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Diritto Penale

RICICLAGGIO - Cass. II Sez. 10 Febbraio 2021, n. 5241

LA MASSIMA

“Ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, pur non essendo necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali, tuttavia occorre che esso sia individuato nella sua tipologia”


IL CASO

Il caso sottoposto alla cognizione della Suprema Corte riguardava un'associazione per delinquere composta da alcuni soggetti stranieri che si erano associati allo scopo di commettere, in forma transnazionale, una serie indeterminata di delitti di riciclaggio di denaro, provento di attività illecite, ed esercitare, senza la prevista autorizzazione, l'attività di prestazione di servizi di pagamento attraverso il trasferimento di denaro fra diversi Stati con il sistema cosiddetto “hawala” (sostanziatasi in complesse operazioni di raccolta, consegna, compensazione e trasferimento di denaro nell'interesse di terzi, qualificabili come "servizi di pagamento" non autorizzati).

La sentenza della Corte D'appello è stata impugnata sotto vari punti rispetto alle diverse posizioni soggettive.

I motivi di ricorso attenevano alla violazione di legge e vizi di motivazione per la confermata esistenza dell'associazione per delinquere, in assenza dei presupposti previsti dall'art. 416 c.p.; erronea applicazione della legge penale, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all'aggravante della transnazionalità, in caso di sovrapposizione tra l'associazione ex art.416 c.p. e il gruppo transnazionale; violazione di legge e vizio motivazionale nell'accertamento del reato di cui all'art.131ter TUB; violazione della legge penale in relazione alla riqualificazione giuridica dei fatti contestati in riciclaggio.


LA QUESTIONE

La Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso a eccezione dell'ultimo; ritenuta sussistente l'associazione criminale, infatti, la Sez.II della Cassazione ha censurato la sentenza di secondo grado nella parte in cui aveva riqualificato in riciclaggio i fatti definiti dal Tribunale ai sensi dell'art.712 c.p. senza darne una motivazione puntuale e rafforzata.

Elemento principale di distinzione tra le due fattispecie è la provenienza delle cose oggetto di acquisto e trasferimento, che nell'art.712 c.p. non è oggetto di prova, rilevando il solo sospetto, mentre lo è nel riciclaggio in cui la provenienza delittuosa deve essere provata e coperta anche dal dolo, pur nella sua declinazione di dolo eventuale.

In materia di riciclaggio sussistono orientamenti differenti proprio rispetto alla prova della provenienza delittuosa dei beni. Secondo una prima tesi, ai fini della fattispecie, non sarebbe necessario riuscire a individuare la fonte di provenienza del denaro essendo sufficiente dimostrare - sulla base di gravi, plurimi e concordanti indizi - che quel denaro non potesse essere che di provenienza illecita; diversa teoria, al contrario, ritiene che pur non essendo necessaria la ricostruzione del delitto presupposto in tutti gli estremi storici e fattuali occorre che esso sia individuato nella sua tipologia.


LA SOLUZIONE

La sentenza impugnata ha ritenuto raggiunta la prova logica della provenienza del denaro dal delitto di cessione di stupefacente sulla base di indici sintomatici (costituiti dalla entità delle somme trasferite, dai luoghi e dalle particolari modalità di consegna e occultamento del denaro, nonché dall'utilizzo di termini criptici nelle intercettazioni). In particolare, la Corte D'appello ha ritenuto provata tale provenienza anche per quei trasferimenti in cui la stessa era solo desumibile a fronte delle medesime modalità con cui era avvenuto il trasferimento di tutte le somme di denaro. Per alcuni trasferimenti dunque la provenienza dai delitti di spaccio non era stata individuata in concreto ma in via analogica.

La Corte di Cassazione adita ha censurato tale generalizzazione, fondata su un'analogia del modus operandi e su indici sintomatici non univocamente indicativi della provenienza delle somme trasferite dal reato di cessione di stupefacente.

Nello specifico, i giudici di legittimità hanno evidenziato la necessità di una motivazione rafforzata nel caso in cui il giudice di secondo grado ritenga di qualificare diversamente il fatto rispetto a quanto accertato in primo grado. In assenza di motivazione rafforzata e altresì di un accertamento puntuale sull'effettiva provenienza dei trasferimenti da delitti di cessione di stupefacenti la Cassazione ha ritenuto corretta la qualificazione data dal primo giudice, rinviando alla Corte D'appello per la determinazione della pena.


Segnalazione a cura di Sonia Sasso



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