LA MASSIMA
“Anche al giudice dell’esecuzione è consentito procedere alla rideterminazione della durata delle pene accessorie, inflitte con sentenza definitiva, quando ne sia richiesto l’adeguamento alla sopravvenuta modifica della disciplina normativa per effetto dell’intervento di una sentenza pronunciata dalla Corte Costituzionale”.
IL CASO
L’imputato veniva condannato per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione; all’inabilitazione all’esercizio di impresa commerciale ed all’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di anni dieci.
Successivamente alla formazione del giudicato, interveniva la pronuncia della Corte Costituzionale che dichiarava l’illegittimità dell’art. 216 L. Fall. nella parte in cui prevedeva la misura fissa di anni dieci delle pene accessorie, anziché “fino a dieci anni”, come poi riformulato.
Sul presupposto della diversa parametrazione legale, il condannato, a mezzo del proprio difensore, presentava istanza al giudice dell’esecuzione al fine di ottenere la riduzione della durata delle pene accessorie, stabilita nella misura fissa di dieci anni.
L’istanza veniva respinta poiché la pena principale inflitta in sede di cognizione, non consentiva di rimodulare la durata delle pene accessorie.
L’istante ricorreva in Cassazione.
LA QUESTIONE
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di ricorrere al giudice dell’esecuzione per demandare la rideterminazione della durata delle sole pene accessorie quando si sia già formato il giudicato.
LA SOLUZIONE
La Corte offre risposta positiva al quesito innanzi posto facendo leva sui principi generali che già la giurisprudenza di legittimità ha fornito in precedenza.
La durata delle pene accessorie per le quali la legge non stabilisce in misura fissa un limite di durata minimo o massimo, deve essere determinata in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p.. Pertanto, la valutazione è operata caso per caso e in maniera disgiunta dalla commisurazione della pena principale.
Inoltre, se è pacificamente ammesso che il giudice dell’esecuzione intervenga per rimuovere la pena principale quando sia stata inflitta in violazione dei parametri normativi fissati, le medesime esigenze di adeguamento al sopravvenuto mutamento normativo o a declaratorie di incostituzionalità, si pongono anche con riferimento alle pene accessorie.
Difatti, la finalità è quella di garantire proporzione tra previsione normativa e risposta punitiva concreta. Detta esigenza si traduce attraverso un’operazione di “riqualificazione sanzionatoria” da attuare in via postuma rispetto al giudicato formatosi, quindi in fase esecutiva.
Così opinando, la Corte, aderendo all’interpretazione delle Sezioni Unite, riconosce l’ammissibilità della richiesta di rideterminare le sole pene accessorie innanzi al giudice dell’esecuzione.
Segnalazione a cura di Maria Simonetti
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