LA MASSIMA
“L'ipotesi aggravata dall'uso della violenza o della minaccia diverge dalla fattispecie integrante il delitto di estorsione in quanto, nel primo caso, il soggetto sfruttato, e sul quale vengono esercitate la violenza e/o la minaccia, sceglie comunque volontariamente di esercitare il meretricio, mentre nel secondo caso, se la persona che si prostituisce viene costretta con la violenza o la minaccia, contro la propria volontà a soggiacere allo sfruttamento, e se lo sfruttatore consegue, con danno del soggetto sfruttato, un ingiusto profitto, si versa nella ipotesi dell'estorsione.”
IL CASO
Con sentenza di secondo grado, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l’imputato veniva ritenuto responsabile per i reati di sfruttamento della prostituzione nonché di tentata estorsione continuata.
L’imputato proponeva, pertanto, ricorso per Cassazione. In particolare, tra gli altri, venivano contestati i seguenti profili: 1. vizio della motivazione in ordine al giudizio di responsabilità atteso che le prove sono state sconfessate dalle argomentazioni difensive che non sono state tenute in debito conto nella sentenza impugnata; 2. violazione di legge con riguardo al ritenuto concorso fra il reato di sfruttamento della prostituzione e quello di estorsione; 3. violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego di concessione delle circostanze attenuanti generiche.
LA QUESTIONE
Il caso in esame consente alla Corte l’approfondimento, soprattutto, di una questione di attuale e stringente rilievo giuridico.
La questione giuridica sottesa riguarda l’ambito di applicazione della disciplina afferente al concorso tra il reato di sfruttamento della prostituzione e il reato di tentata estorsione continuata.
LA SOLUZIONE
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La Corte di Cassazione è dunque stata chiamata a pronunciarsi in merito all’applicazione della disciplina del concorso tra il reato di sfruttamento della prostituzione e il reato di tentata estorsione continuata.
Invero, la Corte, parte dalla premessa che nel reato dello sfruttamento della altrui prostituzione la condotta del soggetto sfruttato è contrassegnata dalla volontarietà da parte dello sfruttato della scelta di continuare ad esercitare il meretricio e di consentire così all'agente di "approfittare indebitamente" di quella condizione, mentre quando, attraverso la violenza o la minaccia, la persona che si prostituisce è costretta a fare o ad omettere di fare alcunché, e lo "sfruttatore" consegua da ciò un ingiusto profitto con danno per il soggetto "sfruttato", ci si troverà di fronte al reato di estorsione. Da ciò si riconosce la piena compatibilità e sussistenza tra le due fattispecie.
In particolare, nel caso in esame, l'elemento costrittivo è stato individuato nelle violenze esercitate con riferimento alle richieste di denaro avanzate nel marzo 2018 quale condizione per la prosecuzione dell'attività di prostituzione in quella zona, dopo che la donna che si prostituiva volontariamente dall'agosto 2017, si era risolta a non pagare la somma concordata di € 200,00 la settimana perché, a fronte di un "incidente" capitatole sul lavoro, non aveva avuto la "protezione" che si aspettava dalla imputata.
Corretta è pertanto la qualificazione quale tentata estorsione della condotta realizzata in concorso con il correo, consistita nell'imporre alla prostituta, quale condizione per la prosecuzione dell'attività di meretricio, di pagare una sorta di tangente, per poter continuare ad occupare il marciapiede ove esercitava detta attività.
Da ciò, ne consegue che i rapporti intercorrenti tra il reato di estorsione e il reato di sfruttamento della prostituzione è stato risolto in termini di compatibilità tra le due fattispecie, riconoscendosi la possibilità di un concorso tra le due fattispecie in considerazione del diverso oggetto del reato.
Inoltre, in tema delle circostanze attenuanti generiche, la cui ratio consiste nel consentire al giudice un bilanciamento, in senso più favorevole all'imputato, della sanzione prevista dalla legge, incombe sul giudice che non le riconosce l’onere di motivare adeguatamente l’insussistenza delle stesse; dovrà, altresì, indicare le plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda.
Segnalazione a cura di Roberta Giordano
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