top of page
Diritto Penale

REATI TRIBUTARI - AMMINISTRATORE DI FATTO - Cass., Sez. III, 5 marzo 2021, n. 9068

LA MASSIMA

“Ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto non occorre

l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, risultando sufficiente una continua e

significativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico ovvero occasionale”.


IL CASO

Nel caso in esame, la Corte di Appello territoriale confermava la sentenza del giudice di primo grado,

in forza della quale i ricorrenti venivano condannati rispettivamente alla pena detentiva di due anni i

primi due e di due anni ed otto mesi di reclusione il terzo, oltre alle sanzioni accessorie, perché ritenuti

responsabili per i reati di cui agli artt. 81 capoverso, 110 c.p. e 2 d.lgs. 74/2000 (capo A), nonché di cui

agli artt. 81 capoverso, 110 c.p. e 8 d.lgs. 10 74/2000 (capo B), nelle rispettive qualità di amministratori

di fatto della società e di concorrenti.

Avverso detta pronuncia gli imputati presentavano separati ricorsi per Cassazione.


LA QUESTIONE

La Corte di Cassazione con la sentenza in esame delinea nel percorso motivazionale, prendendo le

mosse dall’articolo 2639 cod. civ., le caratteristiche proprie dell’amministratore di fatto.

Il Supremo Consesso, si sofferma, quindi, sull’analisi degli elementi della significatività e della

continuità, definendo come dette caratteristiche non sembrino comportare necessariamente l’esercizio

di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attività

gestoria, svolta cioè in modo non episodico ovvero occasionale.


LA SOLUZIONE

Nel caso di specie la Corte, partendo dal significato letterale del già citato articolo 2639 cod. civ.,

precisa che la nozione di amministratore di fatto postuli l’esercizio in modo continuativo e significativo

dei poteri inerenti alla qualifica ed alla funzione in parola.​

Ciononostante, le appena menzionate caratteristiche della significatività e della continuità non

richiedono necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione ma l’esercizio di

un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.

Ne discende che la prova dell’amministrazione di fatto deve tradursi, a dire dei giudici,

nell’accertamento degli elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni

direttive, vale a dire in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale

dell’attività della società.

Al riguardo, a dire della Corte, amministratore di fatto non può essere ritenuto colui il quale sic et

simpliciter si inserisca una tantum nell’attività sociale ma il soggetto che, non in modo episodico, si

introduca in una delle fasi organizzative dell’assetto societario: in altre parole, il soggetto deve essere

inserito strutturalmente e non occasionalmente.

Per tratteggiare, dunque, la figura dell'amministratore di fatto è essenziale attingere ai criteri fissati

dall'art. 2639 cod. civ., che, per i reati in materia di società e consorzi, ha di fatto codificato gli approdi

giurisprudenziali che l'avevano preceduta. Peraltro, la previsione di cui all'art. 2639 cod. civ. non

esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in

simultaneità con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, i quali, in tempi successivi o anche

contemporaneamente, ben possono aver esercitato o esercitino ancora in modo continuativo e

significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di cui in esame.

Per i motivi di cui sopra, la sentenza impugnata, in relazione al primo ed al secondo ricorrente, fornisce

coerente motivazione quanto all’inserimento strutturale e non occasionale nella vita e nella gestione

della società, tanto sotto il punto di vista amministrativo quanto in ordine ai rapporti con i terzi, motivo

per cui i giudici dichiarano inammissibile il ricorso.

Si rinvia, invece, a nuovo giudizio per l’ultimo ricorrente, perché la Corte ravvisa un salto tra la

consapevolezza delle operazioni ed il concorso nella realizzazione, posta l’oggettiva presenza di deboli

indizi e di elementi che, nella valutazione della stessa pronuncia impugnata, non sono in grado di

superare un livello di mera verosimiglianza nell'attribuzione di responsabilità quantomeno concorsuale.


Segnalazione a cura di Alessandra Sarmentino




Ci trovi anche



42 visualizzazioni0 commenti

Comments


bottom of page