LA MASSIMA
“La liberazione del sequestrato, cui venga richiesto il successivo pagamento del prezzo del riscatto, esclude l'applicabilità dell’attenuante di cui al quarto comma dell'art. 630 cod. pen., in quanto per aversi dissociazione non è sufficiente la sola liberazione dell'ostaggio, ma è necessario il verificarsi di un abbandono incondizionato dell'intenzione di protrarre la durata del sequestro e di una rinuncia definitiva a conseguire il risultato economico o l'utile che l'agente si era prefisso di ricavare dal crimine.”
IL CASO
Il caso sottoposto al vaglio della Corte Suprema trae origine dalla pronuncia con cui la Corte di Assise di Appello confermava la condanna dell’imputato per i reati di cui agli artt. 497-bis cod. pen. e 110, 630 cod. pen., in concorso con il fratello, in relazione al sequestro di persona a scopo di estorsione, riducendo la pena ad anni 12 e mesi 1 di reclusione a seguito del riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 62, primo comma, n. 6 cod. pen.
Avverso tale sentenza l’imputato ricorreva per Cassazione deducendo la violazione di legge, in relazione all'art. 630, quarto comma, cod. pen., incardinata su una duplice deduzione.
Preliminarmente, il ricorrente contestava che la Corte di Assise di appello avesse errato nell’escludere la configurabilità della dissociazione nei suoi confronti, avendo lo stesso provveduto volontariamente a liberare la p.o. con contestuale consegna della stessa al Consolato.
Lamentava, secondariamente, l’erronea esclusione del dato fattuale dell'abbandono incondizionato di ogni proposito criminoso, essendosi fatto promettere la dazione di un prezzo con una generica formulazione delle modalità di esazione tale da far presumere l'inesigibilità della pretesa.
LA QUESTIONE
Orbene, la questione della quale la Corte di Cassazione viene investita con la pronuncia in epigrafe ha ad oggetto la verifica dell’eventuale violazione di legge in relazione all’art. 630, quarto comma, cod. pen., ossia dell’applicabilità, nel caso di specie, dell’attenuante relativa alla dissociazione.
Come è noto, tale figura circostanziale dal contenuto premiale, introdotta con la legge n. 894/1980 nell’ambito della strategia emergenziale di contrasto al fenomeno dei sequestri di persona, statuisce che «nei confronti del concorrente che, dissociandosi dagli altri, si adopera, al di fuori del caso previsto dal comma precedente, per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori ovvero aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di prove decisive per l’individuazione o la cattura dei concorrenti, la pena dell’ergastolo è sostituita da quella della reclusione da dodici a venti anni e le altre pene sono diminuite da un terzo a due terzi».
I contorni relativi all’applicazione della fattispecie circostanziale in oggetto sono stati tracciati in maniera esaustiva da precedente giurisprudenza della stessa Corte Suprema, la quale, in tema di sequestro di persona a scopo di estorsione, ha più volte rilevato che ai fini della concessione della circostanza attenuante della dissociazione diretta a far riacquistare al soggetto passivo la libertà, è richiesto che il comportamento del dissociato si traduca in fatti concreti, finalisticamente indirizzati alla liberazione del sequestrato ed eziologicamente rilevanti per il raggiungimento dello scopo della cessazione del sequestro.
LA SOLUZIONE
Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e ribadisce l’orientamento giurisprudenziale sostenuto dai giudici di merito secondo il quale la liberazione del sequestrato, cui venga richiesto il successivo pagamento del prezzo del riscatto, esclude l'applicabilità dell’attenuante di cui al quarto comma dell'art. 630 cod. pen., posto che per aversi dissociazione non è sufficiente la mera liberazione dell'ostaggio, ma è necessario piuttosto il verificarsi di un abbandono incondizionato dell'intenzione di protrarre la durata del sequestro e di una rinuncia definitiva a conseguire il risultato economico o l'utile che l'agente si era prefisso di ricavare dal crimine.
È stata pertanto considerata irreprensibile, sul versante dell'applicazione della legge penale, la pronuncia di condanna emessa dal giudice di seconde cure.
Ed invero, l'imputato, in vista della liberazione della vittima, si era fatto comunque promettere dall'ostaggio il versamento, una volta liberato, di una somma di denaro, circostanza questa sufficiente a poter ritenere non integrata la fattispecie della dissociazione. Del pari corretta è apparsa, al vaglio della Corte, la condivisione da parte del giudice di appello dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale «il delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all'art. 630 cod. pen. si consuma indipendentemente dal conseguimento dell'ingiusto profitto del prezzo della liberazione», sia esso costituito da denaro, beni materiali, ovvero da utilità di altra natura.
Ciò posto, non coglie nel segno la censura sottesa alla prima doglianza del ricorrente.
La Suprema Corte, in conclusione, ha dato atto della piena logicità della sentenza impugnata nel punto in cui ha escluso la rilevanza della presunta accettazione, da parte dell'imputato, della eventuale inesigibilità del credito per la presunta mancanza di strumenti idonei a riscuoterlo.
Coerentemente, a giudizio degli stessi Ermellini, non sono stati ravvisati l'abbandono incondizionato e la rinuncia definitiva a conseguire il risultato economico che l'agente si era prefisso di ricavare dal crimine, in quanto la liberazione era chiaramente condizionata al versamento della somma pattuita, essendo irrilevante che l'agente fosse rimasto privo di strumenti per ottenere il promesso pagamento o che attribuisse scarsa credibilità all'impegno in proposito assunto dalla vittima.
Segnalazione a cura di Ilaria Circosta
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