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Diritto Penale

RISERVA DI CODICE - ABOLITIO CRIMINIS PARZIALE - Cass. Pen. Sez. III, 21 settembre 2020, n. 26326

LA MASSIMA

“L’intenzione del legislatore [risultava essere] quella di una mera traslazione della fattispecie di cui all’art. 9 L. 376 del 2000 all’interno del codice penale […] nondimeno, non vi è piena corrispondenza tra la fattispecie di cui all’abrogato art. 9, comma 7, L. 376 del 2000 e quella, ad essa corrispondente, contemplata dal vigente art. 586-bis, comma 7, cod. pen., la quale prevede, in aggiunta, il dolo specifico del “fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, senza che ciò trovi legittimazione nella legge delega”.


IL CASO

Nel caso in questione la Corte d’appello confermava la decisione resa dal GUP, il quale aveva condannato l’imputato per i reati di cui all’art. 9 comma 7 L. 376/2000 (commercio di farmaci o sostanze farmacologiche attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, farmacie ospedaliere, dispensari aperti al pubblico e altre strutture autorizzate), artt. 476 cod. pen. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) e 482 cod. pen. (falsità materiale commessa dal privato) per aver commercializzato specialità medicinali con azione anabolizzante attraverso canali non ufficiali, ottenute mediante la falsificazione di ricette mediche, ravvisando altresì il concorso di persone nel reato ex art. 110 cod. pen. e la continuazione nel reato ex art. 81 cod. pen.

L’imputato proponeva ricorso per cassazione adducendo tre motivi di natura processuale e un motivo di natura sostanziale, sostenendo, quanto a quest’ultimo, che il giudice di merito aveva negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen. su un presupposto errato, non valorizzando l’ammissione di responsabilità dell’imputato in merito all’assunzione delle sostanze dopanti, dando rilievo solamente al diniego di attività di commercializzazione delle sostanze e di falsificazione delle ricette.


LA QUESTIONE

La questione affrontata dal giudice di legittimità riguarda il principio di riserva di codice.

Sulla base di tale principio, funzionale alla migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni, le fattispecie criminose individuate da disposizioni di legge devono essere semplicemente traslate all’interno del codice penale, al fine di offrire un quadro più unitario della normativa, di tutelare in modo più efficace i beni di rilevanza costituzionale e di rendere meglio conoscibili, anche in relazione alla finalità rieducativa della pena, i precetti e, di conseguenza, le condotte vietate.

Quanto alle modalità, per questioni di celerità, la riserva di codice viene attuata con una legge delega che indica al governo quali siano i precetti da inserire nel codice, da cui consegue la contestuale abrogazione degli articoli ad essi riferiti nelle leggi extracodicistiche.

Nel caso di specie si è verificato che il dlgs 1 marzo 2018 n.21 nel formulare l’art. 586-bis cod. pen. non si è limitato a traslare nel codice il contenuto della disposizione dell’art. 9, comma 7, L. 376 del 2000 (riguardante la commercializzazione di farmaci o sostanze farmacologiche al di fuori dei canali autorizzati) ma, introducendo l’espressione “al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”, ha ritenuto necessaria la sussistenza del dolo specifico, non previsto nella formulazione originaria della norma, determinando una abolitio criminis parziale di tutte quelle condotte non supportate da tale elemento soggettivo, con la conseguente applicazione del principio di retroattività ex art. 2 cod. pen. in quanto norma più favorevole al reo.

La Corte di cassazione ha evidenziato che la previsione del dolo specifico, nell’art 586-bis, tramite il dlgs 1 marzo 2018 n. 21, rappresentasse da parte del governo il superamento dei limiti imposti dalla legge delega del parlamento, violando così il principio di legalità.

Se infatti in linea generale il principio di legalità ricomprende anche gli atti aventi valore di legge, la Corte ritiene che questa regola patisca un’eccezione nel momento in cui il governo abroghi o modifichi una disposizione penale mediante decreto legislativo senza essere a ciò autorizzato dalla legge delega.


LA CONCLUSIONE

La Corte di cassazione ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Corte costituzionale, sollevando questione di legittimità costituzionale dell’art. 586-bis, comma 7 cod. pen., introdotto dall’art. 2, comma 1, lett. d), d.lgs 1 marzo 2018 n.21, nella parte in cui – sostituendo l’art. 9, comma 7, L. 14 dicembre 2000 m. 376, abrogato dall’art. 7, comma 1, lett. n) del medesimo d.lgs n. 21 del 2018 – prevede la locuzione “al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.

Infatti, ad avviso della Corte, nel caso di specie la condotta dell’agente, non presentando la finalità del dolo specifico previsto dall’art. 586-bis cod. pen., avrebbe comportato l’assoluzione e non invece la condanna, in virtù del principio di retroattività favorevole ex art. 2 cod. pen.

La Corte ha infine sottolineato che, come di recente affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n.39 del 2017, qualora una “disposizione dichiarata incostituzionale sia una disposizione che semplicemente abrogava una norma incriminatrice preesistente […] la dichiarazione di illegittimità costituzionale della prima non potrà che comportare il ripristino della seconda, in effetti mai (validamente) abrogata”.


Segnalazione a cura di DAVIDE VAIRA


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