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Diritto Penale

PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM E DOPPIO BINARIO SANZIONATORIO

di Camilla Bignotti.


Il principio di ne bis in idem, argine alla forza repressiva dello Stato e garanzia della libertà del singolo, è oggetto di un continuo dialogo fra Corti, interne e sovranazionali, che esprimono due distinti filoni applicativi del principio in esame. Il principio nasce come garanzia di tipo processuale atta ad evitare che il cittadino venga sottoposto, per il medesimo fatto di reato, ad un nuovo giudizio dopo essere già stato giudicato con sentenza divenuta irrevocabile Seppur tale principio non venga menzionato nella Carta Costituzionale, esso trova eloquente espressione nell’art. 649 c.p.p., divieto di secondo giudizio, ai sensi del quale l’imputato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto, neppure se questo viene diversamente considerato per il titolo, per il grado o per le circostanze. Ai sensi del secondo comma della citata disposizione, se ciò nonostante viene di nuovo iniziato procedimento penale, il giudice in ogni stato e grado del processo pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo. Dal dato testuale della norma è possibile desumere l’effetto della violazione del principio in esame, ossia la pronuncia di sentenza di proscioglimento o non luogo a procedere, sia il presupposto di operatività, ossia la sussistenza di un giudicato relativamente al medesimo fatto e nei confronti del medesimo soggetto. Tuttavia non può essere trascurata l’interpretazione estensiva del divieto in esame data dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale può essere applicato il 649 c.p.p. anche in assenza di giudicato, nel caso di specifiche condizioni: in ipotesi di litispendenza caratterizzata da processi aventi ad oggetto il medesimo fatto, attribuito alla stessa persona, promossi dallo stesso ufficio del pubblico ministero e devoluti alla cognizione dei giudici della stessa sede giudiziaria, si dovrà procedere ai sensi dell’art. 649 c.p.p. pur in assenza di giudicato. Il principio di ne bis in idem, concepito nella sua accezione classica, viene sancito altresì a livello sovranazionale dall’art. 4, protocollo n.7 CEDU, Ne bis in idem, ai sensi del quale nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. Tale disposizione è stata oggetto di alcune pronunce della Corte EDU volte a chiarire l’ambito di accertamento richiesto al giudice affinché possa essere ravvisata una violazione del divieto di bis in idem. Sorge infatti il dubbio se il principio del ne bis in idem operi dinanzi ad un doppio giudizio di una medesima fattispecie astratta ovvero di un medesimo fatto materiale. Tale distinzione ha una rilevanza di non poco conto sul versante applicativo dell’art. 649 c.p.p. Ad esempio si consideri il caso in cui un soggetto, già giudicato per disastro doloso e omissione dolosa di cautele, venga nuovamente rinviato a giudizio, sulla base del medesimo fatto storico, per omicidio doloso; in tale ipotesi i fatti appaiono identici sotto il profilo storico-naturalistico, mentre sotto il piano giuridico configurano diverse fattispecie di reato. Ne deriva che se si considera il fatto storico si riscontra una violazione del divieto di bis in idem, con conseguente applicazione dell’art. 649 c.p.p, viceversa se si ha riguardo alla qualificazione giuridica del fatto non si rileva alcuna violazione. La Corte Edu ha chiarito che il principio in esame opera non sugli elementi strutturali delle fattispecie contestate agli imputati, bensì sull’identità materiale dei fatti per cui si procede una seconda volta dopo una prima sentenza definitiva. Sul punto è intervenuta altresì la Corte Costituzionale in senso conforme: la Consulta è stata investita della questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. rispetto agli artt. 117 Cost e art. 4, protocollo n.7 CEDU, nella parte in cui limita l’applicazione del principio all’esistenza della medesima fattispecie penale, nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificata, invece che all’esistenza del medesimo fatto storico; la Corte ha statuito che il divieto di doppio giudizio opera esclusivamente con riguardo all’identità del