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Diritto Penale

REATI ABITUALI - STALKING - Cass. Pen., sez. V, 21 gennaio 2021, n. 2496

LA MASSIMA

“Il delitto previsto dall’art. 612 bis c.p., che ha natura di reato abituale e di danno, è integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma incriminatrice e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva non è la datazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento. Appare, pertanto, evidente che i singoli segmenti di una condotta unitaria possono essere realizzati anche in una medesima giornata o in una medesima notte.”


IL CASO

La vicenda in esame trae origine da un ricorso proposto contro una sentenza della Corte d’Appello che confermava la condanna dell’imputato emessa dal Giudice di primo grado per il reato di cui all’articolo 612bis c.p. In particolare, la condotta ascritta all’imputato consisteva nell’aver inviato reiterati messaggi minatori alla persona offesa in un breve arco temporale.

Avverso la sentenza di secondo grado la difesa proponeva ricorso rilevando la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione a due profili: l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato e l’entità del trattamento sanzionatorio.


LA QUESTIONE

Per ciò che concerne il primo motivo, la difesa lamentava l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, sia sotto il profilo della reiterazione delle condotte persecutorie che del mancato verificarsi di un evento di danno.

In particolare, la difesa sosteneva che le condotte persecutorie, poste in essere nell’arco della medesima notte, non possano configurare il requisito dell’abitualità. Riteneva inoltre che, come si evince dalle stesse dichiarazioni della persona offesa, non può dirsi integrato nessuno degli eventi di danno richiesti alternativamente dalla fattispecie

incriminatrice.


LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso, non rinvenendo alcun vizio di motivazione o violazione della legge penale poiché la Corte d’Appello ha fondato, a ragione, la propria decisione su un percorso argomentativo caratterizzato da intrinseca logicità.

In particolare, i Giudici di secondo grado hanno correttamente qualificato la condotta dell’imputato come abituale, nonostante l’arco temporale piuttosto limitato nel quale essa si è svolta. La Corte di Cassazione ha infatti sottolineato che la reiterazione di messaggi minatori, anche se solo per tre giorni, integra la condotta abituale richiesta dal delitto di atti persecutori poiché ciò che rileva per la configurabilità della fattispecie in esame non è la datazione dei singoli atti, quanto il loro effettivo apporto causale alla determinazione dell’evento lesivo.

L’aspetto fondamentale, pertanto, è che gli atti posti in essere dall’imputato devono poter essere identificati quali segmenti di una condotta unitaria e causalmente orientata alla produzione dell’evento, e che questo sia il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso. A nulla rileva che tali atti siano stati posti in essere in un breve arco di tempo; anche condotte riconducibili ad una medesima giornata o ad una sola notte possono quindi integrare il requisito dell’abitualità richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

Per ciò che concerne invece l’evento di danno, i Giudici di secondo grado, ribadendo la necessità, ai fini della consumazione del reato, del verificarsi di uno degli eventi alternativamente richiesti dalla fattispecie, hanno correttamente individuato lo stesso, nel caso di specie, nell’insorgere nella persona offesa di un perdurante stato di paura per la propria incolumità fisica, tale da determinare anche un’alterazione rilevante delle sue abitudini di vita.


Segnalazione a cura di Marta Paggiola


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