LA MASSIMA “In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un modello organizzativo e di gestione ex art.6 del D.Lgs.231/2001; poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto”.
IL CASO La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condanna X, per il reato di omicidio colposo di un operaio, avvenuto in occasione di lavori edili di sopraelevazione di un corpo di fabbrica in un edificio pubblico, reato commesso in violazione delle norme in materia di antifortunistica, in quanto soggetto preposto alla vigilanza sul rispetto delle stesse. Difatti era stato accertato che la morte del lavoratore era avvenuta per l’omessa predisposizione di dispositivi di sicurezza, inoltre non era stata fornita agli operai una adeguata informazione sulla esistenza di rischi e circa le modalità per prevenirli, né era stata svolta una attività di vigilanza per verificare il rispetto delle norme antinfortunistiche. Viene altresì condannata la società X, in persona del legale rappresentate pro tempore, ex art.5, co.1 lett. a) e art.25 septies del D.Lgs. n.231/2001, non avendo agito tempestivamente ed in modo efficace per prevenire la commissione del reato di omicidio colposo. Ricorrono entrambi gli imputati, in particolare la società, tra i motivi di impugnazione, adduce di aver dimostrato l’adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo adeguato, nonché nominato un organismo di vigilanza all’uopo, nel rispetto di quanto previsto nel D. Lgs. n.231/2001. Contesta inoltre, la difesa della società, che i requisiti dell’interesse e del vantaggio, di cui alla normativa in oggetto, sono concetti incompatibili con i reati colposi, richiedendo gli stessi una finalizzazione della condotta volontaria e tesa a degli obiettivi, quali il risparmio di spesa per l’impresa o in ogni caso benefici economici per la stessa.
LA QUESTIONE La questione della quale la Cassazione viene investita riguarda la ricostruzione della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs. 231/2001. L’art.5 stabilisce che l’ente è responsabile per i reati commessi, nel suo interesse o a suo vantaggio, dai soggetti che hanno funzione di rappresentazione, amministrazione o direzione dell’ente o di una unità dello stesso, nonché dai soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di questi ultimi. La normativa in oggetto ha introdotto una sorta di tertium genus di responsabilità, a carico delle persone giuridiche, compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza. Difatti è onere dell’accusa dimostrare l’illecito dell’ente, attraverso le condotte dei soggetti di cui al’art.5, mentre è la persona giuridica a dover provare di aver adottato prima della commissione del reato, ed in modo efficace, modelli di organizzazione e gestione in grado di impedire la commissione di illeciti, quale quello poi verificatosi. In particolare, nel caso de quo, la Cassazione affronta la questione relativa alla compatibilità dei presupposti del vantaggio e dell’interesse dell’ente, con i delitti colposi, nonché la necessità che la responsabilità dell’ente non venga addebitata in automatico, per la sola commissione di un delitto da parte dei soggetti di cui all’art.5, ma piuttosto deve essere accertata in concreto, attraverso l’individuazione dell’adozione da parte dell’ente di un modello organizzativo, idoneo ed efficace a prevenire la commissione di reati, nonché il raggiungimento di un interesse o vantaggio, a beneficio dell’ente stesso, attraverso la commissione del delitto da parte dei soggetti di cui all’art.5.
LA SOLUZIONE La Cassazione ritiene infondato il motivo di impugnazione addotto dalla difesa della società X, circa l’incompatibilità dei presupposti dell’interesse e del vantaggio conseguito dall’ente, a seguito della commissione di un delitto colposo da parte dei soggetti preposti. I giudici di legittimità richiamano la precedente giurisprudenza, la quale ha sottolineato che i su indicati concetti devono essere tenuti ben distinti tra di loro, e a rilevanza alternativa, riferibili alla condotta posta in essere dal soggetto che ha agito e non all’evento, in quanto l’esito nefasto non può certamente considerarsi un interesse o un vantaggio per l’ente. Questi ultimi piuttosto possono concretizzarsi nel risparmio sui costi della sicurezza, nella velocizzazione dell’attività lavorativa, nel risparmio sul materiale. Viene poi svolta una distinzione tra i concetti di interesse e di vantaggio di cui all’art.5, precisando come non necessariamente gli stessi debbano coesistere, essendo previsti dal legislatore in via alternativa. L’interesse può sussistere nel caso in cui il soggetto agente ha violato in modo consapevole le norme cautelari al fine di conseguire una utilità per l’ente; invece il vantaggio si ha nell’ipotesi in cui l’autore del reato viola regolarmente le regole di cautela, con conseguente riduzione dei costi per l’impresa, con una massimizzazione dei profitti. I giudici di legittimità precisano, come del resto già fatto dalla giurisprudenza precedente, che nei reati colposi di evento, come l’omicidio colposo, il finalismo della condotta del soggetto preposto ex art. 5, è compatibile con la non volontarietà dell’evento lesivo, purché venga accertato in concreto che la condotta dell’autore del reato sia stata il frutto di una scelta corrispondente all’interesse dell’ente o comunque finalizzata ad ottenere un vantaggio per lo stesso, quindi ad ottenere un risparmio di spesa, una utilità, una massimizzazione dei profitti. Questi ultimi possono essere raggiunti anche attraverso l’omissione di attività di informazione e formazione del personale dell’impresa, con la velocizzazione dell’attività lavorativa, con il risparmio sui materiali adoperati. Nel caso sottoposto all’attenzione della Corte, i giudici di legittimità piuttosto sottolineano che i giudici di prime cure non hanno verificato la ricorrenza effettiva di un interesse o vantaggio per la società X e soprattutto l’adozione da parte di quest’ultima di un idoneo modello organizzativo ai sensi dell’art.6. In proposito i giudici di legittimità puntualizzano un principio di diritto per cui “In tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un modello organizzativo e di gestione ex art.6 del D.Lgs.231/2001; poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica prevenzionale, prima della commissione del fatto”. I giudici di secondo grado hanno genericamente fatto riferimento ad una maggiore velocità nell’esecuzione dei lavori, senza individuare quale interesse o vantaggio la società X avrebbe raggiunto ed omettendo qualsiasi valutazione sul modello organizzativo adottato dall’ente. Dunque è stata operata una equazione “responsabilità penale della persona fisica datore di lavoro/preposto = responsabilità amministrativa dell’ente”, in violazione di quanto previsto dal D. Lgs. n.231/2001. Pertanto la Corte di Cassazione, rispetto alla responsabilità amministrativa dell’ente annulla la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Roma per un nuovo giudizio sul punto.
Segnalazione a cura di Erika Violante.
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