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Diritto Penale

REATI AMBIENTALI - Cass., Sez. III, 27 GENNAIO 2020, n. 3157

MASSIMA

“Anche per i reati ambientali di natura colposa, introdotti per il tramite dell'art. 25-undecies d.lgs.231/2001, nell'elenco dei reati-presupposto della responsabilità amministrativa dell'ente e, specificamente, per il reato già previsto dall’art. 137 d.lgs. 152/2006 e, oggi, dall'art. 452-quaterdecies c.p., a maggior ragione trattandosi di reato di mera condotta, l'interesse e il vantaggio vanno individuati sia nel risparmio economico per l'ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell'eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo, con economizzazione complessiva dell'attività produttiva.”


IL CASO

Il caso sottoposto al vaglio della Terza Sezione della Corte di Cassazione trae origine dalla condanna dell’imputato, la Smalto Design S.r.l., per gli illeciti amministrativi di cui agli artt. 5, lett. a), 10, 25-undecies, comma 2, lett. a), n. 1 e 39, d.lgs. 231/2001, in relazione al reato di cui all’art. 137, comma 5, d.lgs. 152/2006, per non avere adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del predetto reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie commessi per conto e nell'interesse della società. Tale pronuncia era stata oggetto di impugnazione da parte dell’imputato, il quale, con un unico motivo aveva lamentato l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 5, lett. a), d.lgs. 231/2001, in quanto, data la sussistenza del vantaggio, di natura oggettiva e valutabile ex post, o del profitto, di natura soggettiva e valutabile ex ante, che l'ente stesso tragga dalla commissione del reato quale condizione essenziale per l'imputabilità del fatto, aveva dedotto nel caso di specie, relativo ad un reato colposo, l’incompatibilità della non volontà caratterizzante lo stesso con i predetti concetti di interesse o di vantaggio. In particolare, la difesa dell’imputato aveva contestato la ricostruzione ermeneutica svolta dalla sentenza impugnata, la quale aveva ritenuto la sussistenza dei requisiti nell'avere evitato o ridotto i costi relativi agli interventi strumentali necessari ai fini della prevenzione dell'inquinamento idrico o nell'avere più semplicemente velocizzato i tempi e ritmi del ciclo produttivo, sottolineando come, invece, la stessa sentenza avrebbe dovuto accertare in concreto se l'omissione in termini di aggiornamento tecnologico mediante la predisposizione di strumenti finalizzati alla prevenzione dell'inquinamento rispondesse ex ante ad un interesse della società o avesse consentito di conseguire un vantaggio, accertamento che avrebbe dovuto condurre alla verificazione dell’occasionalità della violazione, essendo stata la società sempre in regola con le autorizzazioni comunali. Infine, la difesa della Smalto Design S.r.l. aveva sottolineato che, al fine di ritenere soddisfatte le condizioni di tipicità, rileva la necessità di individuare un contenuto minimo dei modelli organizzativi ritenuti idonei a prevenire tali tipi di reato, in relazione al quale difettava nel d.lgs. 121/2011, integrativo del d.lgs. 231/2001 mediante l'introduzione dell'art. 25-undecies, una norma analoga a quella dell’art. 30 d.lgs. 81/2008, volta ad indicare le linee guida cui uniformare i modelli di organizzazione aziendale così da accertare la loro presunta idoneità a prevenire reati ambientali. Nella vicenda oggetto della sentenza impugnata, diversamente, nessun vantaggio od interesse poteva essere rinvenuto nel presunto risparmio in tema di predisposizione dell'apparato antinquinamento ovvero di sostituzione delle tubature ovvero di mancato aggiornamento tecnologico degli impianti, neppure specificato dai testi intervenuti, così come nessun accenno era stato speso in relazione al costo che la società avrebbe dovuto sostenere per la regolarizzazione, tenuto conto, altresì. che l'adozione di un modello organizzativo, non essendo obbligatoria, non può integrare il requisito dell'interesse o del vantaggio.


