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Diritto Penale

REATI AMBIENTALI - DELEGA FUNZIONI - Cass. Sez. III, sent., 27 maggio 2020, n. 15941


LA MASSIMA

“La posizione di garanzia attribuita dalla legge ai soggetti titolari d'impresa rispetto alla protezione di tali beni nello svolgimento delle attività economiche, la natura contravvenzionale ed il conseguente titolo d'imputazione anche soltanto colposo dei reati posti a presidio di tali beni non consentono di ritenere che l'imprenditore possa chiamarsi fuori dalle responsabilità nei suoi confronti previste (in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, come di gestione dei rifiuti) limitandosi a delegare ad altri l'adempimento degli specifici obblighi di legge, senza vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite. Di qui la permanenza della responsabilità penale del delegante che, in caso di commissione di reati colposi da parte del delegato, non abbia ottemperato all'obbligo di vigilanza e controllo”.


IL CASO

Con sentenza del marzo 2019 emessa dal Tribunale di Cuneo, confermata in appello, gli imputati del processo, chiamati a rispondere per il reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 40 c.p., co.2, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2, sono stati condannati alla pena di euro 1200 di ammenda ciascuno per aver violato le disposizioni sul deposito temporaneo di rifiuti nel luogo di produzione.

In particolare, gli imputati, nella qualità di componenti del consiglio di amministrazione di una società in concorso con il consigliere delegato in via esclusiva alla gestione della sicurezza ambientale e smaltimento dei rifiuti, sono stati ritenuti responsabili per non aver vigilato in ordine all’espletamento delle funzioni delegate.

Avverso la sentenza di condanna, gli imputati ricorrevano per Cassazione chiedendone l’annullamento. Fra i motivi di doglianza, si censuravano la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità penale per il reato ascrittogli.

A parere degli imputati, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistente la condotta contestata ed il danno da essa derivante. A sostegno della tesi, si assume che il giudice di prime cure avrebbe snaturato l’istituto della delega di funzioni attribuite al delegato, atteso che l’obbligo di vigilanza in capo al delegante deve trovare un equilibrio con il divieto di ingerenza nella sfera del delegato, tenendo in debito conto delle specifiche competenze tecniche che la materia delegata presuppone. Gli imputati sostengono, pertanto, che non poteva essere mosso alcun rimprovero alla condotta posta in essere avendo gli stessi assolto al dovere di vigilanza sull’operato del consigliere delegato mediante periodiche riunioni del consiglio di amministrazione.

LA QUESTIONE

La Corte dichiara infondato il ricorso facendo presente, nello specifico, come la disciplina normativa in tema di gestione dei rifiuti e di obblighi penalmente rilevanti, non prevede expressis verbis l’istituto della delega di funzioni. Tuttavia, in via analogica e in conformità ai principi vigenti in materia di reati commessi in violazione delle norme su igiene e prevenzione degli infortuni sul lavoro, si può riconoscerne l’efficacia e i relativi requisiti di validità.

Perché la delega sia efficace e penalmente rilevante, è necessaria la compresenza di una serie di requisiti di validità. Tra questi rileva il fatto che la delega deve essere puntuale ed espressa, con esclusione in capo al delegante di poteri residuali di tipo discrezionale; il delegato deve essere tecnicamente idoneo e professionalmente qualificato per lo svolgimento del compito affidatogli; il trasferimento delle funzioni delegate deve essere giustificato in base alle dimensioni dell’impresa o, quantomeno, alle esigenze organizzative della stessa; la delega deve riguardare non solo le funzioni ma anche i correlativi poteri decisionali e di spesa; l’esistenza della delega deve essere giudizialmente provata in modo certo.

La Corte argomenta come sia proprio l’analogia con l’istituto fatto oggetto di puntuale codificazione ad estendere anche alla delega in materia di attuazione delle disposizioni sulla gestione dei rifiuti l’obbligo di vigilanza del delegante «in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite».

Alla luce di tanto, può dirsi che i soggetti titolari d’impresa sono titolari di una posizione di garanzia rispetto alla protezione di beni oggetto di tutela costituzionale ( quali l’ambiente, la salute, l‘utilità sociale, la sicurezza e la tutela del suolo) nello svolgimento delle attività economiche e da ciò ne consegue che i reati previsti a tutela di tali beni non consentono di escludere la penale responsabilità nei confronti dell’imprenditore per il solo fatto di aver delegato ad altri l’adempimento di detti obblighi senza vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite.

Come si evince dalla pronuncia, delegante e delegato sono entrambi obbligati a vigilare sul rispetto delle norme di settore, seppur sotto diversi profili e con limitazioni differenti. Sussiste, infatti, in capo al delegante l’obbligo di verificare la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; al delegato, precisa la Corte, incombe invece un obbligo di vigilanza che si concretizza nella gestione del rischio che momento per momento viene in rilievo.

Sulla base di tale ricostruzione, i giudici hanno sostenuto che la delega alla gestione dei rifiuti aziendali conferita dal titolare dell’impresa al suo collaboratore non comporta un mutamento del centro di responsabilità per gli eventuali illeciti ambientali posti in essere, ma al contrario configura un allargamento del novero dei soggetti che possono, a diverso titolo, essere chiamati a risponderne.


LA SOLUZIONE

Alla luce dei principi su esposti e dell’impostazione fornita nella sentenza in esame, la Suprema Corte ha confermato la responsabilità degli amministratori di una società in concorso con il delegato alla gestione dei rifiuti per un deposito irregolare di rifiuti, avendo i primi in qualità di deleganti non soddisfatto l’obbligo di vigilanza sulla attività dell’ultimo, e questo per non aver contestato delle irregolarità evidenti in virtù delle piccole dimensioni aziendali dell’ambito lavorativo interessato, proprie di una impresa familiare.


Segnalazione a cura di Marilia Bruno




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