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Diritto Penale

SOTTRAZIONE DI CADAVERE - OCCULTAMENTO - Cass. pen., Sez. I, 31 marzo 2021, n. 12394



LA MASSIMA

“Il reato di cui all'art. 411 c.p. (distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere), pur realizzandosi con il nascondimento di un cadavere, si differenzia dal reato di cui all'art. 412 c.p. (occultamento di cadavere) in quanto l'occultamento è considerato come un nascondimento temporaneo che postula a priori la certezza del ritrovamento, mentre la soppressione o sottrazione vanno intese quale nascondimento effettuato in modo tale che il cadavere venga definitivamente sottratto alle ricerche. La sottrazione va valutata non in senso assoluto bensì relativo, sulla base di presunzioni fondate su elementi obiettivi, quali il luogo prescelto e le modalità adottate, con apprezzamento ex ante, non rilevando in proposito che il cadavere venga eventualmente ritrovato per caso fortuito o a seguito di difficili ricerche, atteso che la durata effettiva del nascondimento non costituisce elemento di distinzione fra le due ipotesi di reato.”


IL CASO


Il caso sottoposto al vaglio della Prima Sezione della Corte di Cassazione trae origine dalla pronuncia del Tribunale del riesame di Cagliari inerente all’appello proposto avverso l’ordinanza cautelare con la quale era stata rigettata la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere originariamente applicata all'indagato e al padre di questi per il concorso nel duplice omicidio e nella soppressione del cadavere di due fratelli non essendo stata ritenuta credibile la confessione resa dal padre dell’indagato, il quale si era accollato la responsabilità di entrambi gli omicidi, così scagionando il figlio, posta a fondamento dell’istanza di revoca della citata misura.

Tale pronuncia era stata oggetto di impugnazione da parte dell’indagato per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 411 e 412 c.p.

Nello specifico, la difesa del ricorrente aveva eccepito la mancata considerazione da parte del Tribunale del riesame che la "soppressione" o "sottrazione" del cadavere avrebbe dovuto essere valutata in senso relativo, sulla base di presunzioni fondate su elementi obiettivi, quali il luogo prescelto e le modalità adottate, con un apprezzamento ex ante, non rilevando che il cadavere fosse eventualmente ritrovato fortuitamente o a seguito di difficili ricerche, atteso che la durata effettiva del nascondimento non poteva essere inteso quale elemento di distinzione fra le due ipotesi di reato. Era stata evidenziata, infatti, nell’atto di appello una valorizzazione immotivata da parte del Collegio del dato delle "estenuanti ricerche effettuate da parte degli inquirenti e protrattesi per quasi due mesi”, foriera, secondo la ricostruzione del difensore, dell’errata conclusione in base alla quale ogni volta che un cadavere venga abbandonato in luogo aperto si integrerebbe sempre il reato di soppressione di cadavere e mai quello di occultamento.


LA QUESTIONE


La pronuncia in commento nell’affrontare il caso sottoposto al suo esame ribadisce l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sulla distinzione tra la fattispecie incriminatrice della distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere di cui all'art. 411 c.p. e quella dell’occultamento di cadavere prevista e punita dal successivo art. 412 c.p. in quanto, pur trattandosi di previsioni implicanti entrambe una realizzazione mediante il nascondimento di un cadavere, ricorre tra le stesse una significativa distinzione ravvisabile nella qualificazione dell’occultamento di un cadavere come un nascondimento temporaneo che postula a priori la certezza del ritrovamento, mentre la soppressione o sottrazione devono essere intese quale nascondimento effettuato in modo tale che il cadavere venga definitivamente sottratto alle ricerche.

A sostegno di tale opzione ermeneutica viene precisato, altresì, che la valutazione della sottrazione deve essere effettuata in senso relativo sulla base di presunzioni fondate su elementi obiettivi, quali il luogo prescelto e le modalità adottate, con un apprezzamento ex ante, non assumendo alcuna rilevanza il ritrovamento del cadavere per caso fortuito o a seguito di difficili ricerche, non costituendo elemento di distinzione fra le due ipotesi di reato la durata effettiva del nascondimento.

La Prima Sezione ha ritenuto condivisibile la ricostruzione del Tribunale del riesame: quest’ultimo, infatti, nel valorizzare plurimi indicatori a riprova del carattere tendenzialmente definitivo del nascondimento, in particolare l'abbandono dei due corpi in campagna, la folta vegetazione, la loro esposizione alle intemperie e, soprattutto, l'azione degli animali carnivori della zona, i quali fecero scempio dei cadaveri, ha aderito all’orientamento maggioritario della Suprema Corte.

Tale ricostruzione consente di giungere ad una conclusione diametralmente opposta a quella formulata dalla difesa nell’atto di appello cautelare, secondo la quale la fattispecie di cui all’art. 411 c.p. dovrebbe ritenersi integrata ogni qualvolta si abbandoni un cadavere in luogo aperto, occorrendo, piuttosto, la necessaria presenza di ulteriori indici sintomatici, come nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale del riesame, il quale, tra l’altro, nell’utilizzo della locuzione avverbiale "soprattutto" riferita all’esposizione dei cadaveri all'azione distruttiva degli animali carnivori pacificamente frequentanti la zona in cui l’omicidio era stato posto in essere, aveva attribuito importanza preponderante, a dimostrazione del carattere tendenzialmente definitivo del nascondimento, proprio all'aggressione dei suddetti animali ai due corpi inermi.


LA SOLUZIONE

La Prima Sezione della Corte di Cassazione, dunque, alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sul punto, ha ritenuto infondato il motivo addotto dal ricorrente a sostegno dell’istanza della revoca della misura della custodia cautelare in carcere, conseguentemente rigettando il ricorso con condanna dell’indagato al pagamento delle spese processuali.


Segnalazione a cura di Tiziana Caboni


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