LA MASSIMA “Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 452-bis c.p., non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale o dell’ecosistema che, nel caso del “deterioramento” o squilibrio strutturale, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare”. IL CASO Un soggetto è accusato di concorso nel delitto di cui all’art. 452-bis, comma 1, n. 2, c.p. per aver, insieme ad altri, posto in essere una condotta di pesca abusiva, con metodo distruttivo del substrato roccioso, di un ingente quantitativo di corallo rosso in un’area naturale dichiarata zona protetta. In sede cautelare, il giudice emette un provvedimento applicativo della misura cautelare dell’obbligo di dimora; avverso tale provvedimento, l’indagato propone istanza di riesame al Tribunale, il quale respinge l’istanza e conferma la misura. Avverso l’ordinanza, la difesa dell’indagato propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi: vizio di motivazione per essere stata applicata la misura cautelare in difetto dei requisiti di concretezza e attualità del pericolo; difetto degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 452-bis c.p., atteso che il fatto non implicherebbe compromissione e deterioramento significativi e misurabili dell’ecosistema marino; illegittimità costituzionale dell’art. 452-bis c.p. per contrasto con gli artt. 25, Cost. e 7 CEDU, stante la violazione del principio di tassatività e determinatezza. LA QUESTIONE La sentenza esamina diverse questioni. La prima questione è quella della configurabilità del reato di inquinamento ambientale a fronte di una condotta che, pur non avendo ingenerato un danno ambientale irreversibile, abbia causato un evento di danneggiamento della matrice ambientale estrinsecatosi nel “deterioramento” e nella “compromissione” ambientale. Per costante giurisprudenza, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 452-bis c.p. non è necessaria la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente il verificarsi di un evento di danneggiamento ambientale che può consistere nel “deterioramento” o nella “compromissione” dell’ambiente. I giudici di legittimità hanno, in più occasioni, chiarito che il deterioramento consiste in una apprezzabile diminuzione del valore del bene o in una lesione tale da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, un’attività non agevole. La compromissione, invece, può essere definita come uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare. La Cassazione ha, inoltre, precisato che ai fini dell’integrazione del reato di inquinamento ambientale le condotte su richiamate non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici. La seconda questione attiene al rapporto esistente tra la fattispecie di cui all’art. 452-bis c.p. e il D.lgs. 9 gennaio 2012, n. 4, richiamato dal regolamento di cui al decreto direttoriale n. 26287 del 21 dicembre 2018. Quest’ultimo, in particolare, è stato emanato al fine di regolamentare la raccolta del corallo rosso nelle acque marine nazionali e prevede che “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”, i trasgressori delle disposizioni in esso contenute sono sanzionati ai sensi del D.lgs. n. 4 cit. L’imputato deduce, pertanto, che la condotta posta in essere dovrebbe essere sanzionata ai sensi del D.lgs. da ultimo citato, che prevede contravvenzioni o mere sanzioni amministrative, e non ai sensi dell’art. 452-bis, c.p. La terza questione verte, invece, sull’illegittimità costituzionale dell’art. 452-bis, c.p. per violazione dei principi di tassatività e determinatezza di cui agli artt. 25 Cost. e 7 CEDU. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che la verifica del rispetto del principio di determinatezza della norma penale deve essere condotto non valutando isolatamente il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma contestualizzandolo e raccordandolo con gli elementi costitutivi della fattispecie e con la disciplina in cui esso si inserisce. Ciò implica che l’inserimento, nella fattispecie incriminatrice, di vocaboli polisensi, di clausole generali o di concetti elastici, non si pone in contrasto con il principio di determinatezza quando, analizzando complessivamente la descrizione del fatto incriminato, anche alla luce del sistema normativo in cui si colloca e delle finalità perseguite, il giudice possa stabilire in modo inequivoco il significato dell’elemento preso in considerazione. LA SOLUZIONE La Corte di cassazione, occupandosi della prima questione, ribadisce l’insegnamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la fattispecie di cui all’art. 452-bis, c.p. è integrata anche in assenza di un danno tendenzialmente irreversibile, purché la condotta incriminata si risolva in un danneggiamento della matrice ambientale consistente in un “deterioramento” e in una “compromissione” del bene, intesi nel senso di alterazione, significativa e misurabile, dell’originaria consistenza dell’ambiente o dell’ecosistema. Mentre il “deterioramento” ingenera uno squilibrio strutturale connesso al decadimento dello stato e della qualità dell’ambiente, la “compromissione” coincide con una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell’ecosistema. Nel caso di specie, dunque, la Cassazione ritiene corretto l’inquadramento della condotta nell’ambito applicativo dell’art. 452-bis, c.p., essendosi essa estrinsecata in un’attività di raccolta distruttiva massiva del corallo, che ha ingenerato una lesione ambientale ed ecologica considerevole, sia per la specie protetta, sia per l’habitat. Quanto alla questione dell’eventuale concorso della fattispecie di cui all’art. 452-bis, c.p. e del D.lgs. n. 4 del 2012, richiamato dal decreto direttoriale n. 26287 del 21 dicembre 2018, la Cassazione chiarisce che, stante la previsione di clausole di sussidiarietà (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”) sia nel decreto direttoriale, sia nel D.lgs. cit., non v’è dubbio che la norma applicabile al caso in esame sia quella di cui all’art. 452-bis, c.p. Infine, con riferimento all’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 452-bis, c.p., la Corte conclude per la sua manifesta infondatezza. Richiamando gli insegnamenti della giurisprudenza ormai consolidata in tema di verifica del rispetto del principio di determinatezza, la Cassazione afferma che l’art. 452-bis, c.p. non si pone in contrasto con l’art. 25, comma 2, Cost. perché le espressioni adoperate dal legislatore appaiono sufficientemente univoche nella descrizione del fatto vietato. Il delitto di inquinamento ambientale contempla, infatti, le condotte di “compromissione” e “deterioramento”, sostanzialmente analoghe a quelle tradizionalmente descritte con riguardo al delitto di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p. Inoltre, l’impiego di aggettivi quali “significativi” e “misurabili”, riferiti agli eventi, pone dei vincoli idonei a delimitare il campo di applicazione della fattispecie in termini sia di gravità che di verificabilità. Neppure con riferimento all’oggetto della condotta si ravvisa indeterminatezza, atteso che la fattispecie specificamente prevede, alternativamente, l’aggressione alle matrici ambientali, ad un ecosistema o a una biodiversità. Tutto ciò chiarito, la Cassazione ritiene, tuttavia, di dover accogliere il ricorso con riguardo alla doglianza relativa alla sussistenza delle esigenze cautelari, in particolare il pericolo di reiterazione della condotta criminosa. Segnalazione a cura di Veronica Proietti
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