fatto storico, senza che in senso contrario si possa opporre il difetto di coincidenza tra gli elementi costitutivi degli illeciti, con particolare riguardo alla pluralità di eventi giuridici. Riguardo a quest’ultimo aspetto è opportuna una precisazione. Si è posto in dottrina il problema circa l’operatività dell’art. 649 c.p.p. nel caso in cui la medesima condotta abbia dato origine ad una pluralità di eventi penalmente rilevanti, in concorso formale tra loro. Ad esempio, nel caso in cui un soggetto con la stessa condotta abbia cagionato la morte di più soggetti, ci si è chiesti se si possa agire nei confronti del soggetto, pur a fronte del giudicato per uno dei due omicidi, oppure se operi il principio del ne bis in idem. La questione è stata risolta dalla Corte Costituzionale, secondo la quale sulla base della triade condotta - nesso causale - evento empirico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi sul piano empirico; il fatto è diverso se la condotta ha dato luogo ad un evento ulteriore rispetto a quello valutato dal giudice nella sentenza passata in giudicato. E’ stata dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. nella parte in cui secondo il diritto vivente esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza di un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale. Ne derivano tre corollari. In primo luogo viene superato l’orientamento maggiorato della giurisprudenza di legittimità, che escludeva l’identità del fatto quando si procedesse per i reati in concorso formale fra loro, introducendo un accertamento storico-fattuale da effettuarsi in concreto. Ne deriva che qualora la condotta del reo integri due distinte fattispecie di reato ma il comportamento materiale, già giudicato, sia il medesimo del nuovo procedimento deve pronunciarsi sentenza ai sensi dell’art. 649 c.p.p. a prescindere dalla sussistenza di un concorso formale di reati. Del pari, nel caso di due o più eventi in concorso formale tra loro, rispetto ai quali uno sia già stato giudicato mentre l’altro sia oggetto del secondo giudizio, la violazione del divieto di bis in idem non deve essere esclusa a priori, in quanto è necessario verificare se nella pronuncia passata in giudicato siano stati presi in esame tutti gli eventi. Alla luce della giurisprudenza sinora esaminata sembra esserci corrispondenza tra il principio enunciato dall’art. 649 c.p.p e il dettato dell’art. art. 4, protocollo n.7 CEDU, sia per la sovvrappoinibilità testuale, ma soprattutto per la convergenze interpretative della Corte Edu e della Corte Costituzionale circa la portata del divieto. Tuttavia non può essere trascurata la particolare rilevanza assunta dal principio nella sua dimensione sovranazionale, in ragione della concezione autonomistica de reati e delle sanzioni penali rivendicata dalla Corte EDU. Invero, i giudici di Strasburgo hanno elaborato i cc.dd. criteri Engel, per riqualificare gli illeciti e le relativi sanzione formalmente amministrativi in termini strettamente penalistici. Viene valutata la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, la natura dell’illecito e il grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere. Può, infatti, verificarsi una coesistenza, per il medesimo fatto, tra sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali, con il relativo procedimento, e irrogazione di una pena, con il relativo procedimento. Tale ipotesi si riscontra di sovente in materia tributaria e finanziaria. Un siffatto doppio binario sanzionatorio rileva sul versante del principio del ne bis in idem, costituendo il secondo filone interpretativo del principio in esame. Sorge difatti il problema di vagliare la legittimità di una disciplina sanzionatoria che sottopone il soggetto, per il medesimo fatto, a due diversi procedimenti, uno amministrativo e uno penale, con la conseguente applicazione di due diverse sanzioni per la medesima condotta. La Corte EDU ha affrontato per la prima volta la questione con la sentenza Grande Stevens contro Italia e altri. La vicenda in oggetto riguardava l’applicazione a carico dei ricorrenti di sanzioni amministrative, irrogate dalla Consob per violazioni delle norme del Testo Unico Finanziario, che tuttavia la Corte ha qualificato come sostanzialmente