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Diritto Penale

RAPINA - 649 c.p. - Cass. pen., Sez. II, sentenza 7 ottobre 2020, n. 27888.

LA MASSIMA

“Nel caso di reato di rapina consumata, la causa di non punibilità ex art. 649 c.p. non è applicabile”.


IL CASO

Con la sentenza in epigrafe, La Corte di Cassazione chiarisce l’ambito di applicazione della causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 649 c.p.

La pronuncia in esame prende le mosse da un ricorso dell’imputato avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano che lo ha riconosciuto colpevole del reato di rapina commesso in danno della madre.


LA QUESTIONE

Ad avviso del ricorrente, nell’ipotesi di reato di cui all’art. 628 c.p., realizzato nei confronti di uno stretto congiunto senza far ricorso alla violenza deve ritenersi applicabile la causa di non punibilità in esame.


LA RISOLUZIONE

L’art. 649 c.p. stabilisce la non punibilità del fatto commesso in danno del coniuge non legalmente separato, della parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, di un ascendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o dell'adottato, di un fratello o di una sorella, convivente con il soggetto agente.

Nel rigettare la censura proposta dal ricorrente, la Suprema Corte analizza il comma terzo dell’art. 649 c.p., ed evidenzia che l’applicabilità della causa di non punibilità deve essere esclusa con riferimento a due distinte categorie di reato.

L’applicabilità dell’art. 649 c.p. è espressamente esclusa dalla norma con riferimento ai delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione.

Secondo la Suprema Corte, il riferimento specifico alle fattispecie sopra elencate sottintende la volontà del Legislatore di escludere l’applicazione della causa di non punibilità in oggetto con riferimento alle sole fattispecie consumate di delitti di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione.

Ciò in quanto, in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, “l'autonomia del delitto tentato comporta che gli effetti giuridici sfavorevoli previsti attraverso lo specifico richiamo di determinate norme incriminatrici vanno riferiti alle sole ipotesi di delitto consumato, in quanto le norme sfavorevoli sono di stretta interpretazione e, in difetto di espressa previsione, non possono trovare applicazione anche per le corrispondenti ipotesi di delitto tentato”.

L’art. 649, comma 3, c.p. non è applicabile, inoltre, con riferimento a tutti quei reati contro il patrimonio, commessi mediante violenza in danno del soggetto passivo del reato.

Secondo l’interpretazione della Corte, in base alla generica clausola di chiusura dell’art. 649, comma 3, c.p. la causa di non punibilità de qua ben può essere applicata anche alle fattispecie tentate di reati contro il patrimonio.

In conclusione, alla luce di quanto sopra evidenziato, con riferimento al reato di rapina, la causa di esclusione della punibilità per fatto commesso ai danni dello stretto congiunto non può mai invocata, a prescindere dalla commissione del fatto mediante violenza o minaccia, se il reato si è perfezionato; di contro, se il fatto è rimasto nella forma del tentativo, la causa di esclusione in esame può essere applicata ma a condizione che non si sia fatto ricorso alla violenza in danno della persona offesa.

Sulla scorta di tali argomentazioni e considerazioni, appurato che nel caso di specie il reato di rapina si è perfezionato, la causa di esclusione richiamata dalla parte ricorrente non può mai essere applicata a prescindere dal significato che possa essere attribuito alla locuzione “violenza sulle persona”.

Per tali motivazione, la Corte rigetta il ricorso confermando la condanna in danno del ricorrente.


Segnalazione a cura di Vincenzo Minunno




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