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Diritto Penale

STALKING - SOCIAL NETWORK - Cass., Sez. V, 6 NOVEMBRE 2019 n. 45141

MASSIMA “Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell'agente, essendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - nella specie costituiti da minacce, molestie insulti alla persona offesa, inviati anche con post e messaggi - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima.”


IL CASO Il Tribunale di Roma aveva dichiarato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’ art. 612 bis c.p.. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, difatti, erano emerse le condotte persecutorie, consistite in minacce e molestie, poste in essere dal prevenuto nei confronti della persona offesa, mediante la pubblicazione di post e l’invio di messaggi tramite social network. Tali comportamenti del reo erano stati tali da ingenerare uno stato di ansia e turbamento nella vittima la quale, in sede di esame testimoniale, aveva asserito di trascorrere le proprie giornate con il timore che improvvisamente il prevenuto irrompesse anche solo attraverso l'invio di messaggi nella sua quiete quotidiana. La decisione del giudice di prime cure aveva trovato conferma in secondo grado con sentenza emessa in data 30.11.15. Avverso tale pronuncia, il ricorrente aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione adducendo come motivo di impugnazione la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606 c.p.p. comma 1 let. b). Più precisamente, l’imputato lamentava l’inosservanza ovvero erronea l’applicazione dell’art. 612 bis c.p. da parte dell’organo giudicante con riferimento all’insussistenza degli eventi di danno alternativamente previsti dalla norma. A tal proposito, sottolineava la manifesta illogicità della sentenza, nonché l’evidente carenza di motivazione nella parte in cui veniva ritenuto sussistente nella vittima un grave e perdurante stato d’ansia. Secondo il ricorrente, infatti, nel corso dell’istruttoria erano emersi ulteriori elementi dai quali risultava l’inidoneità della propria condotta, posta in essere mediante un social network, a generare un siffatto turbamento in quanto la persona offesa, qualora si fosse realmente sentita minacciata e molestata, non avrebbe intrattenuto numerose conversazioni con quest’ultimo.

LA QUESTIONE Nell’esaminare la questione, la Corte di Cassazione ha richiamato un proprio orientamento giurisprudenziale consolidato, (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 47195/15 ; Cass. Pen., Sez. V, n.17795/2017) in virtù del quale, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, è necessario che gli atti ritenuti persecutori, - nella specie costituiti in minacce, molestie insulti alla persona offesa, inviati anche con post e messaggi -, abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, indipendentemente dalle modalità attraverso le quali vengano posti in essere dall’autore. Inoltre, la Corte ha evidenziato come, nell'ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della ex convivente, l'attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che, all'interno del periodo di vessazione, la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere durante i quali abbia ripristinato il dialogo con il persecutore poiché l'ambivalenza dei sentimenti provati nei confronti dell'imputato non rende di per sé inattendibile la narrazione delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell'analisi delle dichiarazioni alla luce degli elementi conoscitivi a disposizione del giudice.


LA SOLUZIONE La Corte di Cassazione ha dichiarato, pertanto, il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato. L’art. 612 bis c.p. -precisa la Corte- prevede una fattispecie di reato abituale che richiede, per la sua configurazione, il compimento di condotte reiterate, omogenee ed eterogenee tra loro, mediante le quali l’autore minaccia o molesta la vittima. Inoltre, suddetti comportamenti devono essere tali da sfociare in uno dei tre eventi alternativi previsti dalla norma: 1) perdurante e grave stato d’ansia e paura nella persona offesa; 2) fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva; 3) alterazione delle abitudini di vita della vittima. Orbene, difformemente da quanto addotto dal ricorrente, la Corte ha stabilito che le condotte contestate all’imputato sono senza ombra di dubbio da inquadrare in quelle previste e punite dall’art. 612 bis cp.. Ed invero, le reiterate molestie poste in essere con le modalità anzidette sono state tali da causare l’insorgere nella vittima di un perdurante e grave stato d’ansia e timore. Oltretutto, il lungo arco temporale (7 anni) durante il quale tali atti persecutori si sono susseguiti ha impedito alla vittima di svolgere normalmente e serenamente la propria vita. A tal proposito, non rilevano gli eventuali momenti di attenuazione del malessere vissuti dalla vittima, i quali risultano di comune sussistenza nei casi di condotte persecutorie poste in essere da un ex- convivente. Pertanto, i giudici di legittimità ritengono che nonostante si tratti di minacce e molestie ricevute dalla persona offesa non personalmente ma attraverso comunicazioni e messaggi inviati su una piattaforma sociale, quest’ultime costituiscono pacificamente atti dalla natura persecutoria e pertanto rientrano nel perimetro definito dell’art. 612 bis c.p.


Segnalazione a cura di Gaya Carbone


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