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Diritto Penale

RECIDIVA REITERATA - Cass. pen. Sez. V, Sent. 30-03-2021, n. 12059

LA MASSIMA

In presenza di contestazione della recidiva è compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all'eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell'esistenza di precedenti penali.


IL CASO

La sentenza ha origine da un caso di bancarotta fraudolenta documentale, anche se i risvolti giuridici sono a carattere generale sull’applicabilità della recidiva. Il ricorrente adiva la Cassazione evidenziando, tra l’altro, come la Corte di merito avesse ingiustamente valutato, ai fini dell’attribuzione della recidiva reiterata infraquinquennale, due precedenti risalenti nel tempo e assolutamente scollegati con l’attuale contestazione (un furto commesso nel 1983 ed una resistenza a pubblico ufficiale del 2005).


LA QUESTIONE

La questione afferisce all’obbligo di motivazione cui è assoggettato il giudice nell’attribuire ad un soggetto la circostanza aggravante della recidiva, che può importare un rilevante aumento della pena a carico del reo. In particolare, ci si è chiesti se basti un generico riferimento a dei precedenti reati commessi o se, al contrario, il giudice sia tenuto ad eseguire un vaglio approfondito della motivazione per la quale tali precedenti costituiscano un indice di maggiore riprovevolezza e pericolosità.


LA SOLUZIONE

La sentenza in analisi, ponendosi nel solco dell’orientamento maggioritario, conferma come non basti un generico riferimento ad alcuni precedenti reati commessi per attribuire la circostanza della recidiva, a maggior ragione quando questi sono risalenti nel tempo e proteggano differenti beni giuridici rispetto alla violazione contestata. Nel caso di specie, il capo della sentenza che riguarda la recidiva viene annullato dalla Corte, che ritiene apodittico e privo di logiche argomentazioni il collegamento tra i precedenti penali del reo. Peraltro, la condotta esaminata richiedeva, al contrario, un peculiare sforzo argomentativo, dato che il reato fondante della "recidiva reiterata" è un furto commesso nel lontano 1983 e quello qualificante la "recidiva reiterata" come "infraquinquennale" è un reato di resistenza commesso nel 2005, del tutto disomogeneo rispetto alle condotte contestate nel nuovo procedimento. Secondo la Suprema Corte, un uso non adeguatamente sorvegliato della recidiva minaccia la funzione rieducativa della pena proprio per il rischio di eccedere la pena proporzionata; per questo la motivazione deve restituire la valutazione che il giudice ha compiuto, in termini che comunichino il difficile e peculiare itinerario percorso, attraverso l'evidenziazione tanto degli elementi assunti ad indicatori quanto del traguardo dell'accertamento. Da qui l’annullamento del capo della sentenza con rimessione al giudice di merito per una nuova valutazione con riferimento alla sussistenza della recidiva.


Segnalazione a cura di Gabriele Leonardi




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