dagli operanti, nonché l’accertamento condotto sulla sua persona, mediante analisi radiografica, dalla quale è risultata una età maggiore ai diciannove anni.


Segnalazione a cura di Veronica Ielo


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