LA MASSIMA
“Ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto non occorre
l’esercizio di tutti i poteri tipici dell’organo di gestione, risultando sufficiente una continua e
significativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico ovvero occasionale”.
IL CASO
Nel caso in esame, la Corte di Appello territoriale confermava la sentenza del giudice di primo grado,
in forza della quale i ricorrenti venivano condannati rispettivamente alla pena detentiva di due anni i
primi due e di due anni ed otto mesi di reclusione il terzo, oltre alle sanzioni accessorie, perché ritenuti
responsabili per i reati di cui agli artt. 81 capoverso, 110 c.p. e 2 d.lgs. 74/2000 (capo A), nonché di cui
agli artt. 81 capoverso, 110 c.p. e 8 d.lgs. 10 74/2000 (capo B), nelle rispettive qualità di amministratori
di fatto della società e di concorrenti.
Avverso detta pronuncia gli imputati presentavano separati ricorsi per Cassazione.
LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione con la sentenza in esame delinea nel percorso motivazionale, prendendo le
mosse dall’articolo 2639 cod. civ., le caratteristiche proprie dell’amministratore di fatto.
Il Supremo Consesso, si sofferma, quindi, sull’analisi degli elementi della significatività e della
continuità, definendo come dette caratteristiche non sembrino comportare necessariamente l’esercizio
di tutti i poteri propri dell’organo di gestione, essendo sufficiente l’esercizio di un’apprezzabile attività
gestoria, svolta cioè in modo non episodico ovvero occasionale.
LA SOLUZIONE
Nel caso di specie la Corte, partendo dal significato letterale del già citato articolo 2639 cod. civ.,
precisa che la nozione di amministratore di fatto postuli l’esercizio in modo continuativo e significativo
dei poteri inerenti alla qualifica ed alla funzione in parola.
Ciononostante, le appena menzionate caratteristiche della significatività e della continuità non
richiedono necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo di gestione ma l’esercizio di
un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.
Ne discende che la prova dell’amministrazione di fatto deve tradursi, a dire dei giudici,
nell’accertamento degli elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni
direttive, vale a dire in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale
dell’attività della società.
Al riguardo, a dire della Corte, amministratore di fatto non può essere ritenuto colui il quale sic et
simpliciter si inserisca una tantum nell’attività sociale ma il soggetto che, non in modo episodico, si
introduca in una delle fasi organizzative dell’assetto societario: in altre parole, il soggetto deve essere
inserito strutturalmente e non occasionalmente.
Per tratteggiare, dunque, la figura dell'amministratore di fatto è essenziale attingere ai criteri fissati
dall'art. 2639 cod. civ., che, per i reati in materia di società e consorzi, ha di fatto codificato gli approdi
giurisprudenziali che l'avevano preceduta. Peraltro, la previsione di cui all'art. 2639 cod. civ. non
esclude che l'esercizio dei poteri o delle funzioni dell'amministratore di fatto possa verificarsi in
simultaneità con l'esplicazione dell'attività di altri soggetti di diritto, i quali, in tempi successivi o anche
contemporaneamente, ben possono aver esercitato o esercitino ancora in modo continuativo e
significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione di cui in esame.
Per i motivi di cui sopra, la sentenza impugnata, in relazione al primo ed al secondo ricorrente, fornisce
coerente motivazione quanto all’inserimento strutturale e non occasionale nella vita e nella gestione
della società, tanto sotto il punto di vista amministrativo quanto in ordine ai rapporti con i terzi, motivo
per cui i giudici dichiarano inammissibile il ricorso.
Si rinvia, invece, a nuovo giudizio per l’ultimo ricorrente, perché la Corte ravvisa un salto tra la
consapevolezza delle operazioni ed il concorso nella realizzazione, posta l’oggettiva presenza di deboli
indizi e di elementi che, nella valutazione della stessa pronuncia impugnata, non sono in grado di
superare un livello di mera verosimiglianza nell'attribuzione di responsabilità quantomeno concorsuale.
Segnalazione a cura di Alessandra Sarmentino
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