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Diritto Penale

PROCESSO MINORILE - 131 bis c.p. - Cass. pen. Sez. II, 5 dicembre 2019, n. 49494

MASSIMA Nel processo a carico di imputati minori, non si applica la causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., in quanto la materia è già regolata dall’art. 27 del D.p.r. 22 settembre 1988, n. 488, norma avente carattere di legge penale speciale.


IL CASO Con sentenza n. 49494, la Seconda Sezione della Corte di Cassazione si è occupata dell’applicabilità della previsione di cui all’art. 131-bis c.p. al processo minorile. In particolare, la Corte ha valutato la possibilità di un’applicazione residuale o congiunta dell’art. 131-bis c.p. insieme con l’art. 27 DPR 448/1988 (“Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni”). Nel caso di specie, la Corte di Appello di Catania confermava la responsabilità per danneggiamento aggravato del ricorrente X (minorenne all’epoca dei fatti), non riconoscendo allo stesso l’applicazione della causa di non punibilità del fatto per particolare tenuità muovendo, la Corte siciliana, dal presupposto di una inesistente sovrapponibilità tra l'istituto di derivazione processuale minorile e quello introdotto dall'art. 131-bis c.p.


LA QUESTIONE L'art. 27 D.P.R. 448/1988 ha introdotto nell'ordinamento di giustizia minorile l'istituto dell'irrilevanza del fatto. In virtù di tale disposizione il giudice può, o meglio deve, emettere la sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto laddove ricorrano i tre presupposti indicati dall'art. 27, co. 1: il fatto di reato deve poter essere definito come tenue, alla luce dei parametri indicati dall'art. 133 c.p.; il comportamento del minore deve poter essere giudicato occasionale, alla luce delle relazioni rese dai servizi sociali e delle dichiarazioni del minore e delle altre parti; deve potersi ritenere che la permanenza nel circuito penale possa arrecare un pregiudizio alle esigenze educative del minore e, quindi, il processo sia considerato come una risorsa non utile per il minore a fronte di un percorso di crescita e di responsabilizzazione da questi compiuto. Ciò rende palese come il contesto delle valutazioni che risultano necessarie per l'applicazione dell'articolo 27 primo comma siano connesse alla specifica valutazione della personalità dell'imputato minorenne in quanto soggetto il cui sviluppo risulta in divenire e rispetto a cui la finalità di garantirne un equilibrato sviluppo legittima il legislatore ad ampliare il novero e l'ambito di applicazione delle cause di non punibilità. In tal senso, il legislatore ha previsto in materia di processo penale minorile un rimedio generale, applicabile dunque alla totalità dei reati commessi da un minorenne a prescindere da limiti edittali, diversamente da quanto stabilito ex art. 131-bis c.p. Ciò mette in risalto una differenza non di poco momento in quanto si palesa la volontà del legislatore di addivenire a una valutazione specifica della personalità di chi ha commesso il reato, al fine di approntare una tutela specifica dello stesso nell'ottica di un recupero condizionato dalle specifiche caratteristiche del soggetto e non meramente di definire quanto più possibile precocemente i procedimenti relativi a condotte la cui minima lesività non giustificherebbe alcun dispendio di risorse processuali. Inoltre, gli stessi caratteri strutturali dell'istituto regolato dall'art. 131-bis c.p. evidenziano che tale ultima norma presenti presupposti di fatto incompatibili con il rito minorile. È infatti rilevante come la stessa previsione dell'iscrizione nel casellario giudiziale di tutti i provvedimenti giudiziari definitivi con cui si è dichiarata la non punibilità ai sensi dell'art. 131-bis c.p. non appare compatibile con i principi generali ispiratori dell’intero processo penale minorile. Inoltre, l'efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo di danno, riconosciuta alla sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata ex art 131-bis c.p. si pone in contrasto con quanto espressamente stabilito dall'art. 10 co.2 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, secondo il quale la sentenza penale non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno cagionato dal reato.

LA SOLUZIONE La Corte, dunque, ha fatto leva sul carattere di norma speciale (ex art. 16 c.p.) della disciplina relativa al processo minorile e ha ritenuto che la stessa, ed in particolare l'art. 27, contenesse già un'autonoma disciplina della materia, mirata rispetto alle finalità del procedimento. Ciò preclude, a priori, l'operazione del confronto fra singole leggi o disposizioni sulla stessa materia e la possibilità di una applicazione residuale o congiunta della disposizione generale nel processo a carico di imputati minori; rigettava, pertanto, il ricorso.


Segnalazione a cura di Onofrio Spinetti


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