Massima: “In tema di revoca della patente di guida disposta da una sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti, per i reati di cui agli artt. 589 bis e 590 bis cp, divenuta irrevocabile prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art 222 cod. strada ad opera della sentenza n. 88 del 2019 della Corte costituzionale, la Prima sezione ha affermato che il giudice dell’esecuzione non può rideterminare la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente, non trattandosi di effetto penale della condanna.”
IL CASO
Il ricorrente ha adito, il giudice di esecuzione, ai fini della rideterminazione della sanzione amministrativa accessoria (revoca della patente di guida), applicata dal giudice della cognizione in relazione alla condanna per il reato di cui all’art 590 bis comma 1 cp, passato in giudicato prima dell’intervento della Corte costituzionale n. 88/2019. Tuttavia, il Tribunale ha respinto le doglianze sulla base della natura giuridica della revoca della patente meramente amministrativa e non già penale in senso stretto, in applicazione dei cc.dd. criteri Engel. Contro tale ordinanza, è stato quindi proposto ricorso per Cassazione, sostenendo che la revoca della patente di guida avrebbe natura penale, con conseguenziale applicazione dell’art 30 comma 4 legge 87 del 1953 .
LA QUESTIONE La sentenza in esame ha dunque ad oggetto la questione della natura giuridica della sanzione accessoria della revoca della patente di guida, come disciplinata all’art 222 Cod. Strada, a seguito dell’intervento della Corte costituzionale n. 88/2019 e in applicazione dei criteri Engel.
LA SOLUZIONE La Corte di Cassazione ha sostenuto la natura non penale della revoca della patente, ravvisando una mera finalità preventiva sottesa alla stessa in applicazione dei noti parametri Engel, secondo cui la sanzione può essere definita penale, al di là del nomen attribuito dal legislatore, in rapporto all’analisi concreta delle finalità perseguite e del grado di afflittività, Inoltre, la stessa Corte Costituzionale nel censurare, con sentenza n. 88/2019, la disposizione introdotta con la legge 41 del 2016 in tema di revoca della patente, definisce tale misura come “sanzione amministrativa accessoria” e ne evidenzia l’irragionevole automatismo in presenza di condotte illecite cui accede. Tanto in applicazione del noto principio secondo cui previsioni sanzionatorie rigide non appaiono in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, quest’ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato.
Con riguardo al caso di specie, afferma la Corte che nell’art. 222 cod. strada l’automatismo della risposta sanzionatoria, non graduabile, può giustificarsi solo per le più gravi violazioni contemplate dalle due citate disposizioni, quali previste, come ipotesi aggravate, sanzionate con le pene rispettivamente più gravi, dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen. Porsi alla guida in stato di ebbrezza alcolica (oltre la soglia di tasso alcolemico prevista dal secondo e dal terzo comma sia dell’art. 589-bis, sia dell’art. 590-bis cod. pen.) o sotto l’effetto di stupefacenti costituisce un comportamento altamente pericoloso per la vita e l’incolumità delle persone, posto in essere in spregio del dovuto rispetto di tali beni fondamentali; e, pertanto, si giustifica una radicale misura preventiva per la sicurezza stradale consistente nella sanzione amministrativa della revoca della patente nell’ipotesi sia di omicidio stradale, sia di lesioni personali gravi o gravissime. Al di sotto di questo livello vi sono comportamenti pur gravemente colpevoli, ma in misura inferiore sicché non è compatibile con i principi di eguaglianza e proporzionalità la previsione della medesima sanzione amministrativa e in tal caso, l’automatismo della sanzione amministrativa più non si giustifica e deve cedere alla valutazione individualizzante del giudice. In conclusione, ribadisce la Corte che la revoca della patente di guida non può essere “automatica” indistintamente in ognuna delle plurime ipotesi previste sia dall’art. 589-bis (omicidio stradale) sia dall’art. 590-bis cod. pen. (lesioni personali stradali), ma si giustifica solo nelle ben circoscritte ipotesi più gravi sanzionate con la pena rispettivamente più elevata come fattispecie aggravate dal secondo e dal terzo comma di entrambe tali disposizioni (guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di stupefacenti). Negli altri casi, che il legislatore stesso ha ritenuto di non pari gravità, il giudice deve poter valutare le circostanze del caso ed eventualmente applicare come sanzione amministrativa accessoria, in luogo della revoca della patente, la sospensione della stessa come previsto – e nei limiti fissati – dal secondo e dal terzo periodo del comma 2 dell’art. 222 cod. strada.
A fronte del dictum della Consulta, la Cassazione conclude che non vi è alcuna attrazione in ambito penale del tema della revoca della patente di guida, quanto l’applicazione del canone di ragionevolezza ex art 3 cost. , con l’attribuzione al giudice della cognizione di una facoltà di scelta, tra sospensione e revoca, nelle ipotesi non aggravate. Ciò porta ad escludere che la rimozione di tale automatismo ( tra sospensione e revoca) possa avere l’effetto di ridiscussione del giudicato. La sanzione amministrativa, cui non sia attribuita natura sostanzialmente penale, è pacificamente esclusa dall’ambito applicativo della previsione di cui all’art 30 comma 4 legge 87/1953. Pertanto la Corte di Cassazione ribadisce che la revoca della patente è concepita dal legislatore come misura inibitoria correlata all’avvenuta manifestazione di pericolosità del soggetto autore dell’illecito penale, dunque essenzialmente quale misura di prevenzione, atteso che la inibizione alla guida assicura la collettività dalla possibile reiterazione del comportamento pericoloso, con estraneità funzionale agli aspetti meramente afflittivi della pena. Inoltre anche nel risvolto temporale, l’inibizione derivante dalla revoca non è definitiva, posto che dopo cinque anni è possibile ottenere un nuovo titolo abilitativo ex art 222 comma 3 ter cds. Proprio tale aspetto viene valorizzato dalla Cassazione quale ulteriore conferma dell’assenza di profili di afflittività concreta di entità tale da determinare qualificazioni diverse rispetto a quella nominalistica.
(Segnalazione a cura di Isotta Fermani)
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