penali, perciò sottoponendole alle garanzie previste dalla Convenzione. Atteso che i ricorrenti successivamente alle suddette sanzioni sono stati sottoposti ad un giudizio penale per i medesimi fatti, la Corte EDU ha riscontrato una violazione dell’art. 4 Protocollo n.7 della CEDU. Tale garanzia, secondo la Corte, opera avverso nuove azioni penali o contro il rischio di tali azioni per il medesimo fatto, che non si limita dunque nel solo divieto di una seconda condanna o di una seconda assoluzione. Tale principio è stato precisato nella successiva sentenza Nykanen contro Filandia: la Corte ha osservato che il divieto di bis in idem opera lungo tre linee direttrici, consistenti nel diritto di non essere esposti alla possibilità di essere processati una seconda volta per il medesimo fatto, nel diritto di non essere affettivamente processarti per il medesimo fatto e, infine, nel diritto di non essere condannati due volte per il medesimo fatto. I giudici di Strasburgo inoltre hanno precisato che sussiste la violazione qualora il doppio binario sanzionatorio operi nell’ambito di procedimenti autonomi e differenti, laddove vi sia una connessione tra procedimenti applicativi di più sanzioni, invece, non sussiste alcuna violazione, atteso che gli stati membri sono liberi di introdurre una risposta sanzionatoria articolata in più tipologie. I giudici di Strasburgo, dunque, hanno introdotto un temperamento all’automatismo secondo il quale un doppio regime sanzionatorio comporta una violazione del ne bis in idem. Tale principio viene ulteriormente sviluppato nella sentenza AeB contro Norvegia del 2016. Nella pronuncia in commento si chiarisce che, seppur sia preferibile che l’irrogazione delle sanzioni avvenga nel medesimo procedimento, l’art. 4 del protocollo n.7 non osta alla previsione di due procedimenti paralleli, purché fra di essi sussista un “close connection” per l’oggetto e il piano temporale. Si precisa che tale connessione presuppone non soltanto una vicinanza cronologica tra i procedimenti, bensì a monte la prevedibilità da parte del privato della duplice risposta sanzionatoria e il carattere proporzionato della sanzioni in concreto inflitte. A tal proposito occorre accertare che i distinti procedimenti perseguano finalità complementari, mirando a stigmatizzare aspetti differenti della condotta illecita del privato; si deve accettare la prevedibilità in astratto e in concreto di un duplice procedimento come conseguenza della medesima condotta; inoltre i singoli procedimenti devono evitare ogni duplicazione dell’attività istruttoria; infine la sanzione adottata nel primo procedimento deve essere considerata nel secondo, onde evitare l’irrogazione di una pena eccessiva rispetto alla condotta concreta. Quanto alla rilevanza della close connection, la Corte di Strasburgo si è nuovamente pronunciata con la sentenza Nodet contro Francia relativa al doppio binario sanzionatorio per l’illecito di manipolazione di mercato. I giudici di Strasburgo hanno censurato il doppio binario sanzionatorio previsto dal legislatore francese per due motivi: i due procedimenti non perseguivano obiettivi complementari, in quanto erano funzionali a reprimere i medesimi profili di dannosità del fatto di manipolazione del mercato (definito e qualificato nello stesso modo in entrambi i procedimenti punitivi) e a proteggere i medesimi “interessi sociali; non vi era un collegamento temporale fra i due procedimenti, poiché il procedimento penale era continuato per oltre quattro anni dopo la definizione di quello amministrativo. È particolarmente significativo evidenziare come la violazione del ne bis in idem sia stata dunque riscontrata, per assenza di una close connection in substance and in time, ancorché nel giudizio penale si fosse tenuto conto della sanzione pecuniaria già irrogata all’esito del procedimento amministrativo. I giudici di primo grado avevano infatti commisurato la pena facendo espresso riferimento alla sanzione già disposta in sede amministrativa Alla luce di tale evoluzione giurisprudenziale, emergono con chiarezza i contorni del principio di ne bis in idem a livello sovranazionale finalizzato ad evitare che ad una medesima condotta consegua un doppio regime sanzionatorio, tale da porsi in antitesi con i principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena, nonché con il principio di offensività. In altre parole lo stato non può porre in essere una risposta sanzionatoria tale da risultare del tutto disancorata alla reale offesa provocata dalla condotta ed eccessiva nella sua gravità. Al contempo i giudici di Strasburgo lungi dal concepire il principio in esame in chiave assolutistica, considerano ammissibile il doppio binario, lasciano spazio alla discrezionalità dello stato nel disciplinare il proprio apparato sanzionatorio, nell’ipotesi di “close connection”. Tale ipotesi, tuttavia, si verifica nel caso in cui sussistano tutti i presupposti sopra elencati, conferma della volontà della Corte EDU di intendere tale temperamento in chiave restrittiva. Tutto ciò premesso sorge un problema applicativo. E’ opportuno indagare quale rimedio possa attuare il giudice interno dinanzi ad una violazione del principio di ne bis in idem sovranazionale; a tal proposito possono essere formate almeno quattro diverse ipotesi applicative. La prima muove dalla premessa che il principio di ne bis idem viene sancito altresì dall’art. 50 della Carta di Nizza, che ai sensi dell’articolo 6 del TFUE ha lo stesso valore giuridico dei trattati, dunque, costituendo una fonte del diritto europeo, è caratterizzata dai principi dell’effetto diretto e del primato dell’Unione Europea. Ne deriva che il privato può invocare la suddetta norma direttamente in giudizio e il giudice interno, ravvisato un contrasto tra la norma che sancisce il doppio binario sanzionatorio e l’art. 50 della Carta di Nizza, è tenuto a disapplicare la norma interna in contrasto con la conseguente non operatività della sanzione penale. Qualora il giudice interno non sia certo che il suddetto articolo abbia lo stesso contenuto e la medesima portata dell’art. 4 protocollo n.7 come interpretato dai giudici della Corte Edu, può ricorrere al rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, investendo della questione la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Tale via è stata di recente seguita dal Tribunale di Bergamo che ha ravvisato una possibile violazione dell’art. 50 della Carta di Nizza alla luce della giurisprudenza edu in materia di divieto di bis in idem. Si badi che ai sensi dell’art. 52, par.3, della Carta di Nizza, “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione”. Pertanto la Corte di Giustizia è tenuta a dare una lettura integrata della Carta di Nizza e della CEDU, per assicurare la medesima portata dei diritti da esse sanciti. Invero, sia l’Avvocatura Generale presso la Corte di Giustizia, sia gli stessi giudici di Lussemburgo hanno recepito la giurisprudenza CEDU in merito alla concezione autonoma della pena e dei reati e ai criteri di qualificazione degli stessi. Inoltre la Corte di Giustizia, pronunciandosi in materia di reati tributari e finanziari, ha ravvisato la natura sostanzialmente penale delle sanzioni formalmente amministrative, in ragione del grado di severità e della finalità repressiva delle stesse, e al contempo ha costatato l’identità dei fatti sanzionati; è stato dunque ravvisato un cumulo sanzionatorio in contrasto con l’art. 50 della Carta di Nizza. Tuttavia viene riconosciuta una giustificata limitazione a tale garanzia, nel rispetto del principio di proporzionalità, laddove sia necessaria e risponda effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o dall’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Nelle singole vicende sarà opportuno verificare la sussistenza di un obbiettivo di interesse generale che giustifichi il cumulo; nonché il coordinamento fra i due procedimenti, come nel caso in cui il pagamento della sanzione amministrativa integri una circostanza attenuante nel procedimento penale; infine deve essere verificata in concreto la proporzionalità delle sanzioni irrogate in concreto, complessivamente considerate. Nella seconda ipotesi, la disciplina relativa al doppio binario sanzionatorio da applicare nel caso concreto diviene oggetto di un’ordinanza di remissione alla Corte Costituzionale affinché ne vagli la legittimità costituzionale. Tale via è stata percorsa dal Tribunale di Treviso che ha investito la Consulta della questione relativa alla fattispecie penale di cui all’art. 10 ter, D.lvo 74/2000, che punisce un comportamento già previsto come illecito amministrativo, sul presupposto che la sanzione amministrativa debba qualificarsi come penale alla luce dei criteri elaborati dalla Corte di Giustizia, ponendosi in contrasto con l’art. 4 del protocollo n.7. Applicando questa seconda via, dunque, il giudice di merito non ricorre al diritto comunitario esercitando un sindacato diffuso circa la violazione dell’art. 50 della Carta di Nizza, ma invoca il sindacato accentrato della Corte Costituzionale applicando la disposizione della CEDU, come parametro interposto di costituzionalità, come richiamato dall’art. 117 della Carta Costituzionale. La Corte Costituzionale, tuttavia, ha disposto la restituzione degli atti al tribunale di Treviso, atteso che successivamente all’ordinanza di remissione è intervenuta una modifica della disciplina, tale da rendere necessario un nuovo esame da parte del giudice a quo circa la rilevanza della questione ad essa sottoposta; inoltre è stata messa in evidenza l’introduzione di una causa di non punibilità delle caso di pagamento dell’imposta dovuta e delle sanzioni amministrativi. Con tale ultima precisazione, dunque, la Corte Costituzionale, pur non pronunciandosi sulla questione di legittimità, sembra rilevare un meccanismo di coordinamento logico tra i due sistemi sanzionatori tali da evitare una violazione del divieto di bis in idem. Nella terza ipotesi, il giudice di merito, interpretato il dispositivo dell’art. 649 c.p.p. in modo conforme al dettato dell’art. 4 del protocollo n.7 CEDU, opera in via diretta la riqualificazione della natura sostanzialmente penale della sanzione formalmente amministrativa con la conseguente con conseguente pronuncia di non doversi procedere in relazione al reato contestato all’imputato, perché il medesimo fatto è già stato sanzionato in sede formalmente amministrativa. Tale via, applicata dal Tribunale di Asti, non è stata, tuttavia condivisa dalla Corte di Legittimità, che ha precisato che non spetti al giudice penale il potere di operare in via diretta la riqualificazione, potendo al più rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità. Tale questione configura la quarta ipotesi. In questo caso il giudice di merito, non potendo applicare direttamente l’art. 649 c.p.p, deve investire la Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell’imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli. Tale censura di legittimità, dunque, mira ad ottenere una sentenza di tipo additivo volta ad introdurre nel nostro ordinamento una disposizione specificatamente dedicata al principio di ne bis in idem come sancito al livello di sovranazionale. Tale via è stata adottata dal Tribunale di Monza, ma anche in questo caso la Consulta ha disposto la restituzione degli atti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione sulla rilevanza della questione di legittimità costituzionale, in quanto nelle more del giudizio è intervenuta la pronuncia AeB contro Norvegia della Corte di Strasburgo, sopra menzionata, che ha comportato un mutamento di significato del principio in esame. Ancora una vota, dunque, la Consulta non è potuta intervenire direttamente sul punto per chiarire quale rimedio debba essere utilizzato dal giudice di merito dinanzi ad una sospetta violazione del principio di ne bis in idem stante un doppio regime sanzionatorio Tuttavia in via incidentale ha ribadito l’invito al legislatore a stabilire quali soluzioni debbano adottarsi per porre rimedio alle frizioni che il sistema del cosiddetto doppio binario genera tra l’ordinamento nazionale e la CEDU. La Consulta sembra dunque adottare un comportamento all’insegna del self restraint affinché intervenga il legislatore sulla questione, al quale spettano le valutazioni di politica del diritto circa le scelte sanzionatorie. In conclusione è compito del legislatore valutare sia quando adottare un regime sanzionatorio complementare, penale e amministrativo, aderente al principio di ne bis in idem secondaria, sia definire quali rimedi possano essere esperiti in caso di doppio binario non conforme al divieto di bis in idem.

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