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Diritto Penale

RICICLAGGIO - FRODE INFORMATICA - Cass. Pen., Sez. II, 11 marzo 2021, n. 9787



LA MASSIMA

Integra il delitto di riciclaggio la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione la propria carta prepagata per ostacolare la provenienza delittuosa delle somme da altri ricavate dall’illecito utilizzo della carta clonata, consentendo il versamento del denaro in precedenza prelevato al bancomat dal possessore di quest’ultima (resosi perciò responsabile del delitto di frode informatica), ovvero consentendo il diretto trasferimento, sulla predetta carta prepagata, delle somme ottenute dal possessore della carta clonata con un’operazione di “ricarica” presso lo sportello automatico (assumendo rilievo, in tale seconda ipotesi, il delitto presupposto di falsificazione o alterazione della carta originaria, di cui all’art. 55 comma 9 d.lgs. 231/2007).


IL CASO

Nell’ambito di un complesso procedimento avente ad oggetto imputazioni per associazione per delinquere finalizzate al compimento di una pluralità di reati contro il patrimonio, veniva accertata la responsabilità di alcuni degli imputati per il reato di riciclaggio, per essersi prestati ad intestarsi carte prepagate, al fine di consentire al consorzio criminoso di riversare su di esse denaro indebitamente sottratto attraverso l’operazione di clonazione delle carte. Con riguardo alla condotta di clonazione e addebito, il reato contestato era quello di frode informatica ex art 640ter c.p.. Il reato veniva consumato con il passaggio diretto e contestuale del denaro dalla carta clonata alla carta prepagata intestata all’imputato, tramite la funzione “ricarica” dello sportello bancomat.


LA QUESTIONE

La questione risolta dalla Corte di Cassazione, nel caso in esame, inerisce l’inquadramento della condotta di intestazione di carte prepagate, al fine di consentire al consorzio criminoso di riversare su di esse denaro indebitamente sottratto attraverso l’operazione di clonazione delle carte. Si pone, in particolare, la problematica di chiarire se, data la contestualità tra prelievo e ricarica, tale condotta sia da inquadrare nel reato di riciclaggio ovvero nel reato presupposto di frode informatica ex art 640 ter c.p. ovvero in quello, a monte, di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito di cui all’art. 55 d.lgs. 231/2007 (ora 493ter c.p.), in concorso con gli altri partecipanti dell’associazione per delinquere. Tale aspetto, in virtù della clausola di salvaguardia contenuta nell’art. 648bis c.p., costituisce elemento dirimente ai fini del giudizio di responsabilità dei ricorrenti.


LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione giunge alla conclusione che la condotta dei ricorrenti debba essere inquadrata nella fattispecie di riciclaggio.

Preliminarmente, rileva che, in caso di contestualità del passaggio di denaro dalla carta clonata a carta prepagata, la condotta contestata agli imputati effettivamente, costituisce una delle modalità esecutive della frode informatica, di tal ché la frode non si consuma se non nel momento in cui avviene il contestuale trasferimento dei fondi dai conti correnti delle ignare vittime della clonazione delle carte bancomat alle carte prepagate intestate ai ricorrenti.

Tuttavia, rileva la Corte, al momento del passaggio di denaro, era già stato commesso, ab origine, quale presupposto logico del reato di frode informatica, il reato di cui all’art. 55 co 9 d.lgs. 231/2007 (ora 483ter c.p.), ovvero, il reato di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento, non contestato nei confronti dei ricorrenti.

Più in particolare, era stata sicuramente commessa una o più tra le tante condotte descritte nella seconda parte di quest'ultima norma e consistenti nel fatto di chi "al fine di trarne profitto per sé o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi".

In questa chiave di lettura, la condotta dei ricorrenti si struttura come strumentale al raggiungimento dello scopo finale cui tutta l'operazione illecita è preordinata; acquistando una sua autonoma rilevanza quale fattispecie penale, proprio in virtù del fatto, incontestato, che i ricorrenti non avevano partecipato al reato di cui all'art. 55, comma 9 d.lgs. 231/2007, nella modalità prima indicata.

La Corte si pone, sul punto, in linea con i suoi orientamenti consolidati, secondo cui in tema di riciclaggio di carte di credito rubate o clonate, l'indebita utilizzazione delle carte stesse non costituisce reato presupposto del riciclaggio, ma reato strumentale alla commissione del riciclaggio medesimo (Sez.2, n. 47147 del 24/10/2013, Tumbarello, rv. 257821).

Viene peraltro negata la possibilità che il reato di cui all’art 55 sia da ritenere assorbito nel reato di frode informatica, cui i ricorrenti avevano concorso: fa, infatti, luogo assorbimento in relazione all’ipotesi prevista nella prima parte dell'art. 55, comma 9 d.lgs. 231/2007, consistente nel fatto di chi "utilizza, non essendone titolare carte di credito o di pagamento....". Fattispecie del tutto diversa da quella, prevista nella prima parte della norma e contestata nel caso di specie, di chi, a monte, "falsifica" detti strumenti di pagamento.

Segnalazione a cura di Laura Torreggiani



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