LA MASSIMA
Il termine di prescrizione stabilito dall'art. 22 d.lgs. 231 del 2001, in materia di responsabilità amministrativa delle società e degli enti, riguarda tanto l'illecito, che dunque non potrà più essere perseguito decorsi cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, quanto la sanzione definitivamente irrogata, che dovrà essere riscossa, a pena di estinzione, entro il termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza pronunciata a carico della persona giuridica; fatti salvi, in entrambe le ipotesi, gli effetti di eventuali cause interruttive rilevanti a norma del codice civile”
IL CASO
La vicenda oggetto del giudizio concerneva l'applicazione di una sanzione pecuniaria a carico di una società, a seguito di richiesta ai sensi dell'art. 63 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231. La sentenza diveniva successivamente irrevocabile.
A distanza di oltre cinque anni dalla data di irrevocabilità, alla società veniva notificata la cartella esattoriale di pagamento. Quest'ultima adiva il giudice dell'esecuzione, chiedendo l'accertamento dell'intervenuta prescrizione della sanzione, ai sensi dell'art. 22 d.lgs. n. 231/2001.
Il giudice adito rigettava la domanda ritenendo applicabile l'art. 22 d.lgs. n. 231/2001 esclusivamente all'illecito amministrativo, mentre il termine entro cui eseguire la sanzione dovrebbe essere quello decennale statuito dall'art. 2953 c.c..
LA QUESTIONE
La problematica, dunque, riguarda la portata applicativa del termine di prescrizione di cui all'art. 22 d.lgs. n. 231/2001. Invero, è indubbio che tale disposizione imponga di perseguire l'illecito amministrativo entro cinque anni dalla data di consumazione del reato presupposto. Al contrario, è oggetto di discussione il termine entro cui l'autorità competente debba procedere all'esazione della sanzione irrogata, una volta pronunciata la sentenza che accerta la responsabilità dell'ente.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ritiene che il termine di prescrizione sancito dall'art. 22 d.lgs. n. 231/2001 sia applicabile anche alla sanzione definitivamente irrogata, così superando la tesi avvallata dalla corte di merito, che propendeva per applicazione dell'art. 2953 c.c..
L'analisi condotta dalla Corte Suprema si fonda, anzitutto, su una lettura complessiva dell'art. 22 d.lgs. n. 231/2001. Infatti, il primo comma della disposizione citata lascia intendere, senza margini di dubbio, che il termine quinquennale debba essere riferito, in primo luogo, alla prescrizione dell'illecito.
Tuttavia, l'analisi dei successivi commi dell'art. 22 induce a ritenere che nel medesimo termine debba anche essere eseguita la sanzione. Infatti, ai sensi dei commi 2 e 4, la contestazione dell'illecito all'ente determina l'interruzione della prescrizione e la sospensione del decorso della stessa “fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.
Di conseguenza, osserva la Corte, dalla pronuncia della sentenza decorre un nuovo termine di prescrizione, di durata quinquennale, riferito necessariamente non più all'illecito ma alla sanzione definitivamente irrogata.
A sostegno di tale conclusione si osserva come, nello stesso incipit dell'art. 22, il legislatore citi le “sanzioni amministrative”. Da tale scelta lessicale traspare la volontà di disciplinare congiuntamente i termini tanto della fase di cognizione, quanto della fase di esecuzione.
La diversa tesi che, per quanto riguarda il momento esecutivo, sostiene l'applicabilità dell'art. 2953 c.c. è criticabile per diverse ragioni.
Anzitutto, l'art. 22 d.lgs. n. 231/2001 riproduce la disciplina dettata dall'art. 2945, comma 2 c.c., con riferimento all'effetto interruttivo e sospensivo della richiesta di rinvio a giudizio a carico dell'ente. Tuttavia, oggetto di rinvio è solo tale aspetto, mentre nulla viene disposto in ordine al termine entro cui debba essere eseguita la sentenza di condanna.
In assenza di disciplina esplicita, la soluzione del problema non può essere ricercata nella disciplina del codice civile, cioè nell'art. 2953 c.c., ma deve essere desunta dal sotto-sistema delineato dal d.lgs. n. 231 del 2001.
A sostegno di tale conclusione, la Corte osserva come, a prescindere dal dibattito inerente la natura della responsabilità dell'ente, tale ambito sia caratterizzato da una evidente dimensione sanzionatoria. Di conseguenza, il modello di riferimento non può che essere quello del diritto punitivo, a cui è certamente estraneo l'art. 2953 c.c..
La definitiva conferma della correttezza dell'impostazione descritta viene ravvisata nelle disposizioni dettate in materia di sanzioni amministrative. Invero, la Corte Suprema evidenzia come l'art. 28 legge 24 novembre 1981, n. 689 presenti una struttura analoga all'art. 22 d.lgs. 231/2001. In particolare, il primo comma prevede un termine quinquennale per l'irrogazione della sanzione, che decorre dalla data di commissione dell'illecito. Per pacifica opinione, nel medesimo termine di cinque anni si prescrive il credito che sorge a seguito della formazione del titolo.
Segnalazione a cura di Federico Cavalli
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