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Diritto Penale

REATO OMISSIVO IMPROPRIO - Cass. Pen., Sez. IV, 5 marzo 2020, sent. n. 8864

MASSIMA “Nei reati omissivi impropri, la valutazione concernente la riferibilità causale dell'evento lesivo alla condotta omissiva che si attendeva dal soggetto agente, deve avvenire rispetto alla sequenza fenomenologica descritta nel capo d'imputazione, di talché, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice di merito in riferimento alla specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza e salvaguardia dei parametri vitali del paziente o altro) che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare l'evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale”.

IL CASO La Corte d’Appello di Venezia, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di D. in ordine al delitto di omicidio colposo ascrittogli, per maturata prescrizione. Essa ha, poi, confermato la sentenza di prime cure nella parte in cui ha condannato il D. alla rifusione delle spese in favore delle parti civili. Invero, il Tribunale di Verona aveva ritenuto responsabile il ginecologo D. (in concorso con il collega S., separatamente giudicato) del delitto di omicidio colposo del feto, portato in grembo da R., per il mancato tempestivo intervento che avrebbe potuto impedire la morte del feto. In particolare, secondo il giudice di prime cure egli avrebbe dovuto monitorare con il cardiotocografo il nascituro e, inoltre, avrebbe dovuto adottare prontamente tutte le necessarie misure terapeutiche per salvaguardare la salute della madre e del feto. Il ginecologo D. avrebbe, infatti, effettuato l’intervento chirurgico necessario (il taglio cesareo) con grave ritardo, quando ormai il feto era morto. Successivamente, in sede di Appello, su richiesta della difesa, è stata esperita perizia. I periti, nella relazione conclusiva, pur rilevando la sussistenza della condotta omissiva di D. di ritardata diagnosi, hanno ritenuto come non sia possibile affermare, con elevata probabilità prossima alla certezza, che il tardivo intervento del medico abbia cagionato la morte del feto. Ebbene, nonostante le conclusioni peritali, a parere della Corte d’appello di Venezia il ritardo di 45 minuti nel ricollegare il cardiotocografo ha avuto con ogni probabilità un ruolo decisivo nell’evento morte: infatti, il feto avrebbe avuto maggiori probabilità di sopravvivere qualora la condotta doverosa fosse stata anticipata di un'ora da parte del ginecologo. La Corte di merito ha, poi, ritenuto non rilevanti i dubbi sollevati dai periti circa le effettive possibilità di sopravvivenza del feto nell'ambiente esterno dopo la nascita. Avverso la sentenza d’appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, adducendo due motivi di doglianza. Con il primo motivo, egli ha lamentato il vizio di motivazione della sentenza impugnata in riferimento al nesso causale tra la condotta omissiva contestata al D. e l'evento letale: ciò in quanto, dalle conclusioni formulate dai periti nominati d’ufficio dalla Corte d’appello, non è possibile affermare con certezza che il pronto intervento del medico avrebbe scongiurato la morte del feto. Con il secondo motivo, invece, il ricorrente ha lamentato l’errata qualificazione giuridica del fatto, da inquadrare nel reato di aborto colposo di cui all’art. 593-bis c.p., punito con pena meno grave.

LA QUESTIONE La Corte di Cassazione, nell’esaminare la questione sottopostale, ha preliminarmente ribadito un proprio consolidato orientamento sull’obbligo motivazionale in capo al giudice dissenziente in tema di responsabilità medica. Quest’ultimo, infatti, qualora intenda discostarsi dalle conclusioni elaborate dal perito, è tenuto a un più penetrante e accurato onere motivazionale; in particolare, il giudice deve illustrare adeguatamente le ragioni del proprio dissenso, attraverso un’indispensabile verifica critica sull'affidabilità delle informazioni scientifiche disponibili ai fini della spiegazione del fatto. La Suprema Corte ha, poi, riaffermato un costante orientamento della stessa in tema di reati omissivi impropri e, in specie, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico. Invero, il giudice nel condurre il ragionamento controfattuale deve tenere conto della specifica attività (diagnostica, terapeutica, di vigilanza etc.) richiesta al sanitario e deve valutare l’idoneità della stessa, se in concreto adottata, a scongiurare l'evento lesivo con alto grado di credibilità razionale. Inoltre, in tema di nesso di causalità, lo stesso giudizio controfattuale richiede, preliminarmente, che l'accertamento di ciò che è accaduto (c.d. giudizio esplicativo) raggiunga un elevato grado di certezza processuale.

LA SOLUZIONE Orbene, la Suprema Corte, sulla base delle suesposte motivazioni, ha dichiarato fondato e assorbente il primo motivo di ricorso. Innanzitutto, essa ha ritenuto errato e insufficiente l’iter motivazionale con cui la Corte d’Appello di Venezia ha sostenuto la responsabilità dell’imputato per il reato di omicidio colposo (seppure nell’ambito di una sentenza di proscioglimento per maturata prescrizione). Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte territoriale – sulla base dell'apporto scientifico fornito dai periti designati d'ufficio – è risultata sostanzialmente non raggiunta la prova in ordine alla rilevanza causale della condotta omissiva tenuta dal dott. D. rispetto all'evento infausto della morte del nascituro. In specie, pur essendovi stata una condotta negligente da parte dell’imputato (consistita nel ritardo della diagnosi), non è possibile stabilire con elevata probabilità prossima alla certezza se l’intervento tempestivo dello stesso avrebbe scongiurato l’evento fatale per il nascituro. Inoltre, la Corte di Cassazione ha precisato che anche il secondo motivo di doglianza, se non fosse stato assorbito dal primo, sarebbe fondato. Invero, la corretta qualificazione giuridica della condotta in esame sarebbe quella di aborto colposo di cui all’art.593-bis c.p., così come la stessa Corte ha definitivamente affermato nei confronti del coimputato S., separatamente giudicato. La Cassazione ha, pertanto, disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non avere l’imputato commesso il fatto, nonché la revoca delle disposte statuizioni civili.

Segnalazione a cura di Lia Sini





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