LA QUESTIONE

La pronuncia in commento conferma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in relazione alle nozioni di interesse e vantaggio di cui all’art. 5 d.lgs. 231/2001, applicando tali principi ai casi di mancata adozione di impianti o dispositivi antinquinamento. Viene infatti ricordato dai giudici della Terza Sezione della Corte di Cassazione che una lettura delle norme fondata sull’incompatibilità logica tra la necessaria sussistenza dei requisiti dell'interesse o del vantaggio, da una parte, e la natura colposa del reato -presupposto, dall'altro, si risolverebbe in una interpretatio abrogans delle norme introduttive nel catalogo dei reati-presupposto di illeciti contraddistinti dalla natura di reati colposi di mera condotta. Tale circostanza consente di evidenziare come il legislatore abbia inteso configurare anche i reati colposi quali titoli di addebito della conseguente responsabilità amministrativa, da ciò derivando l'obbligo per l'interprete di adattare agli stessi i criteri di imputazione dell'interesse e del vantaggio di cui al citato art. 5, essendo proprio la necessaria presa d'atto della sussistenza, tra i reati - presupposto, di fattispecie colpose, ad impedire che una problematica adattabilità alle stesse del concetto di commissione nell'interesse e a vantaggio dell'ente possa portare ad escludere quanto introdotto dal legislatore, ossia una responsabilità amministrativa della persona giuridica discendente dalla commissione di reati anche solo colposi. In particolare, la sentenza in oggetto della Suprema Corte richiama l’arresto delle Sezioni Unite n. 38343/2014, ai sensi del quale, una volta escluso che la nuova disciplina estensiva, positivizzata prima nell'art. 25-septies e, successivamente, nell’art. 25-undecies d.lgs. 231/2001, potesse essere ritenuta inapplicabile, dal momento che, così ragionando, si sarebbe pervenuti ad una radicale caducazione di un'innovazione normativa di grande rilievo, aveva precisato che il problema doveva essere risolto nella sede interpretativa, individuando quale possibile lettura solo quella secondo cui i concetti di interesse e vantaggio nei reati colposi d'evento vanno necessariamente riferiti alla condotta e non all'esito antigiuridico. L'adeguamento riguarda, dunque, solo l'oggetto della valutazione che coglie non più l'evento ma solo la condotta, in conformità alla diversa qualificazione dell'illecito, senza alcun vulnus ai principi costituzionali dell'ordinamento penale, in linea, tra l’altro, con quanto successivamente affermato con riferimento ai reati colposi in materia di sicurezza sul lavoro, ossia la riferibilità dei concetti di interesse e vantaggio alla condotta e non all'esito antigiuridico, dovendosi ricordare che, mentre la morte o le lesioni riportate da un dipendente in conseguenza di violazioni di normative antinfortunistiche non rispondono senza alcun dubbio all'interesse della società o non procurino alla stessa alcun vantaggio, quest’ultimo ben può essere ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l'infortunio sul lavoro. Secondo la Terza Sezione, la quale, come sì è visto, conferma il precedente orientamento, si impone un’interpretazione che veda alternativi tra loro, in quanto legati dalla disgiuntiva "o", i concetti di interesse e di vantaggio di cui all'art. 5 d.lgs. 231/2001. In particolare, se il criterio di interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante al momento della commissione del fatto, sulla base di un metro di giudizio spiccatamente soggettivo, quello del vantaggio assume una connotazione prettamente oggettiva, come tale valutabile ex post facendo riferimento agli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell'illecito. Con riferimento ai reati in materia di sicurezza sul lavoro, inoltre, viene precisato come la nozione di interesse/vantaggio sia stata interpretata nella prospettiva patrimoniale dell'ente quale risparmio di risorse economiche derivante dalla mancata predisposizione dello strumentario di sicurezza o come incremento economico conseguente all'aumento della produttività non prelusa dal rispetto della normativa prevenzionale, con la precisazione che nei reati colposi l'interesse/vantaggio si ricollegano al risparmio nelle spese che l'ente dovrebbe sostenere ai fini dell’adozione delle misure precauzionali ovvero nell'agevolazione dell'aumento di produttività che può discendere per l'ente dall’accelerazione dell'attività lavorativa in qualche modo agevolata dall’inosservanza della normativa cautelare, il cui rispetto, invece, avrebbe rallentato quantomeno nei tempi. La Terza Sezione della Corte di Cassazione precisa che tali principi possono correttamente adattarsi anche ai reati ambientali di natura colposa, introdotti dall'art. 25-undecies d.lgs. 231/2001, nell'elenco dei reati-presupposto della responsabilità amministrativa dell'ente e, specificamente, al reato già previsto dall’art. 137 d.lgs. 152/2006, art. 137 e, oggi, dall'art. 452-quaterdecies c.p., in quanto anche in relazione ad esso, trattandosi di reato di mera condotta, l'interesse e il vantaggio devono essere individuati sia nel risparmio economico per l'ente determinato dalla mancata adozione di impianti o dispositivi idonei a prevenire il superamento dei limiti tabellari, sia nell'eliminazione di tempi morti cui la predisposizione e manutenzione di detti impianti avrebbe dovuto dare luogo con complessiva economizzazione dell'attività produttiva.


LA SOLUZIONE La Terza Sezione della Corte di Cassazione, dunque, aderendo al citato orientamento giurisprudenziale e ritenendolo applicabile ai casi di mancata adozione di impianti o dispositivi antinquinamento, ha rigettato il ricorso della Smalto Design S.r.l. condannandola al pagamento delle spese processuali.


Segnalazione a cura di Tiziana Caboni.





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