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Diritto Penale

RESPONSABILITÀ ENTI - Cass. Pen., Sez. VI, 7 aprile 2020, n. 11626

MASSIMA “La persona giuridica è chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo derivante da un reato-presupposto per il quale sussista la giurisdizione nazionale commesso dai propri legali rappresentanti o soggetti sottoposti all’altrui direzione o vigilanza, in quanto l’ente è soggetto all’obbligo di osservare la legge italiana e, in particolare, quella penale, a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove esso abbia la propria sede legale ed indipendentemente dall’esistenza o meno nel Paese di appartenenza di norme che disciplinino in modo analogo la medesima materia anche con riguardo alla predisposizione e all’efficace attuazione di modelli di organizzazione e di gestione atti ad impedire la commissione di reati fonte di responsabilità amministrativa dell’ente stesso. Pertanto, la disciplina del decreto n. 231 è applicabile ad una società straniera priva di sede in Italia, ma operante sul territorio nazionale, in relazione ai delitti di omicidio e lesioni personali colposi (come nel noto caso dell’incidente ferroviario di Viareggio, v. Trib. Lucca, sentenza 31/07/2017, n. 222)”.

IL CASO A seguito di una complessa vicenda societaria, la Corte d’Appello ha confermato la decisione di primo grado ove questa riconosceva la responsabilità amministrativa derivante da reato di due società, in relazione alla commissione dell’illecito amministrativo ex artt. 5 e 25 del d. lgs. n. 231/2001 (derivante dai reati di cui agli artt. 110, 319, 319 ter e 321 c.p.). L’illecito amministrativo era stato realizzato, nell’interesse e a vantaggio delle società collegate tra loro, da due soggetti che rivestivano al momento del fatto funzioni di rappresentanza degli enti. Avverso la pronuncia di secondo grado, le due società hanno esperito ricorso in Cassazione denunciando diversi motivi, tra i quali rileva la violazione sia dell’art. 20 c.p.p. sia delle disposizioni di cui agli artt. 5 e 25 del d.lg.s. n. 231/2001: la difesa ha contestato, in particolare, il ravviso, da parte dei giudici di merito, della giurisdizione italiana nonostante le società imputate, aventi sede principale all’estero, abbiano commesso il fatto in Italia, ove però svolgono un’attività prettamente formale, non connotata da alcuna effettiva operatività. Le ricorrenti argomentano che l’ente può rispondere per “colpa di organizzazione” soltanto nel luogo ove questo abbia stabilito il centro decisionale: sicché la responsabilità dell’ente mantiene natura amministrativa anche se oggetto di accertamento penale.

LA QUESTIONE Nella sentenza in commento, rileva quindi il motivo di ricorso inerente alla giurisdizione nazionale, per violazione dell’art. 20 c.p.p. e degli artt. 5 e 25 del d. lgs. n. 231/2001, cioè “per avere i Giudici di merito erroneamente ravvisato la giurisdizione dell’autorità giudiziaria nazionale trattandosi di condotte commesse in Italia da società aventi la sede principale all’estero”. In primo luogo, la difesa delle due società ha posto scorrettamente l’accento sulla distinzione tra gli enti aventi sede in Italia e quelli aventi sede all’estero. Questa differenza, tuttavia, è del tutto assente nell’art. 1, comma 2, del d. lgs. 231/2001. Inoltre, la tesi difensiva si è focalizzata sulla c.d. “colpa di organizzazione”, da muoversi all’ente solamente nel luogo ove questo abbia il suo centro decisionale. La Suprema Corte smonta l’impianto addotto, sottolineando che la responsabilità dell’ente, sebbene autonoma, è comunque da considerarsi “derivata” dal reato. Ne discende che la giurisdizione va calibrata in base al “reato-presupposto”, non assumendo rilievo il fatto che la colpa in organizzazione si sia verificata all’estero. A tal proposito, si esaminino anche gli artt. 36 e 38 del decreto in analisi. Il primo, infatti, statuisce che gli illeciti amministrativi sono sottoposti al giudice penale competente per i reati dai quali essi dipendono. L’art. 38, invece, si concentra sul “simultaneus processus”, affermando che il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente è riunito al procedimento penale. L’assoggettamento alla giurisdizione italiana viene rimarcato anche dall’art. 4 del d. lgs. 231/2001 che si occupa dell’ipotesi in cui l’ente, con sede principale in Italia, commetta reati all’estero: nel rispetto degli artt. 7, 8, 9 e 10 c.p., l’ente risponderà secondo la normativa italiana a meno che nei suoi confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto. A confermare l’irrilevanza della nazionalità, statale o straniera, dell’ente, sono gli artt. 3 e 6, comma 1, c.p., che sanciscono i principi di obbligatorietà e territorialità della legge penale, così da escludere l’applicabilità di una disciplina speciale per le persone giuridiche rispetto a quella ordinaria delle persone fisiche. Nell’art. 6 si specifica, tra l’altro, che vige la giurisdizione italiana anche quando in Italia sia stata tenuta una frazione della condotta, attiva od omissiva, si sia verificato l’evento delittuoso o sia stato commesso il reato-presupposto dell’illecito amministrativo.

LA SOLUZIONE La VI Sezione della Suprema Corte dichiara manifestamente infondata la questione di rito sollevata dalla difesa degli enti. La decisione di legittimità, al fine di evitare un trattamento diversificato contrastante con il principio di eguaglianza, osserva che, in caso di reato-presupposto commesso sul territorio nazionale, l’ente va equiparato alle persone fisiche e deve rispondere della condotta tenuta a prescindere dalla sua nazionalità o dal luogo ove si trova la sua sede principale o esplica in via preminente la propria operatività. Di talché, viene sancita la responsabilità della società estera operante nello Stato italiano anche se priva di sede nel nostro territorio. “Per tale ragione è del tutto irrilevante la circostanza che il centro decisionale dell’ente si trovi all’estero e che la lacuna organizzativa si sia realizzata al di fuori dei confini nazionali, così come, ai fini della giurisdizione dell’A.G. italiana, è del tutto indifferente la circostanza che un reato sia commesso da un cittadino straniero residente all'estero o che la programmazione del delitto sia avvenuta oltre confine”. Ad avvalorare tale linea interpretativa, interviene l’art. 97 bis introdotto dal d. lgs. n. 197/2004 nel d. lgs. n. 385/1993, ai sensi del quale viene estesa la responsabilità dell’illecito amministrativo dipendente da reato “alle succursali italiane di banche comunitarie o extracomunitarie”: l’aspetto dell’operatività sul territorio nazionale prevale a scapito di quello della nazionalità o del luogo della sede legale e/o amministrativa principale dell’ente.

Segnalazione a cura di Vincenza Urbano


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