LA MASSIMA
“Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 574-bis, comma 3, c.p., nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all'estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Dal momento che la pena accessoria in questione incide in modo marcato sul diritto del figlio a mantenere un rapporto con entrambi i genitori, va escluso che sia ragionevole considerarla sempre e necessariamente la soluzione ottimale per il minore. La sua applicazione potrà giustificarsi soltanto qualora risponda in concreto agli interessi del minore, da apprezzare anche alla luce di tutto ciò che è accaduto dopo il reato. Il giudice penale dovrà valutare caso per caso se corrisponda all'interesse del figlio che il genitore, autore del reato di sottrazione di minore all'estero, sia sospeso dall'esercizio della responsabilità genitoriale”.
IL CASO
Il 30 aprile 2016 il Tribunale di Grosseto ha pronunciato sentenza di condanna per sottrazione e trattenimento di minore all’estero nei confronti di una donna accusata di aver portato i figli minori in Austria contro la volontà del padre, applicando, conseguentemente, la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 574-bis comma 3 c.p. La decisione è stata poi confermata, con rideterminazione della pena, dalla Corte d’Appello di Firenze.
Avverso tale pronuncia, l’imputata ha proposto ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, l’illegittimità costituzionale dell’automatismo previsto dagli artt. 574-bis e 34 c.p. con riferimento all’applicazione, e alla conseguente determinazione, della pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
Con ordinanza del 29 gennaio 2019, la Corte di Cassazione, ritenendo rilevante l’eccezione, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 574-bis c.p., in riferimento agli artt. 2, 3, 27, comma 3, 30 e 31 Cost., nonché all’art. 10 Cost. in relazione alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176.
LA QUESTIONE
Secondo la sezione rimettente la pena accessoria di cui agli artt. 574-bis c.p. e 34, comma 2, c.p., producendo i propri effetti direttamente sul rapporto tra genitore-autore del reato e figlio, comporta conseguenze dirette per quest’ultimo, sia di fatto che di diritto, talvolta con effetti pregiudizievoli.
L’automatismo imposto da tali disposizioni, non consentendo alcun margine di discrezionalità sia sull’an sia sul quantum della misura, si porrebbe in contrasto con il principio generale, sancito sia a livello nazionale che sovranazionale, secondo il quale ogni decisione relativa ai minori deve essere ispirata al raggiungimento del reale e concreto interesse di questi, da considerarsi sempre preminente nel giudizio di bilanciamento. Sul punto, l’art. 34, comma 3, c.p. fisserebbe, peraltro, un criterio eccessivamente rigido, così impedendo al giudice, in violazione del principio di proporzionalità, di calibrare la durata della sospensione alla gravità del fatto.
Infine, l’applicazione acritica della pena accessoria in parola, a parere dei giudici di legittimità, si porrebbe in contrasto anche con gli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. in quanto frustrerebbe la finalità rieducativa della pena andando a colpire un soggetto, il minore, estraneo alla commissione del reato, con conseguenze inammissibili.
LA SOLUZIONE
La Corte Costituzionale, condividendo sostanzialmente l’impostazione della sezione rimettente, osserva che la gravità intrinseca della fattispecie di cui all’art. 574-bis c.p. non può giustificare un’applicazione automatica della pena accessoria in caso di condanna a pena non sospesa.
La commissione del reato, infatti, non è un indice certo della pregiudizialità per il minore di tale rapporto parentale, dovendosi analizzare, nel caso concreto, la situazione familiare in modo da operare un corretto bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti, tra cui, innanzitutto, quello del figlio.
La pena accessoria prevista dall’art. 574-bis c.p. presenta una portata tale da incidere direttamente sulle relazioni familiari del minore e, quindi, sul suo diritto a ricevere un’educazione da entrambi i genitori e di mantenere con questi un rapporto diretto e personale.
Una tale soluzione, osserva la Corte, pur diretta a tutelare il minore, può in alcuni casi avere conseguenze dannose per quest’ultimo.
Alla molteplicità e eterogeneità di situazioni familiari nell’ambito delle quali può verificarsi la condotta delittuosa conseguono, infatti, esigenze differenti del minore, per il quale, talvolta, il mantenimento del rapporto con il genitore-autore del reato risulta maggiormente soddisfacente.
Tale circostanza, alla luce del principio, di rango sovranazionale, di primazia dell’interesse del minore, che trova conferma nella Carta Costituzionale agli artt. 2, 30 e 31, impone la verifica, caso per caso, di ogni circostanza utile a verificare se la misura in concreto da adottare sia compatibile con il benessere e la crescita di questo.
Le disposizioni censurate, al contrario, precludendo un tale accertamento da parte del giudice, non tengono conto della possibile evoluzione del rapporto tra genitori e figlio nel periodo di tempo tra la commissione del reato e il momento della condanna e, di conseguenza, delle mutate esigenze di quest’ultimo.
Pur ritenendo inammissibile il riferimento all’art. 10 Cost. in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, la Corte eleva il principio secondo cui l’interesse del minore deve essere considerato preminente in ogni decisione che lo riguardi a principio generale dell’ordinamento che, come tale, deve essere applicato anche con riferimento all’art. 574-bis, comma 3, c.p. al fine di verificare che il decorso del tempo e la gravità del fatto non abbiano reso pregiudizievole per il figlio la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale dell’autore del reato.
La Corte Costituzionale, pertanto, ha ritenuto la disposizione censurata irragionevole e incompatibile con i parametri costituzionali e i principi sovranazionali posti a tutela dei minori e, segnatamente, con gli artt. 2, 30 e 31 Cost., dichiarandone l’illegittimità nella parte in cui prevede come conseguenza necessaria della condanna, e non come possibilità, l’applicazione della pena accessoria.
Di conseguenza, ha ritenuto assorbita la questione relativa alla compatibilità con il principio di proporzionalità di cui agli artt. 3 e 27, comma 3, Cost.
Ha affermato, infine, l’inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 34 c.p., non applicabile al caso di specie in quanto lex generalis, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, comma 3, 30 e 31 Cost., nonché all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, quest’ultimo anche in relazione all’art. 574-bis c.p.
Segnalazione a cura di Alessandra Manca Bitti
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