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Diritto Penale

REATI TRIBUTARI - RESP. AMMINISTRATORI - Cass. Pen., Sez. III, 17 gennaio 2020 , n. 1722

LA MASSIMA : In tema di reati tributari, l'amministratore di fatto risponde, quale autore principale, del delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto titolare effettivo della gestione sociale e, pertanto, nelle condizioni di poter compiere l'azione dovuta, mentre l'amministratore di diritto, come mero prestanome, è responsabile del medesimo reato a titolo di concorso per omesso impedimento dell'evento, ai sensi degli artt. 40, comma secondo, cod. pen. e 2932 cod. civ., a condizione che ricorra l'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza con la quale è stata affermata la sussistenza del dolo eventuale dell'amministratore di diritto, desumendola, oltre che dall'accettazione della carica, da una pluralità di elementi fattuali convergenti, che ne comprovavano la consapevolezza delle criticità gestionali della società e lo svolgimento di un ruolo attivo in ambito societario, con conseguente accettazione del rischio relativo alla commissione di reati da parte dell'amministratore di fatto).

IL CASO: La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Monza, ha riconosciuto le circostanze attenuanti generiche e, per l’effetto, rideterminato la pena nei confronti dell’imputato, condannato in primo grado per i reati di cui agli artt. 110 c.p. e 10 quater d.lgs. n. 74/2000. Nella specie, l’imputato, amministratore di diritto di una società, è stato ritenuto compartecipe del reato per non aver impedito che l’amministratore di fatto riportasse un credito inesistente al fine di estinguere o ridurre il quantum dovuto, così alterando falsamente il modello F24.

LA QUESTIONE Avverso tale sentenza, l’imputato propone ricorso per Cassazione, deducendo, in primo luogo, la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’affermazione di penale responsabilità. A parere della difesa, invero, non vi è la prova del contributo psicologico fornito dall’imputato per la commissione dei suddetti reati, essendo egli un mero prestanome, privo di poteri o di ingerenza nella gestione societaria, di fatto affidata ad altro amministratore. Con il secondo motivo, il difensore del ricorrente lamenta la violazione del disposto di cui all’art. 129 c.p.p., ritenendo che la Corte di appello non aveva rilevato la prescrizione di alcune delle condotte oggetto di imputazione. Il reato di cui all’art. 10 quater d.lgs. 74/2000 si consuma nel momento della presentazione del modello F24, sicché alla data della pronuncia di appello (07.01.2019) , le condotte commesse il 26.1.2011 e 22.6.2011 dovevano considerarsi prescritte.

LA SOLUZIONE In ordine al primo motivo di doglianza, la Corte di Cassazione ha fatto ricorso ad un principio già enunciato in precedenza, secondo il quale, in tema di reati tributari, l’amministratore di fatto di una società risponde come autore principale, in quanto effettivo titolare della gestione societaria, mentre l’amministratore di diritto risponde a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (art. 40 comma II c.p.) , a condizione che ricorra l’elemento soggettivo richiesto dalla norma penale incriminatrice. Muovendo da tale principio, la Suprema Corte ha ritenuto adeguata la motivazione fornita dalla Corte territoriale, ribadendo come l’esistenza di una pluralità di elementi fattuali convergenti tra loro (poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, conoscenza della situazione gestionale della società e delle connesse criticità anche a livello di liquidità, sottoscrizione di documenti afferenti la gestione societaria) comprovi, quantomeno nella forma del dolo eventuale, il ruolo attivo svolto dal ricorrente nell’ambito societario e, quindi, l’accettazione del rischio connesso alla carica di amministratore di diritto. La Corte di Cassazione ha, invece, accolto la prospettazione difensiva in ordine al secondo motivo di ricorso. La condotta decettiva si realizza proprio con l’utilizzo del modello F24, per cui il momento consumativo del reato de quo coincide con il momento in cui viene operata la compensazione dei debiti e non con quello della successiva dichiarazione dei redditi. Per tali ragioni, la Suprema Corte ha, dunque, annullato la sentenza d’appello limitatamente ad un solo capo di imputazione perché estinto per prescrizione. Segnalazione a cura di Giovanna Bellomo





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