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Diritto Penale

RESPONSABILITÀ MEDICA - P. AFFIDAMENTO - Cass. Pen., sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 3745

Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità medica, con particolare riguardo al caso in cui più medici, titolari di una posizione di garanzia, si siano succeduti nel trattamento sanitario di un medesimo paziente, chiarendo all’uopo che non è consentita una attribuzione generica o unitaria della responsabilità penale, ma è necessario accertare l’incidenza della condotta e del ruolo di ciascun sanitario in relazione all’evento lesivo. MASSIMA In tema di successione di posizioni di garanzia, quando l'obbligo di impedire l'evento connesso ad una situazione di pericolo grava su più persone obbligate ad intervenire in tempi diversi, l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti IL CASO Il caso sottoposto al vaglio dei giudici di vertice trae origine dal ricorso dei due imputati avverso la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma, che aveva ribaltato – sia pure ai soli effetti civili – il contenuto dell’accertamento compiuto dai giudici di primo grado, che avevano assolto i prevenuti con la formula “perché il fatto non sussiste”. In particolare, i due medici venivano tratti a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 589 c.p., a seguito dell’exitus di un paziente ricoverato dapprima presso il Pronto Soccorso, ove veniva formulata una diagnosi di diverticolite acuta e, successivamente, nel reparto di Chirurgia generale, ove il sanitario preposto correggeva la diagnosi, a cui seguiva un intervento chirurgico ormai tardivo e con esito infausto. LA QUESTIONE: In conseguenza delle statuizioni innanzi riportate, i due imputati propongono ricorso per Cassazione, articolando più motivi di gravame, tra i quali viene in rilievo, limitatamente a quanto qui di interesse, quello incentrato sulla violazione dell’art. 192 c.p.p. e sul vizio di motivazione in relazione al principio di affidamento. In estrema sintesi, i ricorrenti si dolgono della indistinta valutazione delle rispettive posizioni operata dal giudice di seconde cure, assumendo che gli stessi si sarebbero succeduti nella gestione del paziente con compiti e responsabilità differenti e, dunque, si sarebbero trovati ad affrontare diverse fasi dell’evoluzione delle sue condizioni. Conseguentemente, lamentano la violazione del principio di affidamento, inteso quale criterio di attribuzione della responsabilità penale e in forza del quale ciascun sanitario risponde esclusivamente del corretto adempimento dei doveri di diligenza e perizia a lui affidati, senza tuttavia essere chiamato a rispondere dell’altrui condotta colposa. LA SOLUZIONE: La Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la doglianza dei ricorrenti, enunciando il seguente principio di diritto: “in tema di successione di posizioni di garanzia, quando l'obbligo di impedire l'evento connesso ad una situazione di pericolo grava su più persone obbligate ad intervenire in tempi diversi, l'accertamento del nesso causale rispetto all'evento verificatosi deve essere compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascun titolare della posizione di garanzia, stabilendo cosa sarebbe accaduto nel caso in cui la condotta dovuta da ciascuno dei garanti fosse stata tenuta, anche verificando se la situazione di pericolo non si fosse modificata per effetto del tempo trascorso o di un comportamento dei successivi garanti”. In altri termini, la Suprema Corte, in continuità con un indirizzo già assunto in tema di attività medica in équipe, ha affermato che ai fini dell’accertamento della responsabilità penale in caso di cooperazione di più sanitari succedutisi nel tempo, il relativo giudizio non può essere unitario ma deve essere diversificato, venendo in rilievo la rilevanza causale della singola condotta ascritta a ciascuno di essi. Ne discende che, in relazione al singolo imputato, il giudicante sarà tenuto a valutare l’eventuale comportamento diligente che il sanitario avrebbe dovuto adottare, l’incidenza del fattore “tempo” sull’intervento terapeutico posto in essere, nonché la condotta specifica tenuta dai successivi garanti rispetto all’evoluzione della malattia del paziente. D’altronde, ad opinare diversamente, si configurerebbe una responsabilità oggettiva per fatto altrui, con conseguente violazione del principio personalistico sancito all’art. 27 Cost., atteso che il sanitario sarebbe chiamato a rispondere anche in assenza di un nesso di causalità tra la condotta dallo stesso posto in essere e l’evento lesivo. Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ravvisato la carenza motivazione della sentenza impugnata, giacché nell’iter argomentativo dei giudici di merito non vi è alcuna distinzione circa il ruolo rivestito dal medico del Pronto Soccorso e quello in servizio presso la divisione di Chirurgia generale, il quale, nel momento in cui ebbe in cura il paziente, si era affidato agli elementi valutativi e alle risultanze obiettive del primo sanitario. Conclusivamente, la Corte ha ritenuto assorbente il motivo innanzi articolato, annullando la sentenza impugnata, con rimessione alla Corte d’Appello competente per un nuovo giudizio. Segnalazione a cura di Raffaella Stigliano








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