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Diritto Penale

REATO COMMESSO ALL’ESTERO - GIURISDIZIONE ITALIANA Cass. pen., Sez. I, 1 luglio 2020, sent. n. 19762

MASSIMA

“Secondo il contenuto dell’art. 10 cod. pen. la condotta – pur se commessa all’estero dallo straniero – va presa in considerazione secondo un criterio legale di tipo formale che prevede l’applicabilità della legge italiana. In tal senso, per ‘legge italiana’ va indubbiamente intesa non soltanto la legge processuale ma anche quella relativa alle disposizioni di diritto sostanziale, come è dimostrato dai riferimenti alla entità della pena prevista dalla disposizione incriminatrice (art. 10 co. 2 n. 2 cod. pen.)”.


IL CASO

Il Tribunale, in funzione di giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza emessa dal G.I.P. con la quale è stata applicata nei confronti dell’indagato la misura cautelare in carcere, ritenendo esistente la giurisdizione italiana, nonché sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari in ordine ai reati di cui al capo A): artt. 110 c.p. e 25 legge n. 185 del 1990, per avere egli concorso nell’attività di transito di materiali di armamento in Libano e in Libia; e di cui al capo B): artt. 110 c.p. e 1, 2, 4, c. 2 legge n. 895 del 1967, per avere egli concorso nell’attività illegale di detenzione e porto, prima in acque internazionali, poi in Libia, di carri armati, mitragliatrici, esplosivi e altri armamenti, con loro successiva cessione in Tripoli.

Avverso la decisione del Tribunale del riesame, l’interessato, per tramite del suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, adducendo due motivi di doglianza. Con il primo motivo, egli ha contestato la sussistenza della giurisdizione italiana sulla cognizione delle condotte contestategli.

In particolare, la difesa ha rappresentato la non applicabilità dell’art. 6, c. 2 c.p. – con conseguente insusisstenza del reato di concorso nell’attività di transito di cui al capo A) – in quanto non sarebbero emersi elementi che dimostrerebbero in modo sicuro l’ingresso, anche solo temporaneo, della motonave guidata dall’indagato in acque territoriali italiane; invero, il solo dato della ricezione di un sms in lingua italiana da parte del gestore Wind sulla scheda telefonica dello stesso, preso a fondamento della decisione del Tribunale, non sarebbe sufficiente a radicare in modo univoco la giurisdizione italiana. Inoltre, non è apparso applicabile nemmeno l’art. 7, c. 1 n. 5 c.p. in riferimento all’art. 15 par. 4 della Convenzione Onu di Palermo e alla legge di ratifica n. 146 del 2006; ciò in quanto il predetto art. 15 consentirebbe l’ultrattività della giurisdizione italiana anche per reati compiuti in altro Stato, ma soltanto nell’ipotesi in cui vi sia un testo di legge interna che lo renda applicabile, non essendo sufficiente la mera legge di ratifica della Convenzione. Infine, secondo la difesa, neppure gli artt. 8 e 10 c.p., richiamati anche essi dal Tribunale, sarebbero idonei a fondare la giurisdizione italiana nel caso in esame. In specie, l’art. 8 c.p. non sarebbe applicabile in quanto la condotta dell’indagato è stata mossa esclusivamente da finalità economiche e non politiche; mentre, l’art. 10 c.p., anche ove si ritenga applicabile l’art. 15 par. 4 della Convenzione di Palermo, non sarebbe invocabile, poiché la presenza dell’indagato sul territorio italiano è stata solo temporanea e non volontaria.

Con il secondo motivo, invece, l’interessato ha affermato che dall’assenza della potestà giurisdizionale derivi anche il venire meno dei gravi indizi di colpevolezza e, dunque, il fondamento del titolo cautelare. Infine, nell’ipotesi in cui fossero ritenuti applicabili gli artt. 8 o 10 c.p., la difesa ha segnalato la mancanza della condizione di procedibilità della richiesta del Ministro di giustizia, essendo intervenuta questa soltanto dopo il compimento degli atti di indagine, con conseguente inutilizzabilità degli stessi.


LA QUESTIONE

La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, ha affrontato il tema della giurisdizione dello Stato italiano in ordine a condotte compiute in altro Stato.

In particolare, essa si sofferma, dapprima, sul principio di territorialità di cui all’art. 6, comma 2 c.p., il quale prevede l’applicabilità della legge italiana quando l’azione sia avvenuta in tutto o in parte sul territorio dello Stato. Tale ipotesi è stata posta a fondamento della decisione dal Tribunale del riesame richiamando la tesi della c.d. natura dinamica della verifica della giurisdizione, secondo la quale il giudice avrebbe il potere-dovere di controllare costantemente se i fatti contestati rientrino nell’ambito della propria giurisdizione, ex art. 20 c.p.p. Ebbene, la Cassazione ha ritenuto viziato tale inquadramento di giurisdizione sia in fatto che in diritto. Infatti, la tesi richiamata dal Tribunale è inappropriata al caso in esame, ciò in quanto gli elementi di fatto acquisiti già nella fase iniziale sono emersi ambigui o deboli. L’ingresso della motonave guidata dall’indagato sul territorio italiano non può, infatti, essere dimostrato dal solo elemento della ricezione di un sms italiano sul suo telefono cellulare. Il fatto storico va ritenuto, pertanto, commesso integralmente all’estero e la sentenza va annullata senza rinvio limitatamente al capo A).

La Suprema Corte, inoltre, non ritiene sostenibile neppure l’applicabilità dell’art. 7, c. 1 n. 5 c.p. che punisce secondo la legge italiana lo straniero che commette in territorio estero ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscano in tal modo. Infatti, essa ritiene che l’art. 15 par. 4 della Convenzione Onu di Palermo – cui fanno riferimento il G.I.P. e il Tribunale per applicare al caso in esame l’art. 7, c.1 n. 5 c.p. – non possa trovare diretta applicazione. Ciò in quanto il semplice ordine di esecuzione di cui all’art. 2 della legge n. 146 del 2006 in assenza di ulteriori disposizione regolatrici interne in tema di giurisdizione non sarebbe sufficiente a derogare il principio di territorialità della giurisdizione.

LA SOLUZIONE

Orbene, la Suprema Corte, dopo avere escluso l’applicabilità delle norme suesposte, ha ritenuto sussistente la giurisdizione italiana nel caso in esame in virtù dell’art. 10 c.p, con riferimento all’unica fattispecie di reato applicabile: quella prevista al capo B) dell’imputazione, ovvero cessione, detenzione e porto illegale di armi da guerra di cui agli artt. 1, 2 e 4 della legge n. 895 del 1967. In particolare, la Cassazione ha affermato che l’art. 10 c.p. considera la condotta, anche se commessa all’estero dallo straniero, secondo un criterio legale di tipo formale che prevede l’applicabilità della legge italiana. Invero, essa ha precisato che per “legge italiana” deve intendersi non soltanto quella processuale, ma anche quella di diritto sostanziale; ciò è dimostrato dal fatto che l’art. 10, c. 2 c.p. si riferisce proprio all’entità della pena prevista dalla disposizione incriminatrice.

Ebbene, nel caso in esame, la condotta di cessione di cui all’art. 1 della legge n. 895 del 1967 contestata all’indagato prevede il minimo di sanzione utile ai fini della punibilità, secondo quanto previsto dall’art. 10 c.p., e, pertanto, essa è punibile come se fosse avvenuta sul terriorio italiano. Inoltre, sussistono tutte le altre condizioni previste dallo stesso art. 10 c. 2 c.p., quali la richiesta del Ministro di giustizia prima dell’emissione del titolo cautelare e la presenza nel territorio dello Stato dell’indagato, anche se transitoria e occasionale.

Per tali ragioni, la Cassazione ha rigettato il secondo motivo di ricorso, ritenendo le obiezioni difensive infondate.

La Cassazione ha, dunque, annullato senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente al reato di cui al capo A), rigettando nel resto il ricorso.


Segnalazione a cura di Lia Sini






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