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Diritto Penale

RESISTENZA A PUBBLICO UFFICIALE - CAUSA DI NON PUNIBILITÀ Cass., Sez. VI, 31 OTTOBRE 2019, n. 44627

Aggiornamento: 23 dic 2019

MASSIMA “L'art. 393-bis c.p. prevede una causa di giustificazione fondata sul diritto del cittadino di reagire all'aggressione arbitraria dei propri diritti, che può essere applicata anche nelle ipotesi putative di cui all'art. 59, comma 4, c.p., quando il soggetto abbia allegato dati concreti, suffraganti il proprio ragionevole convincimento di essersi trovato, a causa di un errore sul fatto, di fronte ad una situazione che, se effettiva, avrebbe costituito atto arbitrario del pubblico ufficiale”.

IL CASO Il caso sottoposto al vaglio della sesta sezione della Corte di Cassazione trae origine dall’esercizio dell’azione penale nei confronti di un uomo accusato di resistenza (ex art. 337 c.p.) ed oltraggio a pubblico ufficiale (ex art. 341-bis c.p.).

LA QUESTIONE I giudici di secondo grado, in riforma della sentenza emessa in prima istanza, assolvevano l’imputato, “perché il fatto non sussiste”, dal reato di resistenza (art. 337 c.p.) e dichiaravano la non punibilità ex art. 131 bis c.p. del reato di oltraggio (ex art. 341 bis c.p.). Per l’effetto revocavano, altresì, le statuizioni civili. La sentenza de qua veniva impugnata dal Procuratore generale presso la Corte di Appello competente e dall'imputato. Il Procuratore generale denunciava violazione di legge in relazione all’assoluzione dal reato di cui all'art. 337 c.p. Nel dettaglio, sosteneva la sussistenza degli elementi strutturali del delitto de quo, in considerazione della condotta impeditiva (violenta e minacciosa) posta in essere dell’imputato mentre erano in corso la verifica ispettiva e la redazione del verbale di accertamento. L’imputato si costituiva denunciando, in primis, il vizio di violazione di legge e vizi di motivazione per il mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 393-bis c.p. Segnatamente, la difesa rilevava come la Corte d’appello partenopea, pur considerando lo stato di agitazione dell’imputato, non avesse valutato la circostanza per cui tale status fosse riconducibile non solo alla rapina subita dal ricorrente in altro locale poco prima dell'ispezione, ma anche alle modalità con le quali gli agenti della Guardia di Finanza procedevano alla escussione dei dipendenti (tramite domande c.d. “a trabocchetto”). Secondo la linea difensiva, dunque, il comportamento dell'imputato era da considerarsi scriminato, in quanto reazione legittima ad un atto indebito dei verbalizzanti. Con il secondo motivo di ricorso, la difesa dell’imputato si doleva del fatto che la Corte distrettuale non avesse dichiarato estinto il reato di cui all'art. 341-bis c.p. in forza della condotta riparatoria tenuta prima del giudizio (ex art. 341- bis, co. 3, c.p.). La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso del Procuratore Generale e fondato quello dell’imputato. Relativamente al primo motivo sollevato dall’imputato, la Corte di legittimità, a seguito di un inter motivazionale polarizzato sugli elementi costitutivi del reato di resistenza a pubblico ufficiale, valorizza l’inidoneità, in termini di effettività causale, della condotta dell'imputato a coartare o ad ostacolare l'agire del pubblico ufficiale. Conseguentemente la S.C. ritiene corretta l’esclusione del reato di cui all’art 337 c.p operata dalla Corte d’Appello di Napoli, sottolineando che la condotta dell'imputato era volta a contestare solamente le modalità esecutive (domande a “trabocchetto”) dell'attività di verbalizzazione nei confronti di persone diverse dal ricorrente. I giudici di legittimità continuano affermando che la pronuncia di assoluzione emessa nei confronti del ricorrente non esimeva comunque i giudicanti dall’obbligo di esaminare la possibilità dell'applicazione della causa di non punibilità ex art. 393-bis c.p., in ragione dell’interesse che fa capo all’imputato e che (al di là del controverso inquadramento giuridico), può condurre, se esistente, ad una pronuncia di assoluzione “perché il fatto non costituisce reato”. Pertanto, ribadito il principio di diritto in apertura richiamato, la Corte afferma la necessità di una indagine (da svolgersi a cura del giudice del rinvio) circa la sussistenza della causa di giustificazione ex art. 393 bis c.p. - anche nella forma putativa - in relazione alla reazione oltraggiosa dell'imputato posta in essere a fronte della condotta dei pubblici ufficiali che procedevano alla verbalizzazione delle dichiarazioni rese dai dipendenti con modalità tali da fargli ragionevolmente ritenere di essere sottoposto a condotte vessatorie e di ingiustificata prevaricazione. Dichiarato fondato anche il secondo motivo di ricorso, la Corte evidenzia che, sebbene in secondo grado siano state revocate le statuizioni civili in considerazione della condotta riparatoria posta in essere prima del giudizio, la Corte di merito ha omesso di esaminare lo specifico motivo di gravame relativo all'applicazione della causa estintiva di cui al comma 3 dell'art. 341-bis c.p., limitandosi a riconoscere la non punibilità del reato ex art. 131-bis c.p. Sul punto, la S.C. afferma che, anche in presenza della declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto e revoca delle statuizioni civili, è comunque ravvisabile il concreto interesse dell'imputato a verificare la fondatezza dell'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 341- bis, c. 3, c.p., dal momento che quest'ultima tipologia di pronuncia dispiega effetti più favorevoli per l'imputato rispetto alla declaratoria di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.

LA SOLUZIONE La sesta sezione della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Procuratore generale e, in considerazione della ritenuta fondatezza del ricorso dell’imputato, ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 341- bis c.p. con rinvio alla Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio.



Segnalazione a cura di Vittorio La Battaglia